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Article Index

 

 

Redditi diseguali

Durante il 19°e il 20° secolo le differenze nei livelli di reddito tra paesi diversi sono state le più marcate. Nel corso degli anni queste differenze sono diminuite a causa delle lotte della classe operaia all’interno dei singoli paesi. Negli ultimi 20 anni questa tendenza verso la parità è nuovamente cambiata: mentre le condizioni di vita tra le diverse nazioni diventano sempre più simili, le differenze di reddito all’interno dei paesi si sono acuite drasticamente.

Nei paesi di recente industrializzazione il divario salariale è altrettanto elevato come nell’ Europa di 100 anni fa. Negli Stati Uniti, tra il 1950 e il 1970, le differenze salariali sono state le meno accentuate - nel corso degli anni 1960 erano meno pronunciate, ad esempio, rispetto alla Francia, dove solo dopo il 1968 i livelli di reddito più bassi sono stati in grado di colmare il loro ritardo. A partire dalla contro-rivoluzione neoliberista la disparità di reddito è esplosa, e si è ulteriormente aggravata con il manifestarsi della crisi globale - soprattutto se si prendono in considerazione i salari netti, una volta dedotte le imposte e i trasferimenti per contributi sociali. Tra il 1970 e il 2010 il valore medio dei patrimoni privati in termini monetari è aumentato in modo significativo, in particolare in Giappone e in Europa. Questo aumento del ‘tasso di risparmio’ si è tradotto in una diminuzione della crescita – le imprese hanno cessato di investire. Gli attivi finanziari detenuti dagli Stati-nazione si sono ridotti e il debito pubblico è cresciuto. Nei paesi dell’ex capitalismo di stato, (ma non solo), attraverso il processo di privatizzazioni è stato messo in atto l’estremo saccheggio e l’accumulo esasperato di beni in mani private. 13

 

Differenti settori - differenti condizioni di lotta

Miniere: Una volta, i minatori e le loro famiglie vivevano vicino alle miniere, quindi i loro villaggi costituivano anche comunità di lotta. Ecco, è in corso un importante processo di ristrutturazione, in particolare quando si tratta di miniere a cielo aperto: ora, i minatori sono spesso ingaggiati come lavoratori con contratti a tempo determinato, di durata limitata, e vivono in insediamenti di container (o di altre forme di alloggio organizzato) lontano dalle loro famiglie.

Tessile / abbigliamento / industria calzaturiera: Questi sono i settori più importanti nei paesi in via di sviluppo. Soprattutto vi sono impiegate giovani donne – situazione del tutto paragonabile a quella in Europa del 19°secolo. La ‘nuova divisione internazionale del lavoro’ nel corso degli anni 1970 ha avuto le sue origini in questi settori. Le fabbriche possono essere delocalizzate più facilmente, dato che i macchinari per la produzione non sono particolarmente costosi. Il settore è caratterizzato da imprese di piccole e medie dimensioni, i margini di profitto sono bassi. Le imprese dipendono in larga misura da contratti di fornitura sottoscritti con grandi marchi di moda o con catene di vendita al dettaglio. Il design di progettazione e (a volte) il taglio avvengono separatamente dai reparti di produzione a forte intensità di mano d’opera (esternalizzata). Nel 2005 e 2008 sono state abolite le barriere mondiali di importazione che dovevano proteggere le industrie locali. Oggi, la Cina (o meglio, le ‘imprese in Cina’) è il più grande produttore manifatturiero al mondo, impiegando in questi settori 2,7 milioni di persone. Le aziende con sede sociale in Taiwan gestiscono fabbriche in Messico e Nicaragua, le imprese cinesi aprono nuovi stabilimenti in Africa.

Automobile: L’automobile resta ancora il bene di consumo più complesso. Poche imprese automobilistiche multinazionali dominano il settore, con la pianificazione a lungo termine delle attività delle unità produttive locali e con elevate esigenze in materia di infrastrutture. Il settore dipende in maniera massiccia da sovvenzioni statali. Le fabbriche moderne utilizzano macchinari costosi e sempre più impiegano solo lavoratori tecnologicamente qualificati. La forza lavoro è segmentata in permanenza, personale con contratti a tempo determinato, lavoratori interinali, lavoratori a contratto, tutti divisi da significative differenze salariali. Questo è un fenomeno globale.

Elettronica di consumo:  Si tratta di lavoro parzialmente qualificato, comunque una grande quota di lavoratori vengono formati all’interno dell’impresa. I livelli di qualità richiesti da questi prodotti sono elevati, in quanto i prodotti tendono ad essere costosi. Rispetto alla dotazione strumentale e ai macchinari  possiamo riscontrare investimenti principalmente a lungo termine, che implicano una pianificazione decisamente ponderata su dove stabilire la produzione. La produzione per conto terzi per vari marchi in mega-fabbriche, soprattutto in Cina, è diventata comune (Foxconn, ecc): la loro capacità produttiva è abbastanza sviluppata da produrre i telefoni cellulari per l’intero pianeta.

Edilizia: Durante gli ultimi decenni, questo settore ha giocato un ruolo sempre più importante, dovuto al fatto che i progetti di complessi residenziali e di gigantesche costruzioni sono stati solo mezzi per gonfiare bolle speculative. Nei cantieri vengono impiegati principalmente migranti provenienti dalle campagne o dall’estero. Soprattutto si tratta di lavoratori maschi. I progetti di importanti costruzioni sono spesso sviluppati all’esterno di aree urbane, il che significa che i lavoratori sono collocati in accampamenti e baracche.

Logistica: Accanto alla rilocalizzazione globale della produzione, la quantità di lavoro nel settore dei trasporti è aumentata in modo spettacolare, mentre nel contempo si registra un calo significativo dei costi di trasporto. Oltre a qualche gruppo di professionisti ben pagati, il settore vede l’impiego  principalmente di lavoratori manuali non specializzati, spesso di migranti in condizioni di semi-legalità. Nei centri di distribuzione in tutto il mondo stanno emergendo nuove importanti concentrazioni di lavoratori.  

Servizi: Tutto ciò che non è agricoltura, estrazione mineraria o fabbricazione manifatturiera. Mentre in passato i servizi venivano espletati là dove si rendevano direttamente necessari, oggi la maggior parte del lavoro d’ufficio, come i servizi amministrativi e logistici (back-office), contabilità, call center, ecc. può essere eseguita in qualsiasi parte del mondo, basta avere a disposizione una connessione Internet.

La segmentazione dei lavoratori attraverso i diversi rapporti di lavoro è una grande sfida per le lotte comuni, le vecchie formule consuete sono diventate inefficaci. (Dopo gli scioperi all’inizio degli anni 1970, i «lavoratori ospiti» (Gastarbeiter) avevano lottato per trovare la loro collocazione all’interno dei sindacati, costituendo così la base degna di fiducia per tutte le mobilitazioni future. Al contrario, i nuovi immigrati sono per lo più lavoratori a contratto temporaneo o interinali.)

Ma solo nella narrazione stalinista o socialdemocratica la classe operaia viene rappresentata come un blocco omogeneo. In realtà era già molto eterogenea nel 19° secolo o nel 1920, - e non solo in termini di divisioni tra i lavoratori e lavoratrici, o fra operai del posto e immigrati. Non possiamo equiparare la classe operaia con i soli lavoratori dell’industria! Anche nell’Inghilterra del 19° secolo la metà della forza lavoro era impiegata al di fuori del sistema di fabbrica. E potremmo anche trovare differenze salariali addirittura del 300 per cento in Germania, tra i lavoratori di fabbrica con passaporto tedesco. Seppure in tali circostanze, storicamente la classe operaia ha imparato più e più volte a lottare (insieme).

 

La fine della questione contadina

Nell’autunno del 2008 veniva pubblicato un articolo nel Wildcat No.82, che attaccava la romanticizzazione della classe dei contadini da parte del movimento anti-globalizzazione. La tesi principale era che in ogni caso attualmente la ‘questione contadina’ non occupava una posizione separata e che piuttosto bisognava inglobarla nella ricomposizione, a partire dal basso, della classe operaia globale.

Nel corso delle prime fasi della storia, gli esseri umani solevano produrre i loro mezzi di sussistenza in piccole comunità ed erano dipendenti dalle fluttuazioni naturali della produzione. In contrasto a questo processo, fin dall’inizio il Capitalismo ha creato il mercato mondiale, e la sua principale forza produttiva (le macchine) è essa stessa un prodotto del lavoro umano. Il contesto generale di una società globale diventa la condizione fondamentale della nostra esistenza e della nostra riproduzione (“una Seconda Natura”), e in questo senso questa è la vera comunità umana. Solamente dopo, i mezzi di sostentamento dell’umanità hanno iniziato a dipendere dal lavoro sociale piuttosto che da quello individuale, e quindi siamo stati in grado di sollevare la questione dell’appropriazione collettiva dei mezzi di produzione - e ai nostri giorni questa questione si impone a livello globale!14

Contrariamente a questa proposizione, Samir Amin 15, fra gli altri, continua a presentare una posizione antimperialista classica. Egli divide ancora il globo nella triade (Unione Europea, Giappone, Stati Uniti) e nelle periferie del mondo, in cui vive l’80 per cento della popolazione mondiale, metà della quale nelle campagne. Se non si trova una soluzione per tutta questa massa di persone, nessun ‘altro mondo’ sarebbe possibile. Amin valuta che il processo che gli altri chiamano globalizzazione in realtà non è altro che un’implosione in corso del sistema imperialista. Egli scarta come ingenua l’idea del movimento anti-glob di cambiare il mondo senza prendere il potere – tanto ingenua come l’idea di un compromesso ecologico con il Capitale. Amin afferma che la ‘rendita imperialista’, di cui gli strati medi sociali del nord globale beneficiano, costituisce un ostacolo al percorso di una lotta comune. Al fine di instaurare il socialismo o il comunismo, i lavoratori e i popoli devono trovare strategie offensive su tre livelli, come già puntualizzato da Mao: il popolo, lo Stato, la nazione. Un ritorno al modello keynesiano del dopoguerra è impossibile - la storia non fa retromarcia. Tuttavia, secondo Amin la questione contadina resta comunque centrale: l’accesso alla terra per tutti i contadini e lo sviluppo di un’agricoltura più produttiva, tutto all’opposto del ‘folklore campagnolo’, attraverso la costruzione di industrie e lo sviluppo di forze produttive.

Queste proposte politiche sono antiquate, come analisi ancorate nel passato: attualmente in Cina è la terza generazione di lavoratori migranti che sta lavorando in fabbriche che alimentano il mercato globale. Nel processo di esodo di milioni di contadini sradicati dalle aree rurali, si è andata a formare in maniera classica una classe operaia industriale. La divisione tra abitanti delle città e abitanti rurali non è stata superata, ma gli ex abitanti dei villaggi hanno in gran parte dissolto i loro legami con la terra e, soprattutto, non vogliono più tornare ad essa!

Più interessante, però, è la tesi di Amin contro l’idea che i paesi in via di sviluppo nei ‘mercati emergenti’, ad esempio, le nuove ‘Tigri’, il Brasile, la Turchia, ecc, potrebbero diventare i nuovi centri del capitalismo: secondo lui, le ‘valvole di sicurezza’ necessarie perchè questo avvenga mancano in queste regioni.    La proletarizzazione in Europa del 18°secolo aveva come valvola di sfogo di sicurezza la migrazione verso l’America. Oggi avremmo bisogno di diverse Americhe perchè processi simili di industrializzazione possano accadere nei paesi a ‘mercato emergente’. Quindi questi non hanno possibilità di recupero. Per approfondire l’analisi, questo argomento deve essere ulteriormente affinato attraverso la seguente domanda: che cosa succede nei processi reali e attuali di industrializzazione, una volta che le lotte non possono essere incanalate verso la democrazia sociale, da una parte, o d’altro canto verso la migrazione di massa?

 

La proletarianizzazione si converte in lotta di classe

Spesso, ci si rende conto solo col senno di poi, se e quando è avvenuta una trasformazione con un salto di qualità. Nel 2004 veniva registrato il primo ‘ingorgo stradale globale’. Gli scioperi in Cina nel delta del Fiume delle Perle, nel 2004, al culmine del boom segnavano il primo grande ciclo di lotte nel ‘nuove fabbriche’. Attraverso lotte offensive, gli scioperanti ottenevano significativi aumenti salariali, con conseguente effetto sulla situazione nelle fabbriche in tutta l’Asia orientale. In Vietnam, Cambogia, Bangladesh, Bahrain, scoppiarono scioperi dei lavoratori e con la vertenza dei conducenti di autobus in Iran nel 2006 prese piede il primo importante sciopero dal 1979! Un’ondata mondiale di lotte operaie può essere ripercorsa a partire dal 2006, vale a dire prima della grande crisi economica globale. Questa ondata raggiunse il suo picco nel 2010, quando gli scioperi avvennero in quasi tutti i paesi del mondo, aprendo la strada a rivoluzioni politiche e a movimenti di protesta per le strade. Questi ultimi avvenimenti hanno attirato molto di più l’attenzione dei media; comunque, senza gli scioperi nel settore dei fosfati in Tunisia e gli scioperi di massa nel settore tessile a Mahalla in Egitto tra il 2006 e il 2008, le insurrezioni in questi paesi non avrebbero avuto luogo.

 

L’ondata di proteste 2006 – 2013

Gli anni che vanno dal 2006 al 2013 sono stati caratterizzati da un’ondata di proteste di massa per le strade, da scioperi e rivolte di dimensioni senza precedenti. Secondo la Friedrich-Ebert-Stiftung di New York, 16 questa ondata  è paragonabile solo ai moti rivoluzionari del 1848, del 1917 o del 1968 – questo centro studi ha analizzato complessivamente 843 movimenti di protesta tra il 2006 e il 2013, in 87 paesi, che coprono il 90 per cento della popolazione mondiale: proteste di ogni tipo, contro le ingiustizie sociali, contro la guerra, per un’effettiva democrazia, contro la corruzione, rivolte contro gli aumenti dei prezzi degli alimentari, scioperi contro i padroni e scioperi generali contro l’austerità. (Meno positive sono state, ad esempio, le mobilitazioni clericali 16  in Polonia contro l’aborto).

Degno di nota è il gran numero di proteste che si sono svolte in paesi ‘ad alto reddito’ e il fatto che solo il 48 per cento delle proteste violente è avvenuto in paesi a basso reddito; nella maggior parte dei casi avevano come motivazione gli alti prezzi degli alimentari e dell’energia. Quarantanove manifestazioni di protesta esigevano riforme agrarie, 488 avevano come obiettivo le politiche di austerità e richiedevano giustizia sociale, mentre 376 proteste proclamavano la volontà di conseguire una ‘effettiva democrazia’. Molte proteste erano espressioni della completa perdita di fiducia nella ‘Politica’. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, i dimostranti presentavano le loro richieste allo Stato: erano i responsabili politici che avrebbero dovuto agire! Spesso le forme di lotta sono andate al di là delle dimostrazioni o degli scioperi tradizionali, assumendo il carattere della ‘disobbedienza civile’, attraverso, ad esempio, blocchi stradali ed occupazioni. In particolare, le occupazioni della pubblica piazza e l’organizzazione comunitaria della vita quotidiana come forme di lotta hanno avuto ripercussioni sull’intera area del Mediterraneo e negli Stati Uniti.

Il confronto con il ‘Sessantotto’confonde più di quanto sia in grado di chiarire: il Sessantotto rappresentava un movimento rivoluzionario globale, ma non è stato l’anno del picco degli scioperi - al contrario, questi hanno avuto inizio negli anni 1960 e hanno raggiunto il culmine  solo verso la metà /o la fine degli anni 1970.

 

L’ondata di lotte dopo il 2005 si caratterizza per aspetti molto differenti:

Rivolte per il cibo - Fin dall’inizio della crisi economica globale dovuta alla speculazione finanziaria, il Capitale si era rifugiato verso risorse più ‘sicure’, come le materie prime, gli alimenti di base e i terreni agricoli e, quindi, entro un breve lasso di tempo, innescava un massiccio rialzo dei prezzi dei prodotti alimentari essenziali; questi prezzi hanno raggiunto i massimi storici, prima nel dicembre 2007 e poi di nuovo nel 2010. Tra l’autunno 2007 e l’estate 2008, i proletari in larga parte dell’Africa e della Cina hanno reagito con scioperi e movimenti insurrezionali e hanno costretto i loro governi o i loro padroni a continuare a sovvenzionare le derrate alimentari di base.

Il movimento delle piazze - Sulle ‘piazze’, i raggruppamenti e le organizzazioni dalle tendenze rivoluzionarie sono stati attivi, ma effettivamente minoritari. La maggior parte dei partecipanti era ‘attiva sulle strade’ per la prima volta e dimostrava una notevole capacità nell’auto-organizzare la vita quotidiana e nella riproduzione delle informazioni – ma questi manifestanti non erano ‘militanti politici’. L’immagine mediatica di questi movimenti era in gran parte influenzata dalla classe media, forse perché i giornalisti comunicano al meglio con le persone del proprio contesto sociale. E una protesta di massa nella capitale riceve più visibilità di uno sciopero nelle province. Per tutto questo, la partecipazione dei proletari è stata largamente sottovalutata, sebbene molti di loro avessero preso parte e combattuto la polizia in prima linea. Però questi movimenti erano, nella maggior parte dei casi, rivolti contro il governo, contro la corruzione e per la ‘democrazia reale’, e non per la ‘causa del lavoratori’. 17             

Il movimento sembrava avere un carattere mondiale, ma rimaneva intrappolato nel quadro dei rispettivi Stati nazionali. Molti di questi movimenti presentavano ‘due anime’: da un lato, i proletari più poveri e i migranti che avevano perso il lavoro, dall’altra parte, gli intellettuali e gli universitari precari che consideravano un lavoro ben pagato come un diritto umano. La classe media era stata particolarmente colpita dalle politiche dei tassi di interesse elevati, dai debiti statali e dalle misure di austerità – questo ha spinto componenti del ceto medio ad assumere posizioni più radicali e quindi ad entrare in azione. A volte alcuni hanno spiccato il ​​salto nel gioco della politica e della partecipazione al potere attraverso le elezioni - come i Podemos in Spagna.

L’ondata di scioperi mondiale - In Wildcat no.90 Steven Colatrella, nel suo documento ‘Nelle nostre mani è riposto un potere’, sottolineava come le lotte, nell’ultimo quadrimestre del 2010, erano andate a configurarsi in un’ondata di scioperi globale. Nel 2010 gli scioperi raggiungevano una portata geografica e quantitativa senza precedenti nella storia. Egli attribuisce questo alla fine del neoliberismo e alla ri-costituzione della classe operaia. Secondo Colatrella, l’espansione degli scioperi condotti con modalità ‘tradizionali’ era in grado di fornire alle lotte un potere, una direzione e un aiuto tali da superare le debolezze dei ‘tumulti contro il FMI’.

“Ma lo spostamento delle produzioni su scala mondiale non ha prodotto nuove classi lavoratrici, [...] ma piuttosto questo spostamento globale ha creato un nuovo potere strutturale per grandi settori di lavoratori che raramente avevano goduto di un tale potere, se non forse a livello strettamente nazionale.” 18

I lavoratori nel settore tessile, nel comparto calzaturiero, nel settore automobilistico o di altre produzioni ora erano in grado di andare all’attacco delle strutture di potere economico globale, sia a livello nazionale che mondiale. Una più stretta integrazione nell’economia mondiale e le aggressioni simultanee alle loro condizioni di vita attraverso la crisi del capitalismo avevano accresciuto sia il loro potere strutturale che organizzativo. L’ondata di scioperi è parte della formazione di classe, collegando fra loro le lotte e dando senso politico allo scontro contro la globalizzazione capitalista. I lavoratori che difendono i loro interessi economici entrano in diretto confronto con il potere politico. Le loro lotte hanno quindi valore politico.

Colatrella concettualizza l’ondata di scioperi globale a partire dal 2007 come “scioperi contro la governance del mondo”, vale a dire, come l’azione mondiale e simultanea dei lavoratori di molti paesi contro lo stesso nemico. Ma la simultaneità non crea un’effettiva comunanza di visione politica, e un nemico comune non significa necessariamente che si creano dei legami fra coloro che lo combattono. 

 

BRICS, MINTS – i punti caldi dell’ondata di scioperi

Di fronte alla stagnazione dei tassi di crescita nei principali paesi di antica storia, il Capitale ha focalizzato le sue aspettative sui cosiddetti Stati BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa – dove risiede il 40 per cento della popolazione mondiale, l’acronimo è un’invenzione del 2001 della banca di investimenti statunitense Goldman Sachs), che (a parte la Russia) beneficiano di una forza lavoro industriale giovane, in espansione, che rivendica condizioni di vita migliori. Il presidente dello Stato del Brasile assicurava a tutti una promozione nella ‘classe media’. Inizialmente sembrava che gli Stati BRICS non fossero colpiti dalla crisi generale e le economie controllate dallo Stato come quella cinese sembravano ‘immuni’ contro questa crisi. I capitali non investiti sono volati verso queste regioni, i tassi di crescita in un primo momento hanno continuato ad aumentare, anche se più lentamente rispetto agli anni precedenti.

Ma è soprattutto in questi paesi ‘sostenuti’ dal capitalismo che i lavoratori sono riusciti a imporre consistenti aumenti salariali attraverso dure lotte. I loro scioperi hanno molti punti in comune: per lo più avvengono in settori centrali delle rispettive economie, le imprese interessate operano a livello multinazionale, nelle loro lotte i lavoratori si contrappongono ai sindacati esistenti, cercano sindacati alternativi o mettono in campo le loro proprie forme di organizzazione. In molti casi, lo Stato attacca gli scioperanti con violenza, per contro i lavoratori esercitano la violenza contro i responsabili e i dirigenti delle imprese, o contro i crumiri. 19

Nel 2014 questi scioperi sono continuati, anche se, come nel caso dell’India, la loro azione si inseriva in un quadro di una massiccia svalutazione della moneta locale e di un calo delle vendite nel settore automobilistico. Dal 2013 una parte consistente di capitali è stata ritirata dagli Stati BRICS e trasferita verso i cosiddetti Stati MINTS - Messico, Indonesia, Nigeria, Turchia e Corea del Sud – ed anche questi Stati presentano una popolazione di grandi dimensioni e molto giovane e almeno alcuni di loro sono stati teatro di imponenti movimenti di protesta negli ultimi anni.     Nel giugno 2013, in Turchia ha avuto luogo un’importante sollevazione popolare (‘le proteste di Gezi Park’) e nel maggio 2015 l’intero settore automobilistico è stato scosso da un’ondata di scioperi, nel corso della quale i lavoratori hanno cacciato via i loro vecchi sindacati.       In Iran, il 2014 è stato l’anno con il maggior numero di controversie industriali e di proteste dei lavoratori. Il momento più intenso è stato lo sciopero dei 5.000 lavoratori nelle miniere di minerale di ferro di Bafgh, quando i lavoratori sono riusciti a fermare la privatizzazione. I lavoratori hanno proseguito le agitazioni per quasi 40 giorni, fino a quando l’ultimo operaio arrestato veniva rilasciato – si trattava della vertenza più lunga dopo la rivoluzione del 1979.

Nei paesi di nuova industrializzazione, si sono manifestati movimenti dei lavoratori con notevoli similitudini, nonostante la grande diversità dei rispettivi ambienti, sia dal punto di vista culturale che politico - e questi movimenti hanno imposto notevoli aumenti salariali nel giro di pochi anni. 20 I lavoratori si sono avvalsi della loro posizione nelle catene di produzione internazionali, ad esempio durante lo sciopero delle fabbriche Honda in Cina. 21

In molte lotte sono state presentate richieste paritarie, idonee all’azione contro la segmentazione all’interno della forza lavoro, che i padroni al giorno d’oggi cercano di imporre a livello mondiale in tutte le imprese includenti quote maggiori di lavoratori specializzati (Esempi: i lavoratori dell’industria automobilistica in India, i lavoratori nelle miniere in Sud Africa).22

 

Lavoratori e Stato

Come fanno le lotte operaie a diventare rivoluzionarie? La Rivoluzione si sottrae alla deriva dalle condizioni oggettive, al contrario le affronta. Se in una società caratterizzata da rapporti patriarcali le lavoratrici lottano collettivamente per il miglioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro, se si assumono rischi nella lotta, attraversando confini, scoprendo nuove potenzialità e desiderando saperne di più sul mondo, allora questo processo è probabilmente ‘rivoluzionario’. Che visione di ‘comunismo’ possono avere i lavoratori in un paese dove i capitalisti sono organizzati all’interno del Partito Comunista? Dovranno sviluppare nuove idee attraverso le lotte. Questo processo sicuramente vedrà il suo inizio non unicamente dalle fabbriche, invece avrà bisogno di impulsi esterni, per esempio, da movimenti giovanili, che puntualizzano su tutto e tutto mettono in discussione.  

Il concetto di ‘classe operaia mondiale’ si contrappone all’idea di una ‘classe operaia nazionale’. Si presuppone che non esistano più le condizioni per una integrazione della classe operaia nello Stato attraverso un movimento operaio (socialdemocratico). Nel 1848 i lavoratori non concepivano ancora ‘la Patria’, ad un artigiano proletario non importava di lavorare a Colonia, a Parigi o a Bruxelles. Solo le politiche sociali statuali  e l’orientamento dei partiti operai a ‘portare le lotte all’interno dello Stato stesso’ hanno vincolato gli operai al concetto di ‘Nazione’. Dal 1968 ha preso spazio un diffuso ri-orientamento a lungo termine del movimento proletario con una decisa presa di distanza dallo Stato - e dal concetto di Stato stesso. Dal 1980 lo smantellamento dello stato sociale ha prodotto una qualche ‘alienazione’, un certo allontanamento di gran parte della società nei confronti dello Stato, ma per la ‘classe operaia centrale’ lo Stato funziona ancora: basta considerare i massicci interventi statali dal 2008 per salvare l’industria automobilistica in Germania, Stati Uniti e in Francia. Per la sinistra tradizionale lo Stato è il campo politico entro il quale il sistema capitalistico può essere cambiato, o meglio, le sue peggiori conseguenze possono essere ‘dominate’.

Storicamente il Capitale, fin dal suo inizio, si è espresso come relazione globale, mediata attraverso il mercato mondiale. Ma senza lo Stato e (le istituzioni che applicano) le leggi e i mercati nazionali del lavoro, il Capitale non sarebbe stato in grado di sopravvivere e di svilupparsi. Lo stato sociale garantisce alcune protezioni sociali solo per la propria popolazione e, quindi, trasforma i proletari in ‘cittadini’. Ma il Capitale è stato in grado di svilupparsi solo avendo accesso ad un esercito industriale di riserva costituito da braccianti agricoli, contadini, proletari sotto-occupati di altri paesi. Oggi, in quasi tutti i paesi industrializzati sono presenti classi lavoratrici multinazionali senza più legami profondi con lo Stato in cui vivono - mentre i lavoratori ‘locali’ e ‘naturalizzati’, e le classi medie in via di declassamento, si aggrappano allo Stato ed esigono da questo una protezione speciale.

Nel corso degli ultimi 20 anni, il nemico di classe ha smantellato le strutture statali ovunque non è stato in grado di far fronte alla lotta di classe, mettendo in gioco eserciti privati, mafia e regimi da guerra civile. Questa distruzione dei sistemi di sicurezza sociale ha prodotto movimenti migratori su larga scala. In tali situazioni dense di minacce diventano più attrattivi, come isole di stabilità, gli ‘Stati forti’ o le ‘democrazie controllate’ (Russia, Cina). Dove la classe operaia può sfruttare l’assenza dello Stato per edificare le sue proprie strutture? Qual è il bilancio di una globalizzazione dal basso?

 

Processi di comunicazione mondiale

Oggi è possibile per i lavoratori stabilire contatti diretti tra di loro, da un capo all’altro, anche a grandi distanze, senza dover fare appello a mediatori. Grazie alle reti digitali è diventato molto più facile, anche in aree remote, conoscere cosa sta succedendo nel mondo, rispetto a tre, quattro decenni fa. Le lotte diventano contagiose se i lavoratori in un’impresa vengono a conoscere che altri lavoratori, pur correndo dei rischi, vedono la loro lotta coronata da successo - come ad esempio lo sciopero nelle fabbriche di calzature di Yue Yuen nel 2014, che ha visto la partecipazione di 40.000 lavoratori. Nel 2015, in Vietnam, circa 90.000 lavoratori della stessa impresa sono entrati in sciopero, mentre contemporaneamente 6.000 lavoratori di nuovo scendevano in lotta in Cina.  

Dopo la vertenza del 2014 non è passato un mese in Cina senza che almeno un calzaturificio non sia stato colpito da azioni di lotta dei lavoratori. 

I lavoratori si interessano delle rispettive lotte, anche oltre i confini nazionali - anche senza visibili contatti organizzativi. Gli operai delle diverse imprese riferiscono sulle loro condizioni e discutono fra di loro, ad esempio, sui forum di Internet. 

 

Migranti

I legami più evidenti tra i proletari di tutti i paesi sono i migranti. Ci sono stati momenti storici in cui masse di lavoratori militanti hanno abbandonato i loro rispettivi paesi per evitare la repressione - come la Spagna e la Grecia negli anni 1970 o la Turchia negli anni 1980 - e hanno portato con sé le loro esperienze di lotta e di organizzazione. Nelle lotte delle fabbriche in Germania, spesso hanno costituito le avanguardie. Un altro esempio è rappresentato dagli immigrati dal Messico, che hanno lasciato questo paese per trovare lavoro nel settore agricolo negli Stati Uniti e qui hanno organizzato scioperi. (Non tutti i lavoratori migranti sono o rimangono proletari - il lavoro autonomo è spesso l’unico modo per uscire dalla miseria e la rete di loro connazionali  può servire come mezzo per organizzare le proprie scelte iniziali. I migranti spesso appartengono a quei gruppi di persone che vogliono progredire e ottenere condizioni di vita migliori, qualunque cosa accada e a qualsiasi prezzo, e a questo scopo decidono di mobilizzare una riserva di manodopera mal pagata dall’interno delle loro comunità.   Pertanto tali reti non servono affatto per gettare le fondamenta organizzative  della lotta di classe.)

 “Il proletariato sembra quindi scomparire nel momento stesso in cui la condizione proletaria si generalizza.” (Samir Amin)

Per quattro decenni la velocità dei movimenti di classe non è stata in grado di eguagliare la velocità con cui il Capitale ha percorso il globo in cerca di forza lavoro valorizzabile. Ora, questa situazione si è capovolta. I lavoratori in Egitto, Cina, Bangladesh, Messico, Sud Africa, ecc. fanno uso delle nuove possibilità tecnologiche per difendere i propri interessi; le loro lotte acquistano rapidamente un’audience mondiale. Per la prima volta emerge una classe operaia globale con la capacità di organizzare la produzione e la riproduzione globale - e quindi può trasformare questo mondo. Nel Nord del mondo è più difficile registrare questa ‘nuova condizione’; in effetti, dopo gli anni 1980, il Capitale ha utilizzato la minaccia della delocalizzazione per ricattare i salariati. (Mentre allo stesso tempo una piccola parte della classe operaia - ‘il ceto medio’ - è riuscita a guadagnare del denaro profittando della speculazione finanziaria, almeno temporaneamente, a volte di più che attraverso il lavoro.)

 

Il ruolo della sinistra

Quale ruolo possono giocare i militanti o gli intellettuali di sinistra? A partire dalla grande ondata di scioperi del 2010, gli scienziati sociali orientati verso sinistra in tutto il mondo hanno riscoperto la classe operaia e hanno impostato ricerche sui movimenti dei lavoratori. Ma quando i sociologi intervistano lavoratori individualmente, ne escono spesso con una buona dose di frustrazioni, perché queste persone pensano solo a se stesse e alle loro famiglie. Forse che costoro sono “un diverso tipo di specie umana”, una volta che sono al lavoro o quando lottano tutti insieme? E.P. Thompson scriveva già nel 1963 che, se la storia sociale venisse fermata in un dato momento, si troverebbero solo degli individui. La ‘Classe’, al contrario, definisce le persone che vivono tutte insieme la loro propria storia - quindi deve essere analizzato un periodo di storia sufficientemente lungo.        

The Making of ...’, la formazione della classe operaia è uno sviluppo all’interno della storia politica e culturale e al tempo stesso all’interno della storia economica. “La classe operaia si è costruita da se stessa, tanto quanto è stata costruita.23

E d’altro canto, perché i lavoratori dovrebbero fare affidamento sugli scienziati sociali ?

In ‘Junge Welt’, 24 il filosofo ungherese Gaspar Miklos Tamas ha recentemente affermato che per la prima volta nella storia ci troviamo ad affrontare la situazione grottesca di una intellighenzia marxista senza un movimento marxista. Questo porta con sé due pericoli: da un lato, il pericolo dell’avanguardismo che parla a nome di un proletariato ‘passivo’ - un proletariato che ignora che qualcuno  prende la parola al suo posto, un proletariato che non condivide i valori dell’avanguardia che spiega ai proletari quello che si suppone dovrebbero sentire, pensare e fare. Principalmente sono piccole formazioni della sinistra radicale ad incorrere in questo pericolo. L’altro pericolo è la fusione della sinistra radicale con il movimento generale, democratico, antifascista e egualitario – ciò che causerebbe la scomparsa della critica marxista.

Entrambe queste tendenze si possono riscontrare nell’ambito delle nuove lotte di classe. Alcuni vogliono costruire da subito una ‘nuova Internazionale’ – e ce ne sono già così tanti! Altri rifiutano di criticare la classe operaia e il loro intento è solo quello di sostenere i lavoratori nelle loro lotte. Costoro vogliono fare uso delle reti decentrate organizzate dalle ONG o si precipitano direttamente nelle braccia dei sindacati.  

Conferenze internazionali vertono sulla questione di come i lavoratori possono entrare in contatto a livello mondiale. Purtroppo perdura ancora il tradizionale ‘internazionalismo operaio’ con le sue organizzazioni centralizzate e gerarchiche che lasciano poco spazio all’aperto dibattito. Alle conferenze internazionali i delegati di queste organizzazioni hanno la presunzione di asserire, fingendo, che esistono ancora in tutto il mondo operai o impiegati che godono di un impiego a vita nella medesima impresa, per i quali i sindacati o i partiti dei lavoratori riescono ancora ad ottenere la ridistribuzione di una quota parte della ricchezza crescente. 25

Ma esistono anche attivisti di sinistra, critici dei sindacati, che tentano di organizzare i contatti tra le forze del lavoro dei differenti siti delle multinazionali - anche se è molto difficile andare oltre le visite reciproche e unificare realmente le lotte o organizzare scioperi di solidarietà.

Nel corso degli ultimi cinque anni, una parte diversa della sinistra radicale che vuole abolire lo Stato ha riposto le sue speranze nei sommovimenti popolari. Il ‘movimento delle piazze’ nel 2011 ha sorpreso e superato il dibattito sulla ‘insurrezione che sta per arrivare’. Sicuramente, le occupazioni delle piazze in Grecia nel 2008, gli Indignados in Spagna, l’occupazione del Gezi Park in Turchia, Stuttgart 21, Hong Kong, ecc. sono stati tutti movimenti con centinaia di migliaia di partecipanti - ma, in conclusione, non sono stati in grado di imporre alcunché! Questi movimenti hanno reso visibili le potenzialità che sollevamenti popolari simultanei possono avere su scala globale -, ma anche brutalmente hanno dimostrato i loro limiti: ad esempio, in Egitto, dalla Comune di Tahrir si è passati alla dittatura militare. I molti movimenti dopo Seattle, le sollevazioni di massa in Argentina nel 2001 e, infine, Occupy Wall Street, ecc., hanno dimostrato con la massima chiarezza che un ribaltamento dell’ordine sociale esistente è possibile solo una volta che i lavoratori prendono parte alle rivolte come lavoratori. Non è sufficiente che prendano parte alle manifestazioni, devono entrare in sciopero. In regime di capitalismo, lo sciopero è l’ultima arma attraverso cui il vero potere si sviluppa e si formano i soggetti collettivi.

Perfino il Comitato Invisibile, che fino ad ora non si è curato tanto dei lavoratori, ha iniziato ad avvicinarli (almeno a parole) 26 - e questo è uno sviluppo interessante: perché chi vuole abolire lo Stato, chi agogna la rivoluzione non sarà in grado di farlo senza i lavoratori! I proletari sono la stragrande maggioranza della popolazione e le loro lotte fanno avanzare le cose. Tuttavia la maggior parte degli esponenti della sinistra ancora non analizzano criticamente le lotte che effettivamente stanno avvenendo, ma per un riflesso immediato sollevano invece la questione della ‘coscienza di classe’. Costoro immaginano un proletariato organizzato in un partito e in un sindacato, situazione che non esiste ormai più dagli anni 1950.   

Che altro dobbiamo aspettare?” questa la domanda polemica presentata in un articolo in Wildcat-Zirkular no.65.   

L’emergere di organizzazioni mondiali proletarie? Scioperi di solidarietà? Imitatori pedissequi dei movimenti del passato? Un movimento politico diffuso in tutto il mondo? Il nuovo e interessante fenomeno riguardante la rivoluzione mondiale è il fatto stesso che nessuno detiene parametri, criteri o anche risposte per affrontare questa domanda. Uno dei criteri potrebbe essere verificare se delle comunità si sviluppano durante le diverse lotte - e fino ad ora questo non sembra essere il caso. I lavoratori lottano, ma non lottano insieme ... Piuttosto è vero il contrario: i lavoratori lottano, ma combattono solo per se stessi, e solo contano sulle proprie forze. E nemmeno stanno ad aspettare l’aiuto dei loro colleghi dell’impresa vicina!27

I lavoratori ignorano le vecchie organizzazioni e i vecchi partiti; ma nuove organizzazioni e nuovi partiti non sono ancora venuti alla ribalta. Non esiste ancora alcuna idea di una nuova società, che faccia presa sulle masse. Però, nelle lotte stesse possiamo vedere alcuni nuovi sviluppi interessanti. In Asia e oltre, i lavoratori hanno dimostrato straordinarie capacità di organizzare le loro lotte e di coordinarsi oltre i confini delle rispettive regioni. Loro hanno capito che si può vincere solo collettivamente. Sollevano richieste egualitarie contro le divisioni che il Capitale ha introdotto. Non permettono di essere frenati dai sindacati, che vogliono solo mantenere il controllo sulla classe lavoratrice. Non rifuggono dagli scontri duri. Essi affrontano e creano problemi per i quali il sistema non ha soluzioni.

Nelle loro lotte  i lavoratori entrano in conflitto con un sistema sociale che non ha niente da offrire alla grande maggioranza, a parte politiche di austerità - un sistema che non è più in grado di trasformare le lotte in ‘sviluppo’ sociale ed economico. Questo è un sistema sociale che orienta la rotta verso la sua prossima caduta, sotto la guida della sua ‘ultima superpotenza’, che combatte contro la sua scomparsa economica e politica con tutti i mezzi necessari. La più forte potenza militare del mondo non è più in grado di vincere le guerre, per non parlare di creare nuovi Stati stabili, ma può solo distruggere. Così facendo, questa potenza minerà ulteriormente la legittimità di questo ordine mondiale e riuscirà a mobilitare sempre più persone contro se stessa.

Chi darà una direzione ai prossimi scontri sociali? Forse le classi medie mondiali, che seguono mobilitazioni nazionaliste per paura di perdere i loro benefici sociali acquisiti? O il proletariato mondiale, il cui lavoro assicura a queste classi ricchezza e potere ? L’intelligenza collettiva del proletariato ribelle è superiore agli esperti meschini delle istituzioni; la capacità dei proletari di organizzare la produzione e di auto-organizzarsi è in grado di garantire la fornitura di beni e servizi necessari per le persone - i vari movimenti delle piazze e contro i grandi progetti infrastrutturali hanno dimostrato questo. I Proletari costituiscono l’unica forza che può contrastare la potenza distruttiva del Capitale.

In Wildcat abbiamo spesso espresso la speranza di un ‘incontro tra movimento operaio e movimento sociale’ - al fine di definire il ruolo della sinistra social-rivoluzionaria. Se si trattasse solamente di un’aggregazione di forze, il che non recherebbe danno a nessuno, un ‘fianco-a-fianco’ sulle ‘piazze’, in un clima di reciproca indifferenza, questo non potrebbe incidere nel futuro - se vogliamo ottenere che le cose vadano avanti.

Un nuovo soggetto rivoluzionario non sarà solo il risultato d i un processo di ‘omogeneizzazione’ (ancor meno di un’ ‘alleanza!’), ma piuttosto di processi di polarizzazione - e di divisione, all’interno della classe operaia. La discussione e la pratica politica della sinistra  dovranno affrontare queste problematiche.

Translated by Curzio Bettio(tlaxcala-int.org), originale here and here.
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Note:
[1] "Vom Klassenkampf zur 'sozialen Frage'" [“Dalla lotta di classe alla ‘questione sociale’], Wildcat Zirkular 40/41
[2] "Vom schwierigen Versuch, die kapitalistische Krise zu bemeistern" [“Sul difficile tentativo di affrontare la crisi capitalista"], Wildcat Zirkular no.56/57, maggio 2000
[3] Nota: Non è di semplice traduzione il termine tedesco "Umwälzung". Questo può significare transizione, trasformazione, capovolgimento, in alcune circostanze rivoluzione – in definitiva: cambiamento radicale.
[4] "Vollendung": suggerisce indirettamente ‘completamento’ e ‘fine’
[5] "Globalize it!", prefazione a Wildcat-Zirkular 38, luglio 1997
[6] "Asien und wir" [“Asia e noi”], Wildcat-Zirkular no. 39, agosto 1997
[7] "Open letter to John Holloway", Wildcat-Zirkular no.39, agosto 1997
[8] "Die neuen Arbeitsverhaeltnisse und die Perspektive der Linken" [“Le nuove relazioni nel mondo del lavoro e le prospettive della sinistra”], Wildcat-Zirkular 42/43, marzo 1998
[9] "Chiapas und die globale Proletarisierung" [“Chiapas e la proletarizzazione globale”], Wildcat-Zirkular no.45, giugno 1998
[10] "Historical Capitalism", Immanuel Wallerstein, 1983
[11] "Forces of Labor - Workers' movements and globalization since 1870", Beverly Silver, 2003
[12] Peter Dicken, “Global Shift, Mapping the changing contours of the world economy”(Cambiamento Globale, Rilevamento dei mutevoli contorni dell’economia mondiale), sesta edizione, 2011
[13] Göran Therborn, 'Class in the 21st Century', NLR 78, 2012
[14] ‘Beyond the peasant international’,[Al di là dell’internazionale contadina], Wildcat no.82, autunno 2008
http://www.wildcat-www.de/en/wildcat/82/w82_bauern_en.html
[15] Samir Amin, ‘The implosion of contemporary capitalism’,[L’implosione del capitalismo contemporaneo], New York, 2013
[16] Isabel Ortiz, Sara Burke, Mohamed Berrada, Hernan Cortes, ‘World Protests 2006 – 2013’,[Movimenti di protesta nel mondo 2006-2013], FES New York Office, 2013
[17] Confrontare l’articolo su Hong Kong del Mouvement Communiste:
http://mouvement-communiste.com/documents/MC/Letters/LTMC1439%20ENvG.pdf
[18] Wildcat no.90, estate 2011
http://www.wildcat-www.de/en/wildcat/90/w90_in_our_hands_en.htm
[19] Joerg Nowak, ‘Fruehling der globalen Arbeiterklasse. Neue Streikwelle in den BRICS-Staaten’,[Primavera della classe operaia mondiale. Nuova ondata di scioperi negli Stati BRICS],Sozialismus 6-2014
‘Massenstreiks und Strassenproteste in Indien und Brasilien’,[Scioperi di massa e proteste nelle strade in India e Brasile], Peripherie 137, 2015
‘Massenstreiks in der globalen Krise’,[Scioperi di massa nel quadro della crisi mondiale], Standpunkte 10/2015, online da rosalux.de
Torsten Bewernitz, ‘Globale Krise - globale Streikwelle? Zwischen den oekonomischen und demokratischen politischen Protesten herrscht keine zufaellige Gleichzeitigkeit’.[Crisi globale-ondata di scioperi mondiale?Tra i moti di protesta di natura economica e quelli per una democrazia politica non esiste assolutamente alcuna fortuita coincidenza], - Prokla 177, 12/2014
Dorothea Schmidt, ‘Mythen und Erfahrungen:die Einheit der deutschen Arbeiterklasse um 1900.’ [Miti ed esperienze: l’unità della classe operaia tedesca attorno al 190], -  Prokla 175, 6/2014
[20] Beverly Silver vede verificarsi la sua tesi dall’ondata di lotte del 2010: il trasferimento di capitali verso la Cina ha creato una nuova e crescente classe operaia combattiva. La Silver pensa ancora secondo categorie di movimenti periodici: Creare – Distruggere – Ricreare la classe operaia, e attualmente il pendolo sta oscillando all’indietro. Secondo la Silver, in questo periodo storico non è possibile, e nemmeno auspicabile che il Capitale risponda a queste lotte mettendo in gioco una qualsiasi forma di partenariato sociale keynesiano. Beverly Silver, ‘Theorising the working class in twenty-first-century global capitalism’,[Teorizzazione sulla classe operaia nel capitalismo del ventunesimo secolo], in: ‘Workers and labour in a globalised capitalism’[Lavoratori e movimento operaio in un capitalismo globalizzato], (Palgrave Macmillan); edito da Maurizio Atzeni (2014) http://krieger.jhu.edu/arrighi/research/socialprotest
[21] vedi l’articolo sulla Cina nel numero 98 di Wildcat, estate 2015 [non disponibile traduzione in inglese]
[22] In Germania, solo i lavoratori della Daimler, a Brema, hanno tentato di reagire contro i piani della direzione, che prevedevano di esternalizzare la produzione verso ‘fornitori di servizi’. Questi lavoratori hanno portato avanti uno sciopero selvaggio, ma non sono stati in grado di stoppare la manovra padronale.  
[23] E.P. Thompson, ‘The making of the English working-class’,[La formazione della classe operaia inglese], 1963
[24] ‘Die zwei grossen Gefahren’ [I due grandi pericoli], conversazione con Gaspar Miklos Tamas, giugno 2015
[25] Global Labour Journal
www.escarpmentpress.org/globallabour
Global Labour Institute
www.globallabour.info
Global Dialogue
www.isa-global-dialogue.net/volume-4-issue1/
[26] Comitato Invisibile “ Ai nostri amici”
“Per dirla platealmente: finché non saremo in grado di fare a meno di centrali nucleari e di smantellarle, e queste costituiranno un affare per coloro che vogliono la loro durata eterna, aspirare ad abolire lo Stato continuerà a fare sorridere; fino a quando la prospettiva di una rivolta popolare significherà piombare sicuramente in una pesante penuria di assistenza sanitaria, di cibo, o di energia, allora non ci sarà un forte movimento di massa ... Ciò che determina il lavoratore non è il suo sfruttamento da parte di un padrone, sfruttamento che condivide con tutti gli altri salariati. Ciò che lo distingue in senso positivo è la sua maestria tecnica, incarnata, di un particolare mondo di produzione. Esiste in questo una competenza che è scientifica e popolare al tempo stesso, una conoscenza appassionata che costituiva la ricchezza speciale del mondo del lavoro prima che il Capitale, realizzando il pericolo insito in tutto ciò, e non prima avere deliberatamente sussunto tutta questa conoscenza, decidesse di trasformare i lavoratori in operatori, controllori e custodi di macchinari. Ma anche così, il potere dei lavoratori rimane: chi conosce come gestire un sistema operativo anche sa come sabotarlo in modo efficace. Comunque, nessuno può dominare singolarmente l'insieme delle tecniche che consentono all'attuale sistema di riprodursi. Solo una forza collettiva può farlo.... In altre parole: noi abbiamo bisogno di riprendere un lavoro impegnativo e meticoloso di indagine. Abbiamo bisogno di andare a cercare in ogni settore, in tutti i territori dove abitiamo, coloro che possiedono conoscenze tecniche strategiche. Solo su questa base i movimenti potranno osare il “blocco totale”.
[27] ‘Das Ende der Entwicklungsdiktaturen’ [La fine delle dittature sviluppiste], Wildcat-Zirkular no.65, febbraio, 2003

Comments

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KR
Saturday, 07 May 2016 18:14
Insomma, la patologia lavorista non cede, anzi sembra che stia sempre avanzando, nelle ideologie di quella cosa che chiamano "sinistra"...

Cit.:
OGGI "La precarietà ripropone invece al completo la figura operaia, con tutte le sue manifestazioni, forme ed espressioni.
Vale a dire: se la classe operaia è l'antagonista assoluto del capitale, non lo è prima di tutto perché è sfruttata (lo sfruttamento classico concerne coloro che lavorano, non i disoccupati, ecc.), BENSÌ perché è alienata dai mezzi di produzione, da tutti i beni comuni essenziali per lavorare e produrre, e deve QUINDI sottomettersi a ogni tipo di sfruttamento fisico, culturale, intermittente o peggio ancora schiavistico (salariato) del suo lavoro, per sopravvivere".

"Questa è la classe operaia.
Mentre CHE i lavoratori NON formano la classe, ma unicamente ne sono il settore più impiegato dal capitale produttivo, sfruttato direttamente nella produzione con più continuità, e quindi maggiormente alienato, naturalmente."
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