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Quinto cardine critico: la proprietà

All'interno del quadro che abbiamo cercato di tracciare finora, è necessario che si affronti più a fondo la questione della proprietà. Tanto più se teniamo presente, a cominciare per esempio dalla cultura informazionale, la lenta progressione della fisica quantistica. Che sta rompendo non pochi schemi della nostra percezione della realtà. Alla stessa stregua di tutto l’universo umano della cosiddetta virtualità - nel fondo essenzialmente matematica - che si giunge persino a interpretare come nuova spiritualità: nel senso di una vera e propria oggettività esistente nell’ambito informazionale (Qi) e a partire tra l’altro dai livelli delle nuove conoscenze sulle nostre estensioni cerebrali, quando parliamo per esempio di neuroni specchio e delle possibili rispettive intricazioni subatomiche.

Ma detto in termini etici o ideologici più consueti, non potremo mai trasformarci da virtuali o potenziali operatori di ‘comunismo’ in veri operai, chirurgi e costruttori che superino realmente lo stato di cose e di valori presente, fintanto che non recuperiamo una coerenza radicale più profonda proprio sul concetto e discorso della proprietà. Cioè come classe o dimensione in sé certamente potente e coerente, ma politicamente ancora disgregata tra le sue innumerevole componenti, precisamente e di nuovo grazie all’incoscienza di questa prima condizione che secondo Marx determina le posizioni di classe: la proprietà.

Parlando di tutto ciò, rispetto all’ambito della dimensione spazio-temporale dei beni comuni, della natura, di tutte le potenziali ricchezze prodotte o naturali, fisiche o virtuali, meccaniche o di saperi e culture che ha scoperto l’umanità nell’ultramillenario corso della sua storia, o inventato, creato e prodotto. Appuntando quindi la messa a fuoco dimensionale di classe, e d’emancipazione e liberazione generale, sulle proprietà naturali e relative responsabilità comuni, di tutti gli esseri vivi ed intelligenti dell’umanità, rispetto ad ogni tipo o campo di materia o immateriale in o con cui viviamo. Materia naturalmente in senso post-Higgs, per sottolineare la disparità corrente tra massa e materia. Che, con nuove caratteristiche già percettibili dell’evoluzione umana, sarà sempre più presente nella nostra coscienza e conoscenza. Ben oltre falci e martelli. In rete sempre più, ma poi sempre e soprattutto nel comune o collettivo reale.

Siamo allora ben più pessimisti di Fisher a proposito della progressiva incidenza delle “sinistre” stataliste sull’evoluzione sistemica, quando afferma alla fine dell’articolo che “siamo sulla soglia di una nuova onda, sulla quale possiamo cominciare a surfare per dirigerci verso il postcapitalismo”, ...grazie alle nuove formazioni politiche, nuovi pensieri, nuove organizzazioni che stanno nascendo a sinistra (cita Syriza o Corbyn!).

Proprio perché il contrappunto, che guarda caso segnala nello stesso paragrafo “Verso il postcapitalismo” come un “terremoto (che) ha condotto all’emergere della destra estrema”, non deriva o non si spiega solo con fenomeni come la “crisi dei migranti (che) ha fatto sorgere lo spettro terrificante di ciò che vi è stato di peggio nella storia europea”26. Bensì e precisamente con la gravissima incapacità di queste “sinistre” di sviluppare il discorso fondamentale marxiano di classe, a cominciare appunto dalla coscienza e conoscenza della questione proprietaria.

Tra l’altro, assolutamente indispensabile per studiare e capire la capitalizzazione - nel sistema, per mezzo di particelle di proprietà ‘privata’ - di molti settori di lavoratori, in generale a partire da Keynes potremmo dire! Per poi comprendere la questione del potere e logicamente il senso delle lotte e connessioni operaie nell’ambito di rete o virtuale di internet.

Oppure, più carnalmente, per sviscerare la natura dello stesso patriarcato e di molte altre espressioni di violenza della nostra specie, o della contaminazione sempre più incisiva dei beni comuni, come gli oceani, e più in generale dell’irresponsabilità verso l’ecosistema, e persino verso le grandi ricchezze culturali di nazionalità chiamate selvagge o sottosviluppate...

Oltre che per cogliere e poter smantellare - anche politicamente - le molte alienazioni e robotizzazioni personali che si trascinano ‘stile ceto medio’ e che ognuno di noi - per esempio come scurrili metropolitani - metabolizza bene o male con apparentemente comode, convenienti, utili o necessarie. casette, auto, turismi, sport-mercato, mode, giochi virtuali, inglesismi, consumi. sempre più lontani da emozioni, sensazioni e intuizioni naturali - di vita collettiva soprattutto! - che dovremmo invece poter godere e condividere tutti, ogni giorno! Ricostruendo spazi urbani e architetture umanamente decenti, tanto per cominciare. Nulla a che vedere con grattacieli e altre gabbie metropolitane dove si consumano grigie solitudini - magari con cagnetto - di porzioni sempre più impressionati di ‘cittadini’ vecchi o giovani.

Rimettendo dunque al loro posto le più o meno sottili degenerazioni di valori, modelli, rapporti umani, comportamenti e significati con cui ci inondano in tutti i modi dagli Stati uniti. Parlando di una società in cui la vita collettiva è quasi ridotta a zero, senza piazze e strade per percorsi condivisi potremmo dire, e strutturatasi da non troppi decenni sull’etnocidio delle nazionalità originarie e la schiavitù di massa. Oltre che dalla sua permanente attività legionaria imperiale. Che poi ora si impone persino nel linguaggio comune con una infiltrazione sempre più sgradevole ed alienante dell’idioma imperiale - non solo tra i più deboli subalterni, ma anche tra apparentemente dotte e sapienti persone, sinistre comprese, soprattutto in Italia! - invece di proporsi semplicemente come mezzo utile o a volte necessario per una comunicazione internazionale.

Ed ecco infatti una ragione in più per spiegare la deriva votocratica ‘di destra’ di molti settori ‘popolari’; precisamente ben rimossa da queste cosiddette ‘sinistre’ intimamente alienate da archetipi sostanziali del sistema. Appunto gli stessi valori e concetti individualistici che hanno permesso e continuano a permettere di ‘credere’ in questo famoso ceto o ‘classe’ media. Composto in realtà, in gran parte, da specifiche frazioni di lavoratori (autonomi, professionali, cooperativistici, creativi, ‘intellettuali’, ecc.) - parzialmente o totalmente - capitalizzati! E quindi più sommergibili nell’individualismo, l’asocialità e l’infobesità (combinata con ingrassi chimici e transgenici del corpo), l’ignoranza organica, la contaminazione emotiva, il consumismo telediretto ‘made in USA’ appunto, con tutte le conseguenti abitudini e compulsioni (cominciando specificamente dalle linguistiche...), il turismo allucinatorio, il nazionalismo statalista, la cerniera mono-riproduttiva della specie e tutte le altre derive prodotte da alienazioni più attuali e specifiche di un capitalismo così artificialmente intelligente. Che perciò si nutre sempre più di individui algoritmicamente27 individualizzati e controllati. Ora specialmente dalla California...28.

Ed allora, in questo complesso contesto del discorso, può risultare di nuovo interessante riprendere il già citato testo di Monferrand e Chanson29 laddove analizzano in modo costruttivo le coincidenze e le contraddizioni (secondarie) tra l’ “operaismo” italiano del secolo scorso e la “Teoria critica” della scuola di Francoforte, mettendole spesso in rapporto con il lavoro di Georg Lukacs. Soprattutto, quando verso la conclusione si propone il lavoro teorico di Hans-Jurgen Krahl (sviluppato in particolare in ‘Konstitution und Klassenkampf’) a proposito della reificazione e dell’antagonismo; a cui questo compagno assegna il ruolo di “due cardini concettuali del percorso tra operaismo e Teoria critica” che cerca a sua volta di sviluppare.

E lo fa appunto con quella frase che “il capitalismo è irriducibile secondo Lukacs a una forma d’economia: (visto che) costituisce un vero mondo storico, un sistema totale che trasforma in profondità tutti gli aspetti dell’esistenza umana”. Citando guarda caso anche “l’idea di un diveniretotalitario del capitalismo” sostenuta per esempio da Pollok e Panzieri.

Ma sebbene Krahl riconosca anche qui come “le diverse ‘inchieste operaie’ effettuate dal gruppo di Quaderni rossi tendano a dimostrare (che) i lavoratori sono effettivamente portati dalle loro esperienze quotidiane sia a demistificare le forme reificate della valorizzazione capitalista, che a superare le loro rivolte individuali e le rivendicazioni sindacali in direzione di una lotta politica per il potere”, non giunge in ogni caso a reimpostare gli strumenti necessari per un atterraggio preciso e definitivo nel cuore della basilare questione proprietaria e operaia globale, pur abbozzando alcune manovre di avvicinamento. Ad esempio citando Adorno a proposito del dominio dello stato e della burocrazia rispetto ai rapporti di produzione, dove afferma che “questi ultimi non sono più ormai dei rapporti di produzione fondati esclusivamente sulla proprietà ma sull’amministrazione, ivi compreso al massimo livello il ruolo dello stato come capitalista globale”.

Ma è proprio anche questa manovra con Adorno che impedisce un atterraggio sul solido, tanto più oggi quando il ruolo degli stati, sotto l’offensiva neoliberista in corso (ciò che sfacciatamente chiamano crisi), si vede sempre più chiaramente come amministrazione sì, certamente, ma soprattutto ben salda strategia nelle mani di proprietari globali. Sempre più minoritari e sempre più delinquenti accumulatori selvaggi di beni comuni su tutto il pianeta! Quindi, non sono solo i famosi “rapporti di produzione” ad essere “fondati esclusivamente sulla proprietà”, ma tutto un sistema proprietario globale ancora in gran parte amministrato attraverso gli stati, ed oltretutto in modo via via sempre più integrato e delinquenziale, se guardiamo alle conseguenze di morte, distruzione, miseria, malattie ed inquinamenti.

Tant’è vero che laddove cita e sviluppa poco dopo il discorso dello stesso Tronti, e più avanti di Negri, Vercellone e Bologna parlando di post-operaismo, intelletto generale, capitalismo cognitivo, stato-impresa, operaio-sociale, ecc. ci troviamo sempre di fronte alla stessa barriera. Persino quando riferisce del “lavoro immateriale” di Vercellone

Come spiega Carlo Vercellone, saremmo così passati a una nuova fase del capitalismo - il ‘capitalismo cognitivo’ - caratterizzata dall’egemonia tendenziale del lavoro immateriale nel processo di valorizzazione del capitale. Per ‘lavoro immateriale’ dobbiamo intendere l’insieme delle attività che, qualsiasi sia il campo di divisione sociale del lavoro in cui si svolgano, mobilizzano un sapere sociale accumulato da e nella totalità della società (l’intelletto generale). In questo nuovo capitalismo, il valore accumulato oggettiverebbe allora meno la quantità di lavoro usato in un tempo chiaramente misurabile che la qualità delle conoscenze impiegate dai lavoratori nel processo di produzione. E nella misura in cui l’acquisizione di queste conoscenze dipende dall’insieme dei rapporti che stabiliscono gli individui nel corso della loro vita sociale, il capitale tenderebbe a ritirarsi dalla produzione per accontentarsi di privatizzare, sotto forma di brevetti, redditi o azioni finanziarie, il prodotto collettivo della cooperazione.

Ma bravo, allora! La questione è proprio sempre o sempre più quella della proprietà!

Proprietà da una parte o dall’altra della dimensione di Higgs e degli algoritmi telematici...

Possiamo allora avvicinarci con queste nostre cinque chiavi a un’apertura politica del finora troppo inerme potenziale di classe. E lo faremo lanciando proprio qui l’ultima frase di “Réification et antagonisme”30 quando, dopo aver ricordato che in effetti, “per l’autore di Konstitution und Klassenkampf, questa contraddizione (capitale/lavoro) non esiste che nei diversi conflitti di cui ne è la causa, e dei quali le lotte dei lavoratori non ne sono che un’espressione, e per nulla privilegiata a fianco delle lotte studentesche o femministe”. Proponendo poi la seguente possente sfida di navigazione:

Nella misura, dunque, in cui il ‘lavoratore collettivo’ non è un Soggetto univoco, ma un insieme contraddittorio di soggettività” (che invece qui definiamo come componenti collettive della dimensione di classe operaia) “le elaborazioni krahliane aprono sulla collocazione di un problema strategico, che è ancora il nostro: come far convergere le diverse lotte sociali sulla base della loro rispettiva autonomia? L’assunzione collettiva di questo problema è senza dubbio un compito che incombe tutte e tutti coloro che intendono mantenere vive queste due tradizioni che sono l’operaismo e la Teoria critica.

Si, certamente! Però è ancora troppo poco per poter aprire reali connessioni operaie globali, vista la sempre più preoccupante rotta di navigazione della nostra specie! Di fronte, ad esempio, alla mostruosità votocratica di uno stato imperiale determinante come gli Stati Uniti, dove l’infobesità di massa perviene a produrre un’elezione a capo di stato di un personaggio così profondamente infermo, ignorante ed irresponsabile come Trump.

Mentre, d’altro canto, già registriamo sul pianeta interessanti esperienze di lotta sociale che potrebbero aprirci almeno gli occhi sul profondo contenuto politico rivoluzionario del concetto teorico marxiano di classe operaia. Certo, rispetto ad ogni diverso livello di sviluppo delle migliaia di nazioni esistenti, e quindi delle rispettive estensioni nazionali della classe globale. Classe globale, da non intendersi, ovviamente, nella sua applicazione meccanica, sociologica o di concezione gruppale, come abbiamo evidenziato all’inizio! Piuttosto, come strumento teorico di connessione politica, d’organizzazione o sperimentazione tattica, e poi di disegno strategico di negazione globale sistemica. Per uno sviluppo globale e antagonista di tutte le sue possibili e contraddittorie potenzialità, settoriali e persino personali o gruppali, e di movimenti interni... se pensiamo all’arte, alla creatività umana individuale o cooperativa, e persino all’esplorazione e ricerca scientifica, ecc.

Di conseguenza, in connessione oltre la dimensione operaia, con espressioni di tutto lo spazio sociale ‘proletario’, come si diceva un tempo. Ora parzialmente telediretto e più o meno sotto quasi totale controllo alfanumerizzato da parte dell’intelligenza estrattiva capitalista.

A scopo esemplificativo facciamo allora un’altra piccola digressione complementare tratta da “Neooperaismo e decrescita. Aprire un percorso di riflessione”31 dove Leonardi afferma che:

pare che la strada verso un anticapitalismo ecologicamente desiderabile debba passare sia da una coalizione tra i segmenti eterogenei che partecipano alla produzione di valore (dagli operai del manifatturiero ai contadini, fino ai knowledge workers) sia da un’alleanza tra quei segmenti politicamente riuniti e le espressioni del “fuori” (cosmo-visioni indigene, comunità legate all’agricoltura di sussistenza, lavoratori dell’economia “informale”). In altre parole, credo si debba considerare più attentamente la questione del rapporto tra quei soggetti che scrutano l’“oltre” il valore a partire da ciò che fu il punto più alto dello sviluppo capitalistico e quei soggetti che vedono l’“altro” dal valore da una posizione di (relativa, graduabile) esternità - poiché o non vi sono stati inclusi oppure hanno opposto un rifiuto. Insomma: i diritti della Pachamama e il reddito di base possono salire sulla stessa barca rivoluzionaria?”

A questo punto dovremmo allora chiederci se “quei segmenti politicamente riuniti e le espressioni del ‘fuori’ (cosmo-visioni indigene, comunità legate all’agricoltura di sussistenza, lavoratori dell’economia ‘informale’)” a cui aggiungiamo molti movimenti ecologisti, organismi socialmente solidali di ogni genere, o che lottano nell’educazione, per il recupero della vita comune di quartiere, per la salute o per le applicazioni libere in rete o tecnologiche in generale, per la propria autodeterminazione culturale collettiva (e nazionale) ed un quasi infinito eccetera di iniziative e movimenti, non siano quindi anch’essi parte in gran misura, o in intimo contatto di collaborazione radicale e di soggezione comune alle tre determinanti di classe operaia. Cioè, dell’unica dimensione e soggetto in sé potenzialmente operativo per un cambio epocale generale.

Queste sono le condizioni affinché possano svilupparsi sufficienti capacità d’organizzazione - come per esempio già ce lo sta più che suggerendo l’esperienza curda nella Rojava32- per finalizzare tattiche e strategie generali efficaci per questo cambio sempre più urgente. Cominciando proprio dalla rottura delle barriere interne di classe, per superarne le contraddizioni, come dice Leonardi e lo ripeto: “tra quei soggetti che scrutano l’ ‘oltre’ il valore a partire da ciò che fu il punto più alto dello sviluppo capitalistico e quei soggetti che vedono l’ ‘altro’ dal valore da una posizione di (relativa, graduabile) esternità - poiché o non vi sono stati inclusi oppure hanno opposto un rifiuto”!

 

Festeggiamo la morte del Partito?

Siamo alle conclusioni. Che lanciamo riannodando Marx, Luxemburg ed altri fabbri delle nostre cinque chiavi con la riflessione di M. Cento, R. Ferrari in “Classe e partito: note finali”33, quando ricorda che Luxemburg “è consapevole della necessità del momento organizzativo espresso dal partito, ma ne riconosce l’insufficienza. Il partito può essere organizzazione realmente rivoluzionaria solo se si ridefinisce, si modifica, si ristruttura nella lotta di classe in un rapporto dialettico e fecondo con le masse, che però ha il compito di guidare”. Al fine della nostra analisi è ora quindi necessario un approfondimento della comprensione luxemburghiana del partito.

 

Organizzazione realmente rivoluzionaria

Rivoluzionaria non solo per la pretesa di rompere e superare il modo imperante di “produzione”, ma per assumere il permanente compromesso e dipendenza esistenziale dal processo di auto negazione della classe in sé. Quindi, di tutte le premesse della sua sussistenza come classe operaia. Per cominciare: dinamizzazione invece di direzione; coordinazione invece di comando; costruzione democratica invece di centralizzazione e di conseguenza critica e lotta alle dottrine e ideologie (marxiste incluse) come a tutte le tendenze burocratiche, più o meno sostanziali. Come ben dice un basco autocritico e nostalgico degli anni 60-80 quando si poteva ancora parlare di un processo di fatto nella direzione di una “rivoluzione socialista basca” (proprio grazie all’impulso della “Coordinatrice KAS”, parzialmente inclusiva dell’ETA ed ora smantellate):

Una pista. Quando produciamo dei dirigenti e portiamo avanti assiduamente il loro protagonismo, e va sparendo la formazione teorica, cala il dibattito orizzontale, si cominciano a sfigurare gli obiettivi principali, ci si centra eccessivamente in tappe pianificate, ci si avvia a navigare con alleanze riformiste-grigie-piccolo-borghesi-sistemiche e si accresce la tendenza a intavolare negoziati (sapendo che è uno scenario del nemico) nell’esistente percorso verso i nostri obiettivi centrali... Ahi poveri noi!34

Certo che queste determinazioni elementari si dovrebbero presumere come acquisite da tutti... Ma approfondiamo allora queste caratteristiche essenziali che ci propone Rosa per il ‘partito’. Quando espone che “si ridefinisce, si modifica, si ristruttura nella lotta di classe in un rapporto dialettico e fecondo con le masse, che però ha il compito di guidare”.

 

Si ridefinisce

Tanto per cominciare, oggi non sarà più un partito. Lasciamo questo modello d’organismo politico e poi istituzionale alle partitocrazie del regime parlamentario capitalista, che osano chiamare democrazia! O alle dittature pseudo socialiste, la sua stessa denominazione è ormai indecente, persino - o soprattutto - quando si bolla come comunista. Ebbene, quando un’organizzazione rivoluzionaria, democratica, di dimensione operaia si descrive, si spiega e dispiega oggigiorno, non dovrebbe mai assomigliare a un partito agli occhi di qualsiasi proletario. Almeno sotto tutte le forme con cui si presenta fin dal secolo XVIII. Fino alle congreghe all’attuale impianto votocratico, e gerontocratico, ma comprese le vecchie ricorrenze del cosiddetto centralismo-democratico leninista o post-leninista.

Quindi e prima di tutto, un movimento o un’organizzazione rivoluzionaria e cioè eversiva dell’ordine economico, istituzionale, politico, etico e morale dominante, dovrebbe sempre esporre e sottoporre alla critica permanente gli strumenti teorici che dichiara e che utilizza. Come le nostre 5 chiavi. E soprattutto aborrire al massimo l’insediamento di ideologie personali o di gruppo! Si vedano tutti quei marxismi ideologici falcemartellisti che hanno disposto e condizionato le rispettive formazioni politiche senza conoscere a fondo, lavorare ed avanzare nella teoria marxiana a cui pretendevano riportarsi. Senza tanti -ismi, insomma. E se si vuole con un po più di coerenza con il loro Marx particolare: cioè con meno balle ideologiche e più lavoro concettuale o scientifico.

 

Si modifica

La predisposizione all’evoluzione permanente delle forme e sostanze organizzative - quando risulta necessario - dovrebbe derivare come implicita in qualsiasi allestimento o complesso politico che si pretenda socialmente innovatore ed eversivo verso lo stato di cose presente. E non possono che essere le espressioni politiche dei principali organismi, movimenti e settori della classe operaia a sollecitare queste modificazioni, nel corso dello sviluppo delle lotte. Secondo l’evolversi delle situazioni in cui si va centrando o si trovi immersa l’organizzazione o il processo generale. Oggi sempre più nell’ambito globale, naturalmente! Ma contemporaneamente in conformità con le rispettive composizioni di classe di ognuna delle centinaia o migliaia di nazionalità e comunità in movimento. Oltre gli stati-nazione oggi ammessi ed utilizzati dal composto istituzionale cosiddetto Capitale.

Si tratta di un aspetto fondamentale di una impostazione organizzativa democratica. Esattamente al contrario di ciò che successe nell’Unione sovietica durante fasi già consolidate della rivoluzione, e soprattutto dopo l’instaurazione del ferreo regime dittatoriale. Per non parlare della successiva e terribile degenerazione che chiamiamo stalinismo, sia nella Russia ‘centrale’ che nelle altre repubbliche dell’Unione. Quelle ‘repubbliche socialiste’ che la storiografia marxista in generale si è ben guardata dallo studiare. O solo ricordare, vista la patologia statalista ed anti-nazionale dei ‘comunismi’ d’etichetta, che scordano - per ignoranza, pigrizia o superficialità - le oltre 5000 nazionalità esistenti oggi sulla Terra, con le proprie caratteristiche operaie o proletarie, oltre che culturali e di espressione politica specifica. Di fronte all’opprimente ed etnocida struttura capitalista globale di solo 200 stati che pretendono chiamarsi “nazioni”35. Cominciando dal gran montaggio generale dell’O‘N’U. Che non è in assoluto un’organizzazione di nazioni ma solo di stati.

Disponiamo invece di varie nuove esperienze di ribellione che potrebbero offrirci alcune linee molto interessanti d’evoluzione dinamizzatrice rivoluzionaria delle lotte: si veda ancora il processo in corso nel Kurdistan meridionale. Aldilà delle serrature ‘amministrative’ del sistema istituzionale, ‘legale’, ‘di diritto’ e costituzionale appunto sostenuto dall’ONU. Anche se in questi casi - oltre ai curdi possiamo parlare degli amazigh o berberi, dei mapuce e di molte altre nazioni già in movimento nell’Abya Yala, in Africa, Asia, ecc. - l’assenza di rispettivi e potenti movimenti di lavoratori salariati, soprattutto industriali, non ci può probabilmente informare in modo sufficiente sul ruolo chiave e le contraddizioni che questo settore della classe globale può, deve o dovrebbe sviluppare oggi in tale contesto generale d’organizzazione politica. In particolare rispetto alle nazioni o nazionalità degli stati metropolitani, quindi in Europa, Stati uniti, ecc.

Un ruolo questo di (ancora?) potenti sezioni e figure metropolitane di settori salariati, evidentemente non solo industriali, che è sempre specificamente molto incisivo nell’ambito di dinamizzazione complessiva (mondiale) della dimensione operaia.

Inoltre è proprio sulle contrapposizioni trans-statali e internazionali di molti settori lavoratori della classe che la delinquenza capitalista sviluppa gran parte delle sue strategie. Cominciando dalle delocalizzazioni intercontinentali con tutte le corrispondenti forme di precarizzazione; poi nella logistica commerciale intercontinentale super mercantilista, o con l’imposizione globale delle tecnologie e produzioni alimentari, per non parlare dell’uso delle migrazioni, ecc. sempre sotto il controllo centralizzato di internet e degli strumenti millantatori di organizzazioni inter-statali come l’OMC, l’OML, l’OMS, ecc.

 

Si ristruttura

A proposito di questo argomento potremmo probabilmente riferirci di nuovo alla straordinaria esperienza basca - soprattutto del KAS - per il periodo già citato degli anni 60-80, o persino di parte dei 90, come attesterebbe l’eccezionale studio di J. della Cueva36.

La forza principale di ciò che sarà presto denominato ENAM (iniziali basche di ‘Movimento di Liberazione Nazionale Basco’) si sviluppa fin dall’inizio dei Sessanta a partire dalla formazione partigiana ETA (iniziali di ‘Paese Basco e Libertà’) su due assi politici generali di ‘liberazione nazionale’ e lotta di classe. Tendente a connettere fin dal principio gran parte delle espressioni organizzate radicali sia di carattere più specificamente nazionale (culturale, linguistica, educativa) che operaia (lavoratori, gioventù, studenti, ecc.). Oltre al femminismo, alla solidarietà con i prigionieri e internazionale (Askapena), allo sviluppo di mezzi di comunicazione propri, e più tardi all’ecologismo e la lotta contro la drogo-dipendenza, il servizio militare coloniale, eccetera.

Verso la fine degli anni Settanta, si formalizza esplicitamente una struttura politica adattata a tutto l’insieme, denominata KAS, Coordinatrice nazionale socialista37, concepita però secondo vari livelli ‘paralleli’ e separati di intervento politico: dinamizzazione delle lotte operaie, dei movimenti sociali, della resistenza e collegamento con le strutture partigiane ed i prigionieri, ecc. Oltre che con una connessione molto ponderata con la prima formazione politica ‘ufficiale’, cioè parlamentaria o d’ambito legale (spagnolo soprattutto), la famosa Herri Batasuna (Unità Popolare). In ogni caso, fin dall’inizio, le basi teoriche marxiane (però assai generiche; marxiste in generale) sono quelle che informano gli obiettivi coordinati di tutti questi diversi livelli.

Ed è proprio nella questione di un marxismo generico che la forza crescente del complesso KAS è andata purtroppo perdendo via via elementi importanti della sua capacità di gestione e dinamizzazione politica generale. Di fronte a cambiamenti molto profondi e progressivi della struttura produttiva e dell’evoluzione sistemica del paese. Quindi della composizione di classe, e sociale in generale. Soprattutto a partire dai primi anni Ottanta (entrata spagnola nella UE e prime manifestazioni di peso dell’offensiva neoliberista nel Paese basco).

Pertanto, a partire da un impressionante crescendo di iniziative sociali generali, accompagnate dalla spettacolare incidenza dell’attività partigiana, appunto molto connessa con tutto l’insieme, si è poco a poco verificato l’inevitabile scollamento dalla composizione di classe: determinato dall’assenza di analisi concreta, in chiavi marxiane, degli incredibili cambiamenti in corso nella società. Con viceversa un progressivo protagonismo politico dell’organizzazione ‘di regime’ o parlamentaria HB (Herri Batasuna, Unità popolare). Sempre più populista, logicamente.

Ma questa esperienza KAS potrebbe comunque rappresentare un riferimento molto utile proprio in questo contesto, in termini di strutture d’organizzazione. Di superamento drastico, almeno in teoria, della concezione del ‘partito’ e della ‘democrazia operaia’ di stampo bolscevico38. O di altri vecchi schemi organizzativi marxisti come quello del centralismo o ‘centralismo democratico’, o per esempio la famosa relazione tra ‘braccio armato’ e partito, o tra partito e sindacato.

 

Il compito di guidare

Il riferimento specifico di Rosa Luxemburg alla funzione di guida dell’organizzazione di classe, o rivoluzionaria, si riflette nel brano citato in modo troppo generico. Per avanzare nella nostra analisi, val la pena osservare alcune caratteristiche molto interessanti dell’esperienza basca. Anche se fortemente caratterizzate dallo specifico tentativo di portare avanti una ‘liberazione nazionale’ di carattere ‘socialista’. Del resto, la forza impressionante con cui si presentò nel cuore imperiale europeo almeno nel corso di tre decenni, deriva dal superamento della vecchia formula del partito.

 

Le chiavi del KAS, Coordinatrice basca socialista

Cominciamo con una prima caratteristica basilare: la militanza o lavoro personale nel KAS era concepito in tre livelli minimi di lavoro molto attivo, assai specifici e come vedremo a prima vista autonomi:

A) la militanza rivoluzionaria generale come membro del KAS;

B) un intenso dinamismo in un movimento o gruppo sociale ben concreto (culturale, ecologista, giovanile, internazionalista, di lavoratori, ecc.);

C) e in terzo luogo una presenza il più possibile discreta ma efficace nella formazione politica di massa e parlamentare: Herri Batasuna.

La sintesi politica collettiva (A) si svolgeva logicamente negli ambiti locali o nazionali della coordinatrice KAS (clandestina, viste le implicazioni di collegamento con l’organizzazione eversiva armata), lavorando appunto su basi teoriche marxiste. Con seminari di formazione, permanenti passaggi d’informazione, riunioni di pianificazione e specifiche assemblee.

Il secondo livello (B), quello dell’impegno personale, specialistico diciamo, consisteva nella partecipazione molto attiva, lottando con uno qualsiasi degli organismi sociali più o meno conosciuti pubblicamente: appunto sindacati, movimenti popolari, gruppi o società culturali, giovanili, femministe, d’appoggio ai prigionieri, ecc. Cioè a partire dal concreto sociale, fisicamente vivo e collettivo dei nuclei combattivi locali, di base.

In terzo luogo (C), nell’ambito più aperto di partecipazione personale nel ‘partito’ parlamentare HB, si trattava di intervenire discretamente ‘come semplice cittadino’ in riunioni o assemblee di paese, pubbliche e abbastanza frequenti, come anche nelle manifestazioni politiche di massa; oltre a trovarsi a volte (raramente) presenti nelle stesse commissioni o liste elettorali municipali, regionali o nazionali, e persino statali (spagnole). Solo in caso di necessità, si potrebbe dire.

Seconda caratteristica: Ognuno di questi tre livelli di ‘militanza’, cioè di partecipazione e dinamizzazione, dovevano restare sempre autonomi uno dall’altro, quando non clandestini. Sia il deputato, che un semplice militante ecologista, giornalista o sindacalista, non doveva in principio non solo rivelare la sua contemporanea militanza in KAS, ma pure evitare di esplicitare gli altri due interventi del suo ambito di lavoro di base come ‘militante’ del KAS. Quindi, con la massima immersione, ma nel rispetto delle diversità dei contesti di lavoro, ad esempio tra quella di HB ed un’altra in un organismo sociale (studentesco, anti-repressivo, ecc.). Anche se naturalmente, soprattutto in ambiti di quartiere o di paese, la fiducia e tipica vitalità e fluidità collettiva basca nei rapporti sociali, poteva permettere più ampli margini di trasparenza o di compromessi ‘incrociati’; persino pubblicamente riconoscibili. Soprattutto tra ‘compagni’, quindi con garanzie di discrezione (fosse solo per ragioni di sicurezza, vista la nota e massiccia diffusione della tortura di stato) e di comprensione riguardo a queste diverse espressioni o livelli di ‘militanza’ personale.

Terza caratteristica, dipendente delle precedenti: Conseguente a questa peculiare organizzazione della militanza, si instaura un cosiddetto ‘sdoppiamento’ del lavoro politico. Sia sul piano pratico o concreto di intervento che nel dibattito e formazione teorica. Cioè con la capacità di saper operare “in modo ben separato” in ognuno dei tre livelli ed in ogni contesto e situazione sociale. Rispettando quindi in modo assoluto i parametri specifici (etici, ideologici, di stile di lavoro, ecc.) dell’organismo (non sempre pubblicamente visibile) in cui ci si muove, si lavora, si dibatte e a volte si assumono delle responsabilità. Evitando in ogni caso cortocircuiti, o attribuzioni di posizioni di responsabilità, influenza o condizionamento grazie alle conoscenze ed esperienze negli altri due livelli di intervento o dinamizzazione politica. Tutto ciò solo in parte spiegabile a partire dalle condizioni di clandestinità imposte da una dura repressione. Con varie decine di morti e più di 10.000 torturati da parte delle forze coloniali spagnole, per non dimenticare questa pagina terribile della Spagna Post-franchista, soprattutto nell’Euskal Herria.

Per concludere: ecco un interessante esempio di ‘guida’ politica, o di dinamizzazione organizzativa intelligente e di fatto democratica, nel rispetto permanente e di principio di ogni diversità o specifica espressione collettiva dell’universo di classe, ideologica e proletaria in generale. Quindi, non unicamente di guida verso o nei sindacati, oppure rispetto al ‘braccio armato’ come nel caso del vecchio partito. Una capacità di dinamizzazione adattabile a proposte o esigenze di ogni contesto o tipo d’intervento, permettendo però - attraverso permanenti dibattiti nelle armature collettive del KAS - una sofisticata convergenza strategica di classe oltre che nazionale. Con combinazioni ed esperienze tattiche a volte particolarmente ardite - non solo ideologicamente - tra ambiti, settori, organismi movimenti e militanze rivoluzionarie operaie, o semplicemente proletarie, di una parte significativa della società basca. Una prassi che oltretutto, non va trascurato, si andava via via sviluppando e radicando alla base: nei quartieri e località di quasi tutte le città e regioni del paese, favorendo il ripristino del senso collettivo reale, naturale e locale, di una lotta in principio generale e nazionale39.

Allo scopo di meglio illustrare le peculiarità del caso basco ci serviremo di due esempi, la nascita estremamente difficoltosa, in un panorama mediatico affogato in modo traumatico dalla stampa coloniale spagnola e francese, dell’unico quotidiano basco tuttora esistente, Egunkaria40, e l’impressionante battaglia contro il progetto atomico di Lemoiz, paralizzato dopo un decennio di lotte durissime di ogni tipo, molto estese a livello popolare. Sia spontanee che perfettamente organizzate.

Si potrebbe considerare il miglior paradigma di questo fenomeno organizzativo, della sua enorme potenza ed eccezionale qualità politica, il fatto di essere riuscito a bloccare la costruzione della centrale nucleare di Lemoiz, imposta dalla Spagna e dalla borghesia collaborazionista basca negli anni 70. Una lotta ecologica, nazionale, di classe e culturale. Evidentemente ‘anche’ partigiana, viste ad esempio le centinaia di tralicci elettrici abbattuti, o i colpi inferii con esplosivo nel cuore stesso della centrale, persino a costruzione già quasi terminata. Durante tutto il periodo della battaglia si verificavano infatti innumerabili piccoli o grandi sabotaggi operati dagli stessi lavoratori della centrale o presso i fornitori.

La potenza multinazionale del progetto nucleare, e poi la sua disfatta con tonnellate di acciaio e cemento che perdurano tuttora a Lemoiz come testimonianza di una quasi incredibile vicenda -dopo centinaia di detenuti, molti torturati, vari morti, e per anni diversi prigionieri e rifugiati - è un episodio storico che non deve farci perdere di vista alcuni altri elementi significativi. A cominciare malauguratamente del fardello marxista che in meno di una decina d’anni ha purtroppo permesso se non favorito lo scollamento analitico, e poi politico del KAS dalla composizione di classe. Con un'assurda sostituzione delle dimensioni operaie reali attraverso la mitizzazione del cosiddetto ‘PTV’, “Pueblo Trabajador Vasco”, popolo lavoratore basco, concepito fin dall’inizio del movimento come espediente o concetto elettoralistico per HB, che ha poi, purtroppo, via via rimpiazzato la critica marxiana approfondita, o marxista in questo caso, della società. Portando al progressivo scollamento dei militanti del KAS e della stessa organizzazione partigiana dai precisi, prioritari ma sempre contraddittori terreni sociali di lotta.

Oltre agli aspetti già illustrati, dovremmo inoltre includere le prospettive d’ambito informazionale, culturale e persino ‘spirituale’ che la particolare civiltà basca continua sotto sotto ad esprimere e che facevano pur parte del non detto o dell’inscritto o ammesso tacitamente nella stessa concezione del KAS; soprattutto nell’ambito della lotta culturale. In particolare linguistica, presente non a caso attraverso specifici codici trasmessi - con la lingua, il canto o la poesia popolare ‘di piazza’ (del tipo delle ottavine toscane) - dal più antico, radicato e riconosciuto idioma vivente europeo. Come già si comincia a riconoscere nell’ambito accademico internazionale. Quindi, trasversalmente potremmo dire, con sempre vitali usanze collettive come il famoso ‘auzolan’ o lavoro di quartiere, o comunale come direbbero nella Rojava. In questo caso precisamente applicato all’attività politica, persino con certe specificità a-patriarcali (c’è persino chi afferma ‘matriarcali) tipiche del resistente entroterra basco, in parte ancora pastorale e contadino, anche se sommerso da una civiltà sempre più industrializzata e metropolitana.

Questa variegata e complessa dinamizzazione di tradizioni e scambi è stata mantenuta almeno fino alla ripresa della profonda iniziativa sistemica e UE, amministrata in Euskal Herria dal nazionalismo spagnolista borghese, il democristiano Partito Nazionalista basco (PNV). Con un'impressionante ristrutturazione socio-economica neoliberista da un lato, e dall’altro con la posteriore e lenta ‘ripresa’ del KAS (ed ETA), in questo caso con classiche strategie di ‘direzione’ politica, da parte del partito del/nel regime HB. Sempre più protagonista e primo attore ‘politico’, naturalmente nel senso mediatico ed istituzionale.

Ciò che spiega tra l’altro l’autocritica nostalgica segnalata a pagina 2141, con la conseguente fatale regressione verso schemi partitocratici tradizionali, di centralismo anti-democratico. Quindi sistemici e molto simili a quelli dei partiti classici, come abbiamo visto già denunciati a suo tempo da Rosa Luxemburg. Nell’ambito dominante del parlamentarismo, con elettoralismi o votocrazia e riferimenti istituzionali in primo luogo.

Regressione alla quale, logicamente, non hanno potuto rispondere i vecchi schemi marxisti ai quali era andata via via accomodandosi buona parte della militanza, soprattutto e logicamente la più stagionata o professionalizzata, dunque più integrabile nell’ottica del parlamentarismo ‘socialista’ o ‘socialdemocratico’, cioè nella concezione ‘democratica’ dei regimi parlamentari sistemici. Nonostante alcuni coraggiosi ma vani tentativi di ripresa o riscossa teorica, tra cui il già segnalato intervento di Justo della Cueva42, non si è però sviluppato un movimento tale da impedire lo scollamento dalle contraddizioni - in particolare, per esempio, della nuova composizione dei settori salariati scatenata dall’offensiva neoliberista - non solo nell’ambito operaio generale, ma in tutta la società basca.

Parliamo precisamente di un processo che si può soprattutto imputare alla perdita sempre più manifesta e generale, da parte degli ormai cosiddetti insorti o rivoluzionari, proprio delle necessarie cinque chiavi che abbiamo cercato di sviscerare in queste pagine. Di fronte a una società in rapida ‘evoluzione’ ed integrazione neoliberista metropolitana. Dunque, con il comprensibile e crescente populismo dell’Unità Popolare, HB; cioè con quelle tendenze sempre più ‘interclassiste’ e votocratiche volgarmente parlamentaristiche. Pertanto con una progressiva e fatale omologazione alle mansioni politiche di sinistra di tutti i regimi politico-istituzionali dell’UE.

Nonostante le derive degli ultimi decenni la sperimentazione del KAS rimane un’esperienza politica peculiare, con fenomenali potenzialità, certo non circoscrivibili alla sola società basca, ma interessante per chiunque pensi che un processo rivoluzionario possa sempre presentarsi o porsi all’ordine del giorno. Senza accontentarsi ed appagarsi con gli impeti iniziali e con le dinamiche e possibili diffusioni inerziali o meccaniche - disorganizzate - come purtroppo abbiamo costatato finora.

 

Movimento, teoria, coscienza, attuazione, emancipazione, connessione, liberazione generale...

Visto il sempre più lamentabile stato di cose, risulta molto difficile parlare ora di conclusioni. Tanto per cominciare, di fronte alle crescenti prospettive di un cataclisma ecologico generale, che si avvicina senza quasi incontrare ostacoli. Ben accompagnato da una degradazione sociale, umana, e soprattutto metropolitana sempre più solitaria, telediretta e alienata.

Sebbene si aprano sempre delle esperienze importanti con rinnovate possibilità antagonistiche, a volte persino affrontate in modo organizzato ed effettivo, liberate da ideologie e vecchi schemi di lavoro e di lotta che ne decretano l'inevitabile fallimento. In ogni caso, come la Rojava insegna, evidentemente ben più appassionanti del funesto futuro che ci propongono le ‘sinistre’ del capitalismo. Proprio in misura, della loro coerenza con queste chiavi o strumenti flessibili e dinamici, quanto solidi e accessibili che abbiamo qui illustrato.

Visto che ci possono consentire - è l’obiettivo di tutto questo messaggio - di scoprire e collegare ciò che abbiamo in comune: classi, movimenti e soggetti sociali già ora disposti o attivi nelle lotte globali, a cominciare dalle specifiche condizioni nazionali e statali. Come via necessaria, insistiamo, per armare ed attivare l’unico soggetto globale che può personificare la negazione definitiva di questa tanto più infetta e penetrante quanto profondamente sofisticata civiltà del Capitale. Da non intendersi come una cosa, un mostro esterno ad ognuno di noi, bensì un rapporto sociale generale molto complesso, in cui siamo sommersi come persone. Patologicamente mediate dall’Avere e dai suoi alienanti poteri psicologici, emozionali, culturali, intellettuali, spirituali o ideologici.

Quindi, concretamente, questi stimoli di teoria, coscienza, connessione, movimento, emancipazione, e liberazione generale dovrebbero poter trasmettere incitamenti di lavoro generale più creativo, fruttuoso e contundente contro il capitalismo di quello che per esempio avevano ereditato i movimenti di rivolta internazionale degli anni '60 e '70. Rigidi e sorpassati come ‘il partito’ del ‘centralismo democratico’ dei lavoratori, tipo Terza Internazionale o Komintern. Con le corrispondenti dottrine e settarismi: vecchi, scialbi e facilmente integrabili dal sistema. Ma ci si può aspettare naturalmente che nei prossimi tempi si possa sviluppare una nuova e diffusa ondata di sollevazioni, e com'è consueto soprattutto giovanile e inesperta. In contrapposizione a una, finora ben alienata ma radicata, gerontocrazia parlamentaria al servizio di un Capitale globale sempre più intelligente grazie alle nuove tecniche e tecnologie.

Attenzione però! Tutte le esperienze che si possono raccogliere dall’ormai ben più che centenario impegno umano per uscire e superare lo stato miserevole ed autodistruttivo dell’apoteosi dell'Avere, dello “stato di cose presente” di Marx, devono essere verificate con la terza chiave che abbiamo evidenziato. Per esempio nel caso dell’evento KAS, rilevandone la sua estraneità organizzativa e politica spaziale o globale. Cioè, almeno, verso i corrispondenti ecosistemi sociali più vicini, francese, spagnolo e catalano in questo caso. O Europeo in generale, per esempio rispetto all’italiano e tedesco così attualmente significativi. Oggi più che mai infatti, tutta la ricchezza dell’essenziale, basilare, lavoro collettivo locale - abbiamo segnalato il tipico ‘auzolan’ basco per esempio - non ha nessun futuro costruttivo di fronte alla crescente globalizzazione sistemica metropolitana, se non sviluppando connessioni - operaie per cominciare - nelle direzioni su cui abbiamo ripetutamente insistito. Dunque su terreni concreti - e mondialmente intesi - di ogni iniziativa, movimento, organizzazione inter/nazionale o inter/statale esistente. Comprendendone però le specifiche composizioni e contraddizioni, quindi le ricchissime diversità potenziali, da criticare o sviluppare, con riguardo ad ogni estensione nazionale o regionale di tutta l’immensa dimensione virtualmente insorgente.

Quindi, in primo luogo, con connessioni tattiche settoriali, fondate su ogni specifica realtà sociale e con pratiche locali ma connesse alla visione globale di ogni specifico settore.

Come base per attivazioni e dinamizzazioni strategiche, coordinate localmente ma connesse globalmente, con tutti gli altri potenziali operativi disposti ad uscire dal contaminante mondezzaio alienante ed individualista in cui ci stiamo progressivamente (e tecno-logicamente) sommergendo!

Possiamo tornare, in conclusione e circolarmente, all’inizio, alle nostre cinque chiavi teoriche:

* Dimensionalità operaia: unica plausibile ed efficace per uscire dalla barbarie. Ma solo se intesa nella profondità, completezza ma gran contraddittorietà e varietà del ‘per sé’.

* Categoricamente inscindibile trinomio contro natura della dimensione operaia: proprietà, alienazioni e sfruttamento capitalisti.

* Consapevolezza delle composizioni ed evoluzioni sociali, nella storia delle lotte, per far fronte alla caducità ed estraneità di prescrizioni meccaniche e ideologiche, marxiste comprese.

* Coscienza delle alienazioni crescenti contro la vita. Cominciando per esempio dal patriarcato, chiave patologica sempre centrale nell’attuale riproduzione umana. Alienazioni ora bio-ipermediatizzate, che “creano nuove ‘zone’ attorno a corpi che ora si muovono attraverso ‘spazi codificati’, intessuti di informazione”.

* Proprietà, patrimonio capitalista, espropriazione-accumulazione, eredità, con tutti i loro fraudolenti ‘diritti’ antidemocratici: con cui riproducono direttamente potere, violenza, oppressione, sfruttamento e classi. Capitale e ricchezze, dunque l’Avere, come chiave basilare di dispiego del vigente modello etico generale, contro l’Essere di ognuno di noi, ma anche e sempre più, contro la nostra essenza universale, collettiva e vincolata a tutto l’ecosistema del pianeta Terra.


Note
1 Civiltà capitalista, un ormai abbagliante mondezzaio prodotto da “automatismi tecnici, linguistici, finanziari e psichici che sempre più spesso conducono al suicidio: il suicidio collettivo della devastazione ambientale, e il suicidio individuale che inghiotte un numero crescente di vite umane.” (Quando) “occorre invece comprendere la tragedia e parlare il suo linguaggio, se si vuole entrare in sintonia con la mutazione profonda che sta attraversando la società. E se si vuole cercare, ammesso che esista, una via d’uscita dall’abisso cui il capitalismo ha destinato la storia dell’umanità.” F. Berardi “Bifo”, Scacco (matto?), http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/?p=3570 .
2 Parliamo in primo luogo di una tangibile dimensione o classe ‘operaia’ (del sistema o modo di produzione e sviluppo presente, capitalista) che esiste IN SÉ ed è quindi ben definibile. Con precise caratteristiche che ne determinano la sua spiegabile realtà complessiva; naturalmente in continuo sviluppo e trasformazione come tutta la società. Quando invece la specifichiamo come classe PER SÉ, ciò è dovuto alla concretezza del presentarsi in modo esplicito come tale sulla scena culturale, sociale, economica e politica, cosciente di essere una classe specifica del sistema. Con consapevolezza politica di esistere in quanto tale, classe o dimensione operaia soggetta al Capitale. Quindi con coscienza delle proprie condizioni e caratteristiche; perciò anche delle contraddizioni - proprie interne o complessive - e dei processi con cui si sviluppano. Ciò che fin’ora non è quasi mai accaduto nella storia dei vari conflitti storici di classe del capitalismo. A parte, in determinate situazioni, una ormai proverbiale ma ottusa coscienza ‘per sé’ di determinati settori lavoratori salariati della classe, esibita in genere da organizzazioni socialiste, comuniste, ecc. sulla scena sociale e politica. Rivendicandone pertanto e purtroppo la rappresentazione totale come ‘classe’ - di questo unico e preciso settore lavoratore - tra tutto l’insieme molto composito di classe operaia. In realtà, una dimensione ben più vasta e complessa dei settori salariati e tradizionalmente sfruttati.
3 S. Mezzadra, M. Neumann, “Al di là dell’opposizione tra interesse e identità. Per una politica di classe all’altezza dei tempi” http://www.euronomade.info/?p=9402 .
4 Nonostante le vaste e profonde “ricerche teoriche di parte dei contributi apparsi sui siti di Commonware, Effimera, EuroNomade (che) si muovono sulla falsariga della metodologia operaista che prende piede nella conricerca e nell’inchiesta sulla condizione operaia ai tempi dello sviluppo delle prime lotte dell’operaio massa”, come scrive in Effimera Andrea Fumagalli, in “Operaismo, post-operaismo? Meglio neo-operaismo”. Da citare come uno tra molti esempi odierni interessanti, tra l’altro ancora quasi solo o soprattutto sviluppati in Italia.
5 S. Mezzadra, M. Neumann.
6 A. Fumagalli, ultimo paragrafo, “Metamorfosi del rapporto capitale-lavoro: l’ibridazione umano-macchina” (http://effimera.org/metamorfosi-del-rapporto-capitale-lavoro-libridazione-umano-macchina-andrea-fumagalli/).
La delinquenza etica, legalizzata, dello sfruttamento del lavoro altrui per esempio, o delle aggressioni all’ecosistema, non devono comunque esimerci dal riconoscere aspetti di ruolo creativo, ‘associativo’, costruttivo e produttivo dell’imprenditore quando incarna oggettivamente delle aliquote favorevoli nello sviluppo della specie.
Dobbiamo quindi chiederci di quale tipo di sviluppo si tratta, possiamo parlare allora di veri e propri delinquenti anche se camuffati all'interno delle nuova carità professionalizzata di Fondazioni, ONG, ecc. le quali provocano però a loro volta, molto spesso, nuove forme di alienazioni, dipendenze e abusi. Grazie tra l’altro agli attuali modelli ‘noblesse oblige’ di filantropia, sempre più diffusi soprattutto negli Stati Uniti, Gran Bretagna o Francia, in sostituzione di alcune funzioni degli stati e molto generosamente coperti da incredibili deduzioni delle imposte. Ad esempio Billy Gates e le sue istituzioni che ‘donano’ con finalità di beneficenza ‘gratuita, con la finalità di sostenere il modello d’appropriazione con cui si va ingrassando in modo spaventoso. Parliamo cioè di una pratica d’assistenza secolo XXI, quasi sempre estesa alle periferie dell’impero, che modernizza il classico ‘dono benefattore’ borghese, del Signor padrone, con l’attuale carità di multimiliardari e simili. Integrata e impulsata specialmente a partire da Reagan, Bill Clinton, Tony Blair, ecc. e non casualmente contemporanea alle scandalose privatizzazioni di determinati servizi (sanitari, assistenza, ecc.) che stiamo constatando e subendo da allora. Allo scopo di affondare lo ‘stato provvidenza’ e, en passant, potenziando rinnovate ideologie del sacro ‘lavoro’, Vedasi ora Macron. Ovviamente, un lavoro possibilmente infra-salariato e precario che si ricollega a tutta la politica generale ‘anti-crisi’ (!) poi giustificata dal famoso montaggio del ‘debito pubblico’. Un’altra fabbricazione essenziale dell’offensiva neoliberista, che gli interessati e gli imbecilli continuano appunto a chiamare ‘crisi’... mentre sono andati via via smantellando tutto un sistema impositivo di tipo ‘keynesiano’ su ‘fortune’ e ‘redditi’ dei più possidenti, accumulatori e sfruttatori, istituito nel secolo scorso per poter appunto finanziare il cosiddetto stato provvidenziale. Stato chiamato nelle diverse fasi storiche persino ‘sociale’, e del ‘benessere’. ma allora sostanzialmente anti-sovietico, se vogliamo ridurre all’osso tutta la questione.
8 Come vedremo più avanti, esistono logicamente e sempre più dei veri e propri processi di capitalizzazione operaia, con corrispondenti attribuzioni personali o familiari di valori e realtà ‘proprietarie’ (‘mini proprietà’ proletarie). Come del resto in altre dimensioni sociali ‘inferiori’. Grazie in primo luogo alla carica etica e ideologica del valore capitalista dell’AVERE rispetto a quello dell’ESSERE (collettivo e individuale), che ci aliena alla radice, nei confronti della nostra stessa natura; e poi rispetto a tutto l’ecosistema. Generando quindi tutta una conseguente dinamica di mini-appropriazioni e mini-patrimoni, cominciando per esempio dalla “propria casa”, dalla “mia macchina”, e poi via via con tutti gli oggetti e corrispondenti rapporti collettivi (competitività, ‘sicurezza’, mode e lo stesso patriarcato, per esempio) indotti dal ‘possedere’, dal consumismo e dalla cultura dominante, che costituiscono delle specie di involti - valori - apparentemente ‘normali’ dell’immondezzaio sociale generale. Normali o normalizzati certo, ma per nulla naturali. Vedasi allora proprio in questo caso - a parte la questione dell’alienazione generale - le precise alienazioni semantiche nodali contenute e trasmesse dal linguaggio, come nel caso del termine di naturale invece di normale... e viceversa!
9 Il loro nascere ‘contro’ o ‘altro’ diventa così serbatoio di innovazione sociale che alimenta, anche in modo inconscio, gli animal spirit del capitale, tramutandosi in linfa fresca per la sua perpetuazione”. Vedi, A. Fumagalli, “Metamorfosi del rapporto capitale-lavoro: l’ibridazione umano-macchina”.
10 Si veda per esempio il fondamentale intervento del sociologo basco J. de la Cueva su ‘Alienazione e identità delle classi sociali’ presentato nell’incontro “Socialismo secolo XXI in Euskal Herria” (Bilbo, 11 febbraio 2012). In particolare a proposito del settore studentesco della classe (punto 5: ‘Come le e gli studenti sono la seconda frazione più numerosa della classe operaia basca’); o sulla questione delle “casalinghe” (punto 4: ‘Come le “casalinghe” sono la frazione più numerosa della classe operaia basca’). http://www.abertzalekomunista.eu/es/biblioteca/autores-vascos/de-la-cueva-justo/158-alineacio-n-e-identidad-de-las-clases-sociales-2012 oppure: https://borrokagaraia.files.wordpress.com/2012/02/ipes-justo.pdf
11 Pur con tutta l’enorme ricchezza che offrono, in particolare in Italia, molte linee di ricerca marxiana connesse a questo discorso. Come forse per esempio questo frammento di A. Negri (da “Annotazioni sullo sciopero astratto”, Euronomade, http://www.euronomade.info/?p=4794 , nonostante i discutibili ‘due sensi’ del discorso). “Oggi (, certamente, non ci si può più deridere -) è a tutti evidente infatti che siamo in una situazione nella quale il capitale ha interamente identificato quel nuovo ricchissimo contesto nel quale il lavoro vivo si esprime e lo ha interamente posto sotto il suo comando. Il capitale ha agito in due sensi. Da un lato, ha articolato il suo comando alla vivente produzione di linguaggi; d’altro lato, opera attraverso la funzionalizzazione dei bisogni e dei desideri al comando capitalista. Il capitale (nel neoliberalismo) vuole che la forza della soggettivazione produttiva si riconosca come soggetto del rapporto di capitale. Vuole servitù volontaria.”
12 A. Marazzi,“Rosa Luxemburg: rivoluzionaria, donna, femminista”, www.utopiarossa.blogspot.com e https://ilcomunista23.blogspot.com.es/2016/05/rosa-luxemburg-rivoluzionaria-donna.html
13 M. Cento, R. Ferrari, “ Fare la propria parte: Rosa Luxemburg e la disciplina della rivoluzione”, http://stefano-santarelli.blogspot.com.es/2014/11/rosa-luxemburg-e-la-disciplina-della.html
14 M. Montinelli, T. Rispoli,“Note sparse sulla Democrazia consiliare. A partire da Rosa Luxemburg”, http://www.lumproject.org/note-sparse-sulla-democrazia-consiliare-a-partire-da-rosa-luxemburg/
15 M. Fisher, trad. A. Fumagalli, D. Gallo Lassere, “Verso l’Acid Communism. Presa di coscienza e postcapitalismo.
16 K. Raveli , “Tras las huellas del algoritmo capitalista” http://argentina.indymedia.org/news/2017/04/905933.php
17 M. Fisher, trad. A. Fumagalli, D. Gallo Lassere, “Verso l’Acid Communism. Presa di coscienza e post-capitalismo.
18 F. Monferrand, V. Chanson , “Réification et antagonisme. L’opéra'isme, la Théorie critique et les apories du “marxisme autonome” http://revueperiode.net/reification-et-antagonisme-loperaisme-la-theorie-critique-et-les-apories-du-marxisme-autonome/
19 T. Terranova, “Red stack attack! Algoritmi, capitale e automazione del comune” http://www.euronomade.info/?p=1893
20 Primi antichi abbozzi di gioventù, dall’emigrazione: https://sinistrainrete.info/marxismo/4005-karlo-raveli-verso-la-metamorfosi-completa-delloperaio-sociale.html
21 Il poderoso lavoro di S. Mezzadra “Nei cantieri marxiani. Il soggetto e la sua produzione”, Manifestolibri, può servire molto bene per approfondire e sviluppare questo lavoro critico, con la dovuta prudenza rispetto al tema sostanziale della classe.
22 Su leificazione vedi l’ultimo commento in: http://barcelona.indymedia.org/newswire/display/495396/index.php : “C'est justement un dépassement sémantique que l'on propose, avec ce terme de léification. Au moins c'est ce que nous pourrions en déduire. Bien au-delà d'une soumission aux lois, il s’agirait en effet de l'intégration dans son propre univers mental, en particulier dans le logiciel étique des pensées d'un sujet, des catégories de référence et des parcours déterminés entre tout-ga, que chaque loi utilise et veut conditionner ou aliéner. Donc, plus qu'une soumission, voilà une puissante aliénation de sa propre liberté et spontanéité, ce qui va conduire volontairement le sujet vers des nouveaux objectifs choisis apparemment par lui meme, mais déterminés sur la base des nouvelles catégories d'analyse et de choix intégrées avec l’acceptation des valeurs contenus ou affirmés par des normes ou des lois “extérieures”, et pas seulement comme choix d'obéissance vers ces normes ou lois spécifiques.
23 E. Leonardi, “Neo-operaismo e decrescita. Aprire un percorso di riflessione” http://effimera.org/neo-operaismo-decrescita-aprire-un-percorso-riflessione-emanuele-leonardi/
24 T. Terranova, “Red stack attack! Algoritmi, capitale e automazione del comune” http://www.euronomade.info/?p=1893
25 S. Mezzadra, M. Neumann, “Al di là dell’opposizione tra interesse e identità. Per una politica di classe all’altezza dei tempi” http://www.euronomade.info/?p=9402
26 M. Fisher, trad. A. Fumagalli, D. Gallo Lassere, “Verso l’Acid Communism. Presa di coscienza e post-capitalismo".
27 “È essenziale ricordare che gli algoritmi hanno per il capitale un valore strumentale che non esaurisce il ‘valore’ della tecnologia in generale e degli algoritmi in particolare, ovvero la loro capacità di esprimere non solo il ‘valore d’uso’ (per dirla con Marx) ma anche valori estetici, esistenziali, sociali ed etici.” T. Terranova
28 Senza mai scordare il ruolo dello stato in tutto ciò. Come cita e sottolinea Mezzadra “Nei cantieri marxiani” da un paio di paragrafi di “La questione ebrea” di Marx, “lo stato è il mediatore tra l’uomo e la libertà dell’uomo. Tanto più il ‘mediatore’ si perfezione e tanto più lo ‘stato politico perfetto’ da espressione, rappresentandola, alla ‘vita generica dell’uomo’, più si approfondisce la scissione tra quest’ultimo e una ‘vita naturale’ dell’uomo”.
29 F. Monferrand, V. Chanson , “Réification et antagonisme. L’opéra'isme, la Théorie critique et les apories du “marxisme autonome” http://revueperiode.net/reification-et-antagonisme-loperaisme-la-theorie-critique-et-les-apories-du-marxisme-autonome/
30 Ivi.
31 E. Leonardi, “Neo-operaismo e decrescita. Aprire un percorso di riflessione” http://effimera.org/neo-operaismo-decrescita-aprire-un-percorso-iiflessione-emanuele-leonardi/
32 Si vedano per esempio riferimenti indicativi sulle “formazioni” curde Tev Dem, Ybs, Pyd, Pkk e Kck segnalate in “Sfidare la modernità capitalista: cosa si è detto alla conferenza di Amburgo”,
http://www.infoaut.org/index.php/blog/approfondimenti/item/18619-sfidare-la-modernit%C3%A0-capitalista-cosa-si-%C3%A8-detto-alla-conferenza-di-amburgo
33 Ultimi paragrafi di “Classe e partito: note finali” in http://stefano-santarelli.blogspot.com.es/2014/11/rosa-luxemburg-e-la-disciplina-della.html
34 Dal commento “Anonimoa-k dio, 23:22 07/02/2017 in QQue fue de la revolución socialista vasca?” https://borrokagaraia.wordpress.com/2017/02/07/que-fue-de-la-revolucion-socialista-vasca/
35 Accettando comunque la differenza tra il concetto di ‘stato nazionale’, che corrisponde ad una unità istituzionale realmente nazionale in termini sociali, storici e culturali, e quello di ‘stato-nazione’ che (come tutt’ora la maggior parte) corrisponde ad una situazione oggettivamente plurinazionale. Ma generalmente governata da una nazione dominante che impone la propria lingua, cultura e specifici processi storici e sociali. In fin dei conti occupante o coloniale, e ancora troppo spesso realmente etnocida.
36 Justo de la Cueva su ‘Alienazione e identità delle classi sociali’ presentato nell’incontro “Socialismo secolo XXI in Euskal Herria” (Bilbo, 11 febbraio 2012) http://www.abertzalekomunista.eu/es/biblioteca/autores-vascos/de-la-cueva-justo/158-alineacio-n-e-identidad-de-las-clases-sociales-2012
37 A livello formale si dovrebbe dire che all’iniziativa partigiana si affiancavano formalmente nella coordinatrice KAS delle organizzazioni come HASI (partito marx-leninista), ASK (specializzata in movimenti sociali), LAB (sindacato dei salariati), Jarrai (gioventù) o Egizan (femminismo). Ma ciò che ci interessa realmente esplorare del KAS sono le caratteristiche del potenziale di connessione e dinamizzazione generale, e di classe, fondate sulla dimensione etica e strategica del lavoro politico ‘socialista-rivoluzionario’ nel rispetto delle diversità ideologiche, proprio per superare meccanicismi ed autoritarismi tipici o inerziali del concetto tradizionale di ‘organizzazione centralizzata’ rigida o monolitica di ‘partito’.
Per quanto riguarda invece il sindacato LAB va sottolineato che si tratta - o trattava, fino alla ‘socialdemocratica’ dissoluzione del KAS all’inizio degli anni novanta - di uno tra i rarissimi sindacati metropolitani che non funzionano come organismi d’accompagnamento e in fin dei conti collaborazionisti del sistema capitalista. Una deriva integratrice che come ben sappiamo precede l’attuale offensiva neoliberista. Basti ricordare il ruolo nefasto di gran parte del lavorismo sindacalista degli anni 60 e 70 contro altri movimenti di classe: studenti, ‘femminismo’, ecc. Per non riprendere il corrispondente discorso sulla rivoluzione tedesca, ecc.
38 È assolutamente indispensabile ed urgente la ricodifica del termine e concetto di DEMOCRAZIA, che soprattutto dopo la rivoluzione sovietica ha subito sempre più l’appropriazione e banale falsificazione borghese come sinonimo del regime parlamentario e dello stato ‘di diritto’ capitalista, intrinsecamente anti-democratici. Invece di essere esattamente inteso come espressione di processi di potere popolare, e di classe nel linguaggio marxiano. Con gli stessi strumenti di manipolazione con cui si espropriano altri concetti, come quello di terrorismo, da parte di stati e istituzioni - polizie, eserciti, ecc. - che praticano e sopravvivono proprio grazie ai loro specifici terrorismi. Lo stesso si può estendere ad altri termini politici, come ‘libertà’ e ‘libertario’, o ‘giustizia’, ‘diritto’, ecc. che solo possono riacquistare valori naturali od oggettivi, e quindi riemanciparsi, in presenza di potenti movimenti sociali profondamente critici ed intelligenti.
39 “Costruire una forza rivoluzionaria consiste precisamente in questo oggigiorno: articolare tutti i mondi e tutte le tecniche rivoluzionarie necessarie, aggregando tutta l’intelligenza tecnica in una forza storica e non in un sistema di governo”. (Comitato invisibile, “Ai nostri amici”, 2015).
40 Egunkaria (giornale), un quotidiano in assoluto esplicitamente portavoce ‘socialista rivoluzionario’ piuttosto omologabile, per esempio, a Il Manifesto italiano, venne assalito e serrato dalla ‘guardia civile’ spagnola la notte del 20 febbraio 2003, agli ordini del famigerato tribunale speciale spagnolo denominato Audiencia ‘Nacional’, tutt’ora attivo. Il direttore di Egunkaria Martxelo Otamendi venne catturato con altri 10 giornalisti e furono sottomessi a tortura per ben 4 o 5 giorni, aggiungendosi così ai più rinomati tra le varie migliaia di torturati baschi dalla morte del dittatore. In uno stato ‘democratico’ della UE. L’impressionante mobilizzazione generale della popolazione basca che ne è immediatamente seguita, forse uno degli avvenimenti di massa più rilevanti degli ultimi anni, impose e finanziò in pochi giorni la riapertura del giornale. Sotto un nuovo nome, BERRIA (nuovo), fino ad oggi in edicola.
41 Dal commento “Anonimoa-k dio, 23:22 07/02/2017 in “^Que fue de la revolución socialista vasca?” https://borrokagaraia.wordpress.com/2017/02/07/que-fue-de-la-revolucion-socialista-vasca/
42 J. de la Cueva su ‘Alienazione e identità delle classi sociali’ presentato nell’incontro “Socialismo secolo XXI in Euskal Herria” (Bilbo, 11 febbraio 2012)

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C. Speziali
Wednesday, 19 August 2020 17:04
Raveli, hai fatto centro. Parlando dell’ex-quotidiano comunista.
Guarda un po’ cosa ci racconta un paio di giorni fa’ la Castellina, per dipiù chiudendo un editoriale:
“Quello su cui non ha purtroppo scritto ancora nessuno, ed è quanto ha reso così difficile la vita della sinistra oggi, è come si possa aggregare il soggetto antagonista, vale a dire usare positivamente la ricchezza delle nuove contraddizioni, impedendo che esse diventino invece divisive.
La difficoltà sta nel fatto che assai meno di una volta, quando c’era una bella classe operaia omogenea e geograficamente concentrata, non basta la protesta: serve, per far nascere il nuovo soggetto, più mediazione politica e culturale di un tempo. I movimenti di protesta sono indispensabili perché si muovono, ed hanno perciò antenne sensibili. Ma da soli non bastano.”
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Francesco
Tuesday, 21 July 2020 17:17
Anche se in chiave riformista così come purtroppo funziona ormai il Manifesto, troviamo a volte qualche perla.
Per esempio questa di Aliberto Olivetti quando offre anche lui qualche chiave importante per ‘aprire connessioni’ tra movimenti. Così in Allargamento dell’esistere e comunismo del 17 scorso, ricorda per Ingrao quando afferma che “le realtà, vuoi soggettive, vuoi di relazione, plurali, poliedriche e multiformi, producono complessità e come complessità agiscono. «Dar conto della complessità»: tale, dice Ingrao, è il compito d’una politica che sia intesa a «esprimere un allargamento dell’esistere» e si faccia dunque capace di articolare una praxis che ne determini le condizioni, ovvero l’espansione delle libertà. Dove, a ben vedere, la locuzione allargamento dell’esistere par qui giunta a sussumere il termine comunismo”.
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Karlo
Wednesday, 01 July 2020 16:57
Stati Popolari.
A quanto pare si riaccende un ampio movimento proletario e operaio che potrebbe - a partire dal 5 luglio prossimo, a Roma - dare l'avvio a connessioni operaie reali, dinamiche, come cerco di sviluppare in:
“Dimensione operaia degli Stati Popolari, Sardine, ecologismo, antirazzismo, antipatriarcato...”
che è in via di pubblicazione.
Buon lavoro a tutti!!
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Susanna
Saturday, 07 September 2019 15:00
Uno scritto che si dovrebbe tradurre affinchè lo possano leggere anche Greta Thunberg e tutti quei giovani che rappresentano ormai l'unica speranza per uscire dal cataclisma umano che si avvicina!
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K. R.
Thursday, 14 March 2019 15:32
Rispondo anche a Diego, in un commento che ho appena inviato allo stesso indirizzo (https://www.sinistrainrete.info/sinistra-radicale/14499-karlo-raveli-proprieta-patriarcato-e-criminalita-ecologica-cop24.html)
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K. R.
Thursday, 14 March 2019 15:30
Totalmente d'accordo, Cesare, è ciò che sviluppo nell'ultimo articolo proprio qui:
https://www.sinistrainrete.info/sinistra-radicale/14499-karlo-raveli-proprieta-patriarcato-e-criminalita-ecologica-cop24.html
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Cesare SG
Thursday, 21 February 2019 16:03
Direi proprio che per aprire "connessioni operaie globali" decisive per le "prossime esperienze e ribellioni per un ancora possibile riscatto dell’umanità" dovremmo scommettere le nostre forze sulle lotte femministe ed ecologiste, oltre che sulle lotte dei lavoratori, centri sociali, internazinaliste e così via.
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Diego G.
Thursday, 07 February 2019 12:09
Mi piacerebbe avere qualche riferimento utile per poter approfondire meglio questa questione, o esperienza, di KAS.
Mi ricorda forse un pò ciò che succede, quasi incredibile, nella Rojava, il curdistan siriano.
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Giorgio
Friday, 10 November 2017 19:47
Mi sembra una definizione strategica abbastanza difficile da decifrare, ma molto arricchente e illuminante, persino in rapporto alle eccellenti proposte sviluppate da Ortiz de Zarate in "Alternativas al poder corporativo", che non ho trovato in italiano.
(http://www.icariaeditorial.com/libros.php?id=1632)
Infatti la formulazione di premesse (6), agende, proposte (20) e misure politiche (90) di Ortiz de Zarate non sopporta in modo sufficiente, mi pare, le basi molto profonde e chiare per una strategia globale che si presentano qui. Per superare questo sistema criminale che ci conduce tutti verso il disastro.
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