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sinistra

Doppio vincolo

di Pierluigi Fagan

Una sessantina di anni fa, l’antropo-psicologo Gregory Bateson portò in dibattito la teoria del doppio legame. La psiche di individuo fragile, sottoposto alla trazione di due forse inconciliabili, tende a spezzarsi. Ad esempio cercare una rassicurazione d’affetto che viene negata dall’altra persona che però poi ti dice “manifesta i tuoi sentimenti, sii spontaneo”. Varie tecniche di tortura inventate dal sadismo umano fattosi legge, hanno previsto la trazione per smembramento fisico che porta all’insostenibilità del dolore. Di contro, l’etichetta dei jeans Levis’s mostra due cavalli che tirano da parti opposte il pantalone la cui resistenza è maggiore delle due, opposte, forze traenti.

Le nostre società attraversate dalla pandemia, sono soggette ad un tipo di doppio vincolo. Da una parte la salute fisica, dall’altra quella generale, inclusa la mentale. La salute generale, in una società ordinata dal fatti economico, è -non solo ma soprattutto- economica.

La pandemia mette in crisi la salute individuale a numeri non altissimi ma consistenti, direttamente ed indirettamente per via della pressione che esercita su i servizi sanitari e per gli effetti che ha su i comportamenti standard, aggravati dalle disposizioni socio-epidemiologiche come coprifuoco, serrate, lockdown, su quella economica. Ci si trova così nel doppio vincolo tra salute ed economia, come già intuimmo mesi fa.

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sinistra

Tricolore game over

di lorenzo merlo

Era il 2 giugno 1946. La guerra si era appena spenta. Gli italiani con un referendum, scelsero di istituire una Repubblica in successione al monarchico Regno d’Italia che sussisteva dal 1861.

La nuova condizione era soprattutto spirituale. Tutto il resto erano macerie e fame.

Da quei momenti gli italiani tutti si rimboccarono le maniche sospinti dalla certezza di poter andare oltre il conflitto nazionale e civile appena terminato, attratti dalla luce di un futuro totalmente nelle loro braccia e nei loro occhi.

Nel 1948 si svolsero le prime elezioni politiche che videro il 97% di votanti. Fin da subito emerse uno schieramento tra la fazione cattolica (Democrazia Cristiana) e quelle socialista e comunista (Partito Socialista Italiano e Partito Comunista Italiano) che avrebbe battagliato e caratterizzato la vita politica del Belpaese nei decenni a venire.

L’anno precedente, il 1947, aveva visto il varo del Piano Marshall. Un progetto statunitense per aiutare l’Europa a riprendersi dal disastro della guerra. (Solo molti anni dopo, si insinuerà l’idea che quel piano fosse una strategia americana per mantenere l’egemonia economica e militare mondiale).

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micromega

Fmi e Onu rottamano le teorie liberiste

di Carlo Clericetti

Sotto i duri colpi dell’andamento dell’economia reale stanno cadendo uno a uno tutti i caposaldi delle teorie economiche liberiste che hanno dominato a partire dalla fine degli anni 70 del secolo scorso. I rapporti delle istituzioni internazionali, che fino a ieri ripetevano senza sosta le prescrizioni di quelle teorie, da qualche tempo stanno radicalmente cambiando toni e ricette.

Il Fondo monetario, per esempio, che fino alla crisi del 2008 è stato il tempio dell’ortodossia e ha imposto in modo implacabile ai disgraziati paesi che chiedevano il suo aiuto i dettami del “Washington consensus”, sotto la direzione di Dominique Strauss-Kahn e poi grazie soprattutto all’ex capo economista Olivier Blanchard (con Christine Lagarde direttrice), ha iniziato una revisione di quei principi; almeno nella teoria, perché spesso le prescrizioni non si sono allontanate dalla linea tradizionale.

Nel “Fiscal monitor” appena diffuso il Fmi fa altri importanti passi nella demolizione della dottrina dominante degli ultimi 40 anni.

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vocidallestero

Perché la Spagna non chiederà la sua quota di 70 miliardi del Recovery Fund

di Claudi Perez - El Paìs

Dopo che il Ministro dell'economia Gualtieri e il Presidente del Consiglio Conte hanno finalmente deciso di rigettare il MES, per le stesse ragioni già da molto tempo denunciate dagli economisti dell'opposizione, ora sarebbe il caso di esercitare un ragionamento critico anche nei confronti dei prestiti del Recovery Fund, che recentemente la Spagna ha dichiarato di voler rifiutare. Le 'potenti ragioni per farlo' sono esposte in questo articolo di El Paìs

Con tassi di interesse prossimi allo zero e un debito pubblico in forte aumento, il governo spagnolo preferisce limitarsi alle sovvenzioni piuttosto che chiedere alla UE i prestiti a cui avrebbe diritto - e non è l'unico paese a pensarla così.

Nel luglio di quest'anno, la Spagna ha annunciato con orgoglio che avrebbe ricevuto una quota significativa del Recovery Fund da 750 miliardi di euro concordato dai 27 membri dell'Unione europea dopo un lungo vertice a Bruxelles.

"Questo è un grande accordo: ci siamo assicurati 140 miliardi di euro per la Spagna, di cui 72,7 miliardi di euro in sovvenzioni", aveva detto il primo ministro Pedro Sánchez, del Partito socialista (PSOE), dopo la conclusione dello storico accordo volto a tirar fuori l'economia europea dal suo coma da Covid.

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lafionda

Il populismo è finito? Una scommessa pericolosa

di Alessandro Volpi

Da quando la pandemia è intervenuta pesantemente nelle nostre vite, e nella vita politica di tutti i paesi, ha iniziato a circolare una scommessa in ambiente progressista, molto rischiosa, ma la cui ipotetica vincita è così allettante che diversi intellettuali hanno deciso di piazzarci i due centesimi di credibilità che gli sono rimasti. Si tratta della scommessa sulla fine del populismo.

In effetti, il populismo era un ospite scomodo e ingombrante, difficile da gestire, di cui tutti i progressisti – anche coloro che avevano iniziato a flirtarci nelle varianti più beneducate – non vedevano l’ora di liberarsi. Se infatti in una certa misura molti intellettuali di sinistra avevano iniziato a dire, con qualche anno di ritardo, che il populismo è un fenomeno che va compreso, rimaneva comunque, nel suo essere ambiguo, sfaccettato, poliedrico, di difficile avvicinamento, proprio perché implicava fare i conti con gli aspetti più inaccettabili del popolo in rivolta. E si sa che una persona di sinistra si trova a disagio con un ospite poco educato. In questo senso è comprensibile che quando il populismo ha iniziato ad essere in crisi, e si è aperta la possibilità che a rispondere alla crisi di rappresentanza e alle richieste di protezione che la crisi degli anni ’10 aveva fatto emergere sotto la bandiera ambigua dei populismi, fosse un nuovo centro-sinistra, abbiano deciso di puntare tutto quello che gli restava in tasca su questa seconda opzione.

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coniarerivolta

La sicurezza di essere sfruttati

di coniarerivolta

Negli ultimi giorni, la grancassa filogovernativa sta dipingendo il nuovo ‘decreto sicurezza’ come il superamento degli odiosi decreti ‘sicurezza’ e ‘sicurezza-bis’ del governo gialloverde, passati agli onori della cronaca come ‘decreti Salvini’. Il leader del Partito Democratico, Nicola Zingaretti, ha immediatamente reso noto al mondo che “I decreti Salvini non esistono più”.

Come prevedibile, l’attuale opposizione si strappa le vesti, paventando un’imminente invasione di immigrati. Il Giornale, ad esempio, scrive senza mezzi termini: “Demoliti i decreti Salvini, riprendono gli arrivi”. Quasi un miracolo, considerando che il nuovo decreto, che modifica l’impianto normativo dei decreti Salvini, non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale e, quindi, non è ancora in vigore. Di conseguenza, non è neanche ancora disponibile un testo ufficiale. Le uniche valutazioni possibili, quindi, sono quelle suggerite dal comunicato del Governo che ha accompagnato il varo del provvedimento.

Il decreto, per quel che riguarda l’immigrazione, modifica le norme in materia di requisiti di rilascio del permesso di soggiorno per esigenze di protezione del cittadino straniero, nonché di transito di unità navali in acque territoriali italiane.

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tysm

«Per abbattere la disoccupazione abbatteranno i disoccupati»

La contro-profezia di Céline

di Marco Dotti

Per abbattere i tassi di disoccupazione, abbatteranno i disoccupati? Se lo chiedeva Louis-Ferdinand Céline nell’inverno del 1933, a pochi mesi dall’avventurosa pubblicazione del suo Viaggio al termine della notte.

Un libro edito in sincrono, nel ’32, con un’altra grande disamina della lunga deriva di vita e lavoro nel secolo che tardiamo a lasciarci alle spalle, quell’Operaio di Ernst Jünger che, nel suo piano elementare, può (anche) essere letto come l’altra faccia della falsa moneta della tecnica messa alla berlina nel Viaggio.

Con una differenza, tra le tante che qui si omettono: se in Der Arbeiter è — come da sottotitolo — di “Herrschaft” e “Gestalt”, dominio e forma e, di conseguenza, di mobilitazione totale che si fa questione, nel Voyageil tragitto è inverso, tanto che non è più al piano agonistico e drammatico, ma alla caleidoscopica e dirompente potenza dell’infamia e dell’informe in una prefigurata era di mobilisation infinie che si guarda.

Eppure entrambi, Jünger e Céline, si sporgono sullo stesso abisso. Uno dall’alto, l’altro dal fondo. Uno gettando lo sguardo oltre le sue elitarie scogliere di marmo, l’altro alzando gli occhi duri da bretone sopra il fango che si deposita nei sottopassi della Storia. Una Storia che, nelle peripezie della coppia Bardamu-Robinson del Voyage au bout de la nuit, riveste tratti di scapestrato simbolismo collettivo.

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Il trionfo della sinistra in Bolivia rende palese che un anno fa fu golpe contro Evo Morales

di Gennaro Carotenuto

La prima pretesa, razzista e paternalista, del golpe di un anno fa in Bolivia era dimostrare che i popoli indigeni, gli Aymara, i Quechua, non fossero capaci di governare e autogovernarsi, e che dovessero per forza affidarsi all’elemento bianco per andare avanti. Si sbagliavano e con le elezioni di oggi e il trionfo di dimensioni perfino impreviste della sinistra indigenista del MAS è stato definitivamente dimostrato. Così la Bolivia può riprendere il cammino dei successi sociali, politici e anche macroeconomici e della pace e stabilità politica e monetaria dei 13 anni di Evo Morales e Álvaro García Linera. Con loro c’erano i due ministri Luís Arce all’Economia e David Choquehuanca agli Esteri, che oggi ne prendono il rilievo a Palazzo Quemado a La Paz.

La delegittimazione, la demolizione sistematica dell’uomo e del personaggio pubblico, l’odio razzista, che in tutti questi anni hanno versato a piene mani contro Evo Morales, l’indio non sottomesso che prende in mano il proprio destino, si sono dunque completamente ritorti contro chi organizzò quel colpo di stato. Quelle elezioni videro il limpido trionfo di Evo con l’11% di vantaggio sul più diretto avversario.

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carmilla 

Un femminismo materialista è possibile

di Marcella Farioli

Christine Delphy, Per una teoria generale dello sfruttamento. Forme contemporanee di estorsione del lavoro (traduzione e postfazione a cura di Deborah Ardilli), Ombre Corte, Verona 2020, pp. 155, € 13 (tr. di Pour une théorie générale de l’exploitation, Syllepse, Paris 2015)

Va considerata un evento la prima traduzione integrale in italiano di un’opera della sociologa Christine Delphy, una delle più originali pensatrici del femminismo francese, protagonista del Mouvement de libération des femmes e nel 1977 fondatrice, insieme a Nicole-Claude Mathieu, della rivista “Questions féministes”; un evento poiché Delphy, ampiamente tradotta nei paesi anglosassoni, è stata finora oggetto, in Italia, di una vera e propria rimozione.

Questa cancellazione non stupisce. Da un lato, il femminismo francese fin dagli anni ’80 è stato identificato tout court col pensiero della differenza sessuale, con il gruppo Psychanalyse et politique e con feudi accademici ben difesi da intellettuali come Cixous e Kristeva; questa cristallizzazione – validata anche dalle femministe anglo-americane – di un «French Feminism» privo della sua costola materialista, si è poi perpetuata sia nell’accademia sia nei settori militanti per un meccanismo spontaneo di riproduzione dell’identico.

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lordinenuovo

Religione e comunismo: un libro da leggere

di Graziella Molonia

Ha un senso, per noi comunisti occuparci di critica della religione oggi? Ritengo proprio di sì. E suggerisco la lettura di “Religione comunismo: dall’alienazione all’emancipazione dell’umanità”, di Concetto Solano, per la casa editrice Pgreco

L’autore, che è anche membro della redazione politica de L’Ordine Nuovo, interviene evidenziando il deserto culturale, che ha comportato la rimozione del pensiero critico e materialistico e che ha prodotto drammatiche conseguenze sul piano dell’analisi, dei valori, delle prospettive politiche.

Il cedimento ideologico, la rinuncia al marxismo, ossessivamente etichettato come “fuori moda” dalla propaganda riformista, nelle sue diverse accezioni, ha portato ad un riconoscimento, quasi unanime, del capo della Chiesa cattolica come faro della salvezza: del pianeta dalla distruzione, dei poveri dalla miseria, degli sfruttati dalla sottomissione.

Sbaglieremmo se, come comunisti, giudicassimo tutto questo con disattenzione, magari pensando superficialmente che si possano costruire alleanze con chi critica il consumismo pensando alla frugalità del Medioevo, con chi alza la voce contro alcune storture sociali pensando di riproporre anacronistiche “città di dio” dove al dominio assoluto del padrone si sostituisca quella ancora più assoluto di un’entità metafisica, posta a fondamento dell’uomo.

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blackblog

Le ovvietà del progresso

di Anselm Jappe

Ci sono delle cose talmente ovvie ed evidenti che nessuno le vede, né tantomeno le menziona più; e chiunque le faccia notare agli altri, sembra che stia dicendo della banalità. Cosa che tuttavia non è affatto una buona ragione per non dirle.

L'attuale dibattito a proposito del 5G e del «progresso» ne costituisce un buon esempio, con le sue ingiunzioni caricaturale che ci invitano a dover scegliere tra il 5G e la «lampada ad olio».

La prima domanda che, con semplicemente un po' di buon senso, dovremmo porci è: un progresso in che cosa?

Nessuno, per esempio, è felice del «progresso» del Covid ! Bisogna che il progresso migliori la vita umana.

Possiamo avere perciò due tipi principali di progresso: un progresso tecnico, che consiste nell'accresciuto dominio dell'uomo sulla natura, ed un progresso che potrebbe essere definito «morale» o «sociale»: le relazioni umane diventano migliori, meno violente, più solidali, più «inclusive».

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giap3

«Va bene tutto». Come un messaggio in bottiglia sulla «seconda ondata»

di Wu Ming

«Finché possiamo dire: “quest’è il peggio”, vuol dir che il peggio può ancora venire».
W. Shakespeare, Re Lear

La desolazione di Piazza San Francesco ti sorprende una sera di fine luglio, mentre attraversi in bicicletta il centro di Bologna, per andare da tua madre a riparare un rubinetto.

Lo spazio di fronte alla facciata gotica della chiesa è serrato da un recinto di transenne. Vuoto, ad eccezione di un’auto dei vigili urbani parcheggiata proprio al centro.

Avevi letto sui giornali dell’ultimo provvedimento «contro la movida». Sapevi che con la scusa della pandemia il sindaco aveva colpito un luogo di ritrovo indecoroso, perché i ragazzini prendono a pallonate la porta della chiesa e i giovani bevono le birre fredde dagli ambulanti abusivi, seduti per terra. L’avevi sentito dire, eppure pensavi che «piazza chiusa» fosse una metafora, un modo di dire, non un’altra voce nella lista di ordinanze e sparate per le quali Virginio Merola lascerà ai Bolognesi un ricordo sgradevole. In questo caso quello dell’inquilino del Palazzo che dà la colpa alla Piazza, perfettamente in linea con gli altri amministratori di vario colore e grado.

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marx xxi

Marx e la centralità del conflitto. Un libro di Gennaro Imbriano

di Vladimiro Giacché

Un libro può essere classificato in molti modi. Un modo è provare a rispondere alla domanda: questo libro mantiene ciò che promette? Il libro di cui vorrei parlare appartiene alla rara categoria dei libri che non soltanto mantengono ciò che promettono, ma offrono di più. Marx e il conflitto. Critica della politica e pensiero della rivoluzione (Derive/Approdi, 2020) di Gennaro Imbriano potrebbe essere in effetti una semplice disamina dei concetti di conflitto sociale, lotta di classe e rivoluzione nell’opera di Marx. Non sarebbe poco, in effetti. Ma questo libro - come già il sottotitolo lascia in parte presagire - è molto di più. Si tratta infatti di una ricostruzione complessiva dell’itinerario teorico e politico di Karl Marx - dagli scritti giovanili al Capitale e oltre - felicemente condensata in un libretto di 150 pagine, per di più scritto in un linguaggio rigoroso ma chiaro e accessibile.

In effetti, il tema del conflitto si presta molto bene a una sintesi del pensiero di Marx, come prova l’andamento stesso del libro di Imbriano, molto lineare e consequenziale. Nel testo si muove dal giovane Marx, che “imputa al pensiero critico (o presunto tale) del suo tempo, al dunque, l’incapacità di produrre, rispetto all’esistente che si pretende di criticare, un conflitto decisivo con le strutture che presiedono alla sua riproduzione” (p. 13).

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La verità sul Covid e il disastro italiano

di Leonardo Mazzei

Il Covid 19 non è certo un virus peggiore di quello dell’Asiatica (1957-58), probabilmente neppure di quello dell’influenza di Hong Kong (1968-69), ma la classe politica che lo gestisce certamente lo è. E di gran lunga, come ben si vede dall’osservatorio italiano.

C’è un personaggio che esemplifica l’attuale disastro. E’ il buffone mascherato che governa la Campania. Vincenzo De Luca è uno e trino. E’ lo sceriffo col lanciafiamme che tutto vorrebbe chiudere, verrebbe da pensare per sempre. E’ il presidente di una Regione che non è riuscito a potenziare i posti di terapia intensiva, come avrebbe dovuto e come sarebbe stato possibile. E’ il politico che, nonostante tutto ciò, anzi forse proprio grazie anche a tutto ciò, ha vinto le elezioni del 20 settembre col 69% dei voti.

L’epidemia in Campania non ha lasciato tracce nelle statistiche demografiche. La mortalità ufficialmente attribuita al Covid è pari a 0,86 vittime ogni diecimila abitanti, molto più bassa della normale influenza stagionale. Eppure lo sceriffo col lanciafamme ha chiuso le scuole dalla sera alla mattina, anche se poi – a seguito della mobilitazione delle mamme – ha dovuto riaprire in fretta e furia almeno le scuole dell’infanzia. Sulla chiusura al momento il governo dice di dissentire, ma non mi stupirei se in un prossimo futuro De Luca risultasse l’apripista di analoghe decisioni governative.

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contropiano2

La triste parabola della Gabanelli “embedded”

di Dante Barontini

Le cose cambiano, insieme ai tempi e alle occasioni. E i giornalisti non sono alieni a questo spirare dei venti…

Però alcuni cambiamenti sono davvero radicali. Almeno in apparenza.

Un faro della “controinformazione democratica” come Milena Gabanelli, da quando è approdata a La7-Gruppo Cairo-Corriere della Sera, sembra animata da un sacro furore contro la Cina. Ma anche contro altri “nemici dell’Occidente” (cambiano spesso, magari da un giorno all’altro, ed è complicato fare un elenco aggiornato).

L’epidemia da Coronavirus è stata la miccia e, com’è nella sua tradizione, non ha mai mollato l’osso.

I problemi, o meglio i dubbi sulla “professionalità” di questa campagna, nascono quando si va a vedere da vicino come argomenta le sue critiche, peraltro legittime.

Il format lo aveva fissato già a fine settembre, sul Corriere:

Oggi nel mondo si contano un milione di morti, e una recessione globale. La Cina non si è scusata, ed esalta la superiorità del modello cinese, che avrebbe saputo gestire in modo straordinario la pandemia.

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kriticaeconomica

Finanzcapitalismo: la materia oscura dell’economia contemporanea

di Edoardo Quercia

Virtuale (è) reale. Fine della produzione e produzione della fine

Il Pil italiano del 2018 è stato pari a 1753 miliardi di dollari, cioè solamente il 3,65% dell’ammontare dei derivati detenuti da una singola banca tedesca, la Deutsche Bank. Questi 48mila miliardi in titoli azionari rappresentano una grandezza 27 volte superiore a quella di tutti i beni e servizi prodotti in un anno da un paese di 60 milioni di abitanti, settima potenza manifatturiera del mondo.

Nonostante la cosiddetta finanza ombra adoperi un’infinità di strumenti finanziari estremamente complessi e tra loro mortalmente intrecciati, come ad esempio le obbligazioni che hanno per collaterali un debito (le famigerate CDO) o i certificati di protezione del credito dal rischio di insolvenza del debitore (CDS, credit default swap), credo che i derivati, sia per il ruolo che svolgono effettivamente nell’architettura della finanza contemporanea, sia per le loro caratteristiche strutturali, quasi ontologiche azzarderei, rappresentino una buona unità di misura della mutazione del sistema capitalistico odierno.

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contropiano2

Covid fase 3: il delirio

di Dante Barontini

Tutto si può dire, meno che sia inattesa. La corsa dei contagi – ma soprattutto dei ricoverati e dei morti – è ripresa a ritmi infernali in tutta Europa.

L’Italia sta rapidamente allineandosi alla velocità di crociera della Francia o della Spagna. E persino i “virtuosi” da strapazzo del Nord – Germania, Olanda, ecc – hanno perso quel sorrisetto di sufficienza, da ufficiale delle Ss, che gli viene spontaneo quando guardano ai “mediterranei”.

Anche la risposta immediata è la solita idiozia. Divieti mirati sul tempo libero e sulla scuola, nessuna parola sulla produzione. Dcpm a tambur battente per inventare nuove multe sempre più salate, ma nessun intervento pratico per incrementare mezzi di trasporto pubblico e soprattutto le strutture sanitarie pubbliche. Coprifuoco, come in Francia (e forse anche qui), ma solo dalle 21 alle 6 di mattina, poi tutti a prendersi il virus al lavoro o in metrò

Un gran vociare di servi sciocchi contro ogni ipotesi, limitata o generale, di lockdown e altrettanti servi appena meno sciocchi, che studiano il modo di farne il minimo possibile.

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manifesto

Indagine sul fuoco che viene

di Donatella Di Cesare

ITINERARI CRITICI. Un’anticipazione dal volume «Il tempo della rivolta», in libreria per Bollati Boringhieri dal 22 ottobre. Che sia Portland o Bagdad, Algeri o Barcellona l’esplosione della collera è un sintomo, un richiamo. Ma a differenza dei moti del passato non è semplice far emergere un’aspirazione comune in quanto accade. Le cosmogonie sul senso della storia non fanno più presa e non danno voce ai nuovi antagonismi. Stavolta lo Stato è visto con gli occhi di chi è lasciato fuori o di chi si chiama fuori

Quel che colpisce nelle rivolte attuali è la grande frammentarietà; sembra arduo persino raggiungere una visione d’insieme. Se l’estensione mondiale è certa, sarà altrettanto certo che si tratti del medesimo fenomeno? Non sarà una forzatura ricorrere allo stesso nome per indicare situazioni disparate? Tanto più che, a differenza dei moti del passato, non è semplice far emergere un’aspirazione comune. Se gli insorti del 1848 miravano alla libertà e alla repubblica, se i rivoluzionari del 1917 erano guidati dall’ideale novecentesco del comunismo, se coloro che scesero in piazza negli anni Sessanta e Settanta pensavano che presto un altro mondo sarebbe stato possibile, che cosa unisce le rivolte del XXI secolo?

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gliasini

Non chiamateli negazionisti

di Valerio Casali

La rivista Gli asini si pone come terreno di incontro (e scontro) fra una pluralità attiva di voci e opinioni, per contrastare l’univocità di visioni e di narrazioni che spesso caratterizza il panorama mediatico italiano e poter offrire uno spazio di dibattito, discussione e crescita. È in quest’ottica che pubblichiamo questa corrispondenza di un nostro collaboratore, che riporta le sue opinioni personali e non riflette necessariamente le posizioni della rivista. In quanto rivista, non intendiamo in alcun modo sminuire la grave pandemia che sta affliggendo tutto il mondo, né negare o discutere l’efficacia delle contromisure adottate sulla base della ricerca scientifica. Vogliamo, però, aprire la strada a pratiche di riflessione critica sulle politiche che definiscono il nostro presente, sugli interessi che determinano tali politiche, e sulle pulsioni sociali che emergono dal basso, le quali non si limitino a una mera ridicolizzazione di alcune tensioni sociali. Vogliamo contrastare, come facciamo da sempre, l’accettazione acritica delle narrazioni che ci vengono propinate, e stimolare invece una riflessione attiva e impegnata come fondamento della vita all’interno di una comunità. Questo articolo è da considerarsi un’esortazione coerente con questa visione programmatica.

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Digital Humanities. Penrose: “diffidate dell’artificiale, non dell’intelligenza”

di Marco Dotti e Fabio Scardigli

Di quale fisica, di quale biologia, di quale etica. Soprattutto: di quale filosofia abbiamo bisogno per capire e salvaguardare l’intelligenza naturale o umana al tempo dell’Artificial Intelligence (AI), del machine learning e dei deep neural networks?

Le domande non sono nuove. Non nuove sono anche le strade per eluderle: abbracciare con entusiasmo autoreferenziale ogni promessa di redenzione tecnologica; oppure alzare mura di difesa fondate sulla paglia di un moralismo incerto e fragile.

Una terza via, ben più solida, è però urgente e necessaria. Questa via si apre a un livello dove i saperi, umanistico e scientifico, convergono verso quel ponte chiamato digital humanities: solo tramite un sapere umanistico di scenario, che abbia chiari i propri fini, possiamo tentare di orientare una transizione che mezzi sempre più dinamici e potenti rendono quanto mai prossima. Il pericolo è che la transizione diventi un esodo potenzialmente infinito da tutto ciò che, fino a oggi, ha definito i contorni dell’esperienza umana.

Vista dal primo livello, ossia schiacciata tra una falsa antinomia (prendere tutto vs. rinunciare a tutto) e un’accelerazione tecnologica sempre più avanzata, la questione dell’AI rischia davvero, come preconizzava Arthur S. Clarke, di essere “indistinguishable from magic”, indistinguibile dalla magia.

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nazioneindiana

Libere associazioni (opinioni di un disadattato)

di Giorgio Mascitelli

Nei giorni scorsi, giusto per confermare quanto gli inglesi amino la libertà più di noi popoli schiavi, il governo Johnson ha emesso un divieto di utilizzare nelle scuole della sola Inghilterra e non in tutto il Regno Unito materiali didattici provenienti da organizzazioni anticapitaliste, anche se trattano altri argomenti, durante le attività di educazione alle relazioni interpersonali, al sesso e alla salute. Da un punto di vista concreto non credo che il provvedimento modifichi profondamente la struttura didattica della classista scuola inglese perché già ora non credo, per quanto ne so, che Marx ( e nemmeno George Giessing, se è per questo) sia oggetto di insegnamento; è probabile che l’obiettivo autentico dell’operazione sia quello di equiparare in forma ufficiale l’anticapitalismo al razzismo, all’antisemitismo e all’odio per la democrazia e lo svolgimento di libere elezioni. Da un certo punto di vista si tratta di una vicenda profondamente angloinglese e, a mio parere, da ricondurre alla Corbynfobia che ha colpito le classi dirigenti inglesi, per cui esse stanno cercando strumenti di ogni genere per impedire che il partito laburista torni nelle mani di una leadership di ispirazione socialista.

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contropiano2

Impreparati al Covid dopo otto mesi. Perché?

di Alessandro Giannelli*

L’esponenziale impennata dei contagi e l’emanazione del dpcm del 13 ottobre con il suo mix di divieti e raccomandazioni (alcune persino più grottesche che invasive) ci proietta nuovamente in una condizione che soltanto i più ingenui potevano considerare definitivamente archiviata.

Dai limiti di orario per bar e ristoranti con tanto di divieto di “sosta” dopo le 21, ai limiti di invitati per i banchetti dopo le cerimonie, dal divieto di gite scolastiche alla raccomandazione di non ricevere più di 6 persone non conviventi nella propria abitazione privata… i provvedimenti contenuti nel dpcm si muovono lungo quelle linee che sin dall’inizio dell’esplosione dell’emergenza sanitaria hanno ispirato l’azione di governo: individualizzazione delle responsabilità e criminalizzazione degli assembramenti del tempo libero (movida, feste a casa, generico svago), bypassando completamente quelli che si verificano quotidianamente nei posti di lavoro in nome della produzione a tutti i costi o quelli necessari per condurre i lavoratori sui luoghi della produzione (trasporti).

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kriticaeconomica

La moneta è politica: lezioni dal Trecento

di Tommaso Brollo

Chi cede il suo pane o il lavoro del proprio corpo in cambio di moneta, non appena la riceve essa è cosa sua, come suoi erano il pane o il lavoro fisico di cui era libero di disporre.

Nicole Oresme, De Moneta, VI

Lo studio di una fonte storica risalente quale un trattato monetario trecentesco può apparire, ad un primo sguardo, come uno sforzo erudito di dubbia consistenza e di ancor più discutibile utilità pratica. Certo, non è un esercizio che possa parlare immediatamente alla modernità. Una presunzione del nostro tempo è quella di credere di compendiare in sé stesso quanto di meglio abbiano prodotto le epoche precedenti, sia quanto ad analisi teorica, sia quanto a complessità ed adeguatezza delle proprie strutture istituzionali.

Come se non bastasse, le volte in cui andiamo poi ad interrogare effettivamente il passato, spesso lo facciamo sulla scorta di questa presunzione, cercandovi, alla luce delle idee contemporanee, i germi della modernità. È un utilizzo delle fonti che potremmo dire carismatico, che spesso mira alla caccia anacronistica di ideali e precorritori, forse alla ricerca di conferme per lo sconcerto teorico che, per dirla con Marx, specie negli ultimi anni si è aggiunto al panico pratico di fronte all’enigma della moneta.

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osservatorioglobalizzazione

La lunga strada verso la manovra dell’anno della pandemia

di Roberto Romano

Il NADEF (Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza), licenziato dal Governo all’inizio di ottobre, illustra quanto accaduto durante il 2020 in termini di caduta del PIL, di occupazione e finanza pubblica – sul punto è estremamente puntuale e corretto – così come i provvedimenti addottati dal Governo per attutire la caduta del reddito: 100 mld di euro. Il NADEF ha anche il compito di delineare le politiche economiche e finanziarie per il triennio successivo, le quali faranno da cornice alla Legge di Bilancio per il 2021. Sempre nel NADEF sono illustrati i provvedimenti collegati alla Legge di Bilancio senza i quali la stessa Legge di Bilancio sarebbe incompleta; si tratta di 22 Disegni di Legge “collegati”, forse troppi e non sempre coerenti con la cornice legislativa che informa la Legge di Bilancio.

Tra questi segnalo il DDL delega della riforma fiscale, il DDL di riordino della normativa ambientale, il DDL in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, il DDL per il salario minimo e la rappresentanza delle parti sociali nella contrattazione collettiva, il DDL per la revisione degli incentivi alle imprese.

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contropiano2

Sconfiggere il virus? Una testimonianza dalla Cina

di Francesco Piccioni

L’ideologia non c’entra molto, è bene dirlo subito. C’entra una logica di governo complessiva, che conferisce anche all’impresa privata un ruolo, ma dentro un quadro di priorità, regole, interessi, che non coincide con “l’interesse privato”.

Dunque è inutile baloccarsi con le discussioni molto stupide che piacciono tanto “a sinistra”, tutte tese a stabilire la “percentuale di comunismo” (o socialismo) in ogni paese di cui si parla. Ovviamente, quasi sempre senza conoscerlo affatto.

Qui si deve affrontare una pandemia che non è una peste, ma è abbastanza pericolosa, che si è già portata via oltre un milione di persone e molte altre se ne porterà via prima che un vaccino efficace sia disponibile in miliardi di dosi.

Dunque, si tratta di vedere quale tipo di risposta sia più efficace per ridurre al minimo morti e invalidi (i problemi respiratori, in chi ha attraversato una fase acuta, restano a lungo o addirittura per sempre). I modelli al momento sono soltanto due: quello neoliberista (con qualche eccezione in Asia) e quello cinese (cubano, venezuelano, ecc).

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coniarerivolta

Altro che Recovery: è sempre la solita austerità

di coniarerivolta

Con ogni probabilità, e per ancora molto tempo, il 2020 verrà ricordato come l’annus horribilis del nostro Paese. Una pandemia di dimensioni globali si è abbattuta su un tessuto economico e sociale già messo duramente alla prova da anni di austerità fiscale e salariale, che, oltre a ridurre a brandelli il sistema sanitario, hanno prodotto disoccupazione, precarietà e miseria. Come se non bastasse, l’economia italiana e quella europea nel suo complesso sono entrate in questo 2020 nel pieno di una fase di stagnazione, con tassi di disoccupazione prossimi alle due cifre e marcati livelli di disuguaglianza.

Da qualche settimana, tuttavia, i media ci stanno raccontando che il 2021 sarà, invece, l’anno della ripresa, in cui ci lasceremo alle spalle, una volta per sempre, tutti gli effetti disastrosi della pandemia da Coronavirus. A dirla tutta, ascoltando le parole del Ministro dell’Economia Gualtieri, la stagione della ripresa sarebbe già partita, con un rimbalzo del PIL che nel terzo trimestre dell’anno in corso si attesterebbe ben al di sopra delle stime. Ma a ben vedere, il 2021 potrebbe essere tutt’altro che l’annus mirabilis che ci viene in questi giorni dipinto da giornali e mestieranti della politica.

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lantidiplomatico

Recovery Fund, il brusco risveglio degli affermazionisti

di Gilberto Trombetta

Le bugie, si sa, hanno le gambe corte.

E così dopo mesi di propaganda unionista da parte del Governo e supportata dalla libera stampa di regime (stampa mainstream o dominante per gli amici) la verità sta venendo fuori.

Come alcuni di noi ripetevano da mesi dopo aver letto le carte ufficiali dell’Unione Europea, si comincia ad ammettere che i soldi del Recovery Fund – Recovery MES per gli amici – non ci sono.

E, se mai ci saranno, non li vedremo prima della metà del prossimo anno.

E sì perché come dicono oggi Baroni e Bresolin su La Stampa, «per vedere le prime risorse del Recovery Fund bisognerà attendere almeno fino a giugno, quando la UE comincerà a raccogliere sui mercati quasi 900 miliardi per finanziare le misure straordinarie di ripresa».

«Per far partire il Next Generation EU servono infatti ancora una serie di passaggi. Prima di tutto il via libera del Consiglio UE, poi la ratifica nei 27 parlamenti nazionali.

Dopodiché i Governi presenteranno nel dettaglio i loro piani a Bruxelles e a quel punto inizierà la fase di valutazione dei progetti.

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ilsimplicissimus

“Basta con i lockdown”: la Banca mondiale ordina, l’Oms esegue

di ilsimplicissimus

Siamo guidati da imbecilli o da marionette, da teste di legno in ogni senso dalle quali dipende il nostro futuro o meglio la nostra carenza di futuro. Mi aveva colpito due giorni fa l’uscita di un tal David Nabarro, inviato dell’Oms per il Covid-19, il quale ha inaugurato un nuovo giro di valzer di questo ente, apparentemente dell’Onu, ma in pratica gestito da Bill Gates e da Big Pharma che sono i maggiori donatori di fondi: ora proprio quest’uomo che sembrava fino a pochi giorni fa un integralista della pandemia e delle segregazioni ci viene a dire che l’Oms non ha mai considerato queste misure come strumento primario e indispensabile per contenere il virus e lancia un appello a tutti i leader mondial: “Basta con i lockdown”. E’ davvero sorprendente che dopo aver consigliato e imposto chiusure e distanziamenti oggi arrivi un contrordine così netto e così bugiardo da negare quello che meno di un mese fa, il 17 settembre l’Oms aveva consigliato. Sono senza vergogna, ma a cosa si deve questa marcia indietro, questa fulminazione sulla via di Damasco? Per capirlo riportiamo un brano del discorso di Nabarro:

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contropiano2

Scuola e Regioni: non si è fatto nulla di quello che si doveva fare

di Maurizio Disoteo

Il nuovo DPCM emanato nella notte di martedì 13 ottobre ricorda i tanti precedenti dei mesi di marzo e aprile: una serie di provvedimenti restrittivi sul tempo libero individuale dei cittadini, alcune “raccomandazioni” in cui si spera nella buona volontà degli stessi e nessun limite agli assembramenti, quelli veri e tanti, che si verificano per la “produzione”.

Per questo, un provvedimento poco efficace in un momento in cui il numero dei test positivi oscilla di giorno in giorno ma appare un segnale comunque incontrovertibile che consiste nel forte aumento dei ricoveri e in quello dei decessi.

Sul tema della scuola, in preparazione di tale DPCM, si è raggiunta una situazione da teatro dell’assurdo, con i presidenti delle regioni che chiedevano che nelle scuole superiori si tornasse alla Didattica a distanza in forma integrale e la ministra Azzolina che si è duramente opposta, vincendo, alla fine questa battaglia assai poco nobile ed edificante.

Infatti si è trattato di uno scontro dalle caratteristiche bizzarre poiché entrambe i contendenti non avevano un minimo di ragione, anzi avevano completamente torto.

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badialetringali

Il muro

Lettere al futuro, 3

di Marino Badiale

La situazione dell’umanità contemporanea è paradossale. Da decenni è riconosciuto il fatto che l’attuale organizzazione economica e sociale crea gravi problemi alla riproduzione dell’ambiente naturale, problemi tali da mettere potenzialmente in pericolo la continuazione della civiltà stessa. Fino a qualche tempo fa era ancora possibile pensare che l’attualizzazione di tali potenzialità distruttive fosse abbastanza lontana nel tempo, ma la ricerca scientifica e la stessa cronaca quotidiana ci dicono che siamo ormai alle soglie di sviluppi devastanti per l’umanità e la civiltà. Se questa è la situazione oggettiva, ciò che appare paradossale è la sostanziale indifferenza della stragrande maggioranza dell’umanità stessa di fronte a questa realtà. Per fare un esempio, è vero che oggi nel mainstream informativo si parla del cambiamento climatico più diffusamente rispetto a qualche tempo addietro, e che se ne dà ormai per assodato il carattere antropogenico. Eppure, nonostante questo, la reazione implicita da parte di tutti (ceti dirigenti e gente comune) sembra quella di considerare il problema come uno in più fra i tanti, e sperare che in qualche modo venga risolto dai politici della propria parte, o dal mercato, o dallo Stato, dalla scienza, dalla fede, dal ritorno ai valori della tradizione, e così proseguendo secondo le proprie preferenze ideologiche.