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gliocchidellaguerra

L’improvvida mossa dei sauditi

di Davide Malacaria

Tiene banco la tensione tra Arabia Saudita e Qatar, che ha dato vita a un confronto serrato e alquanto nuovo nell’ambito dell’islam sunnita. L’Arabia Saudita ha accusato il Qatar di sponsorizzare il Terrore: da qui la rottura dei rapporti tra Ryad e Doha, che ha visto gli Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Egitto e Giordania schierarsi con la prima (come anche il governo yemenita riconosciuto a livello internazionale).

In realtà l’accusa mossa al Qatar è un pretesto, come si legge in tantissime analisi che ricordano come i sauditi non sono immuni al vizietto addebitato ai loro avversari (vedi Piccolenote). Allora perché tale iniziativa?

Diversi analisti ne hanno individuato le cause nei rapporti che il Qatar intratterrebbe con l’Iran. Tutto sarebbe nato da un’avventura sfortunata: membri della famiglia reale del Qatar si sarebbero recati in Iraq per una battuta di caccia al falcone e qui sarebbero stati rapiti.

L’emiro Tamim bin Hamad al-Thani avrebbe quindi deciso di pagare un riscatto di un miliardo di dollari a Teheran per ottenere, tramite la sua influenza sulle milizie sciite locali, la liberazione dei propri cari.

Gossip d’accatto, ovvio, ma rilanciato da vari giornali e va bene così (prima o poi qualcuno magari spiegherà le vere ragioni che hanno spinto i principi del Qatar a recarsi in un territorio controllato dal Terrore).

Detto questo è un fatto che da tempo, forse dalla liberazione dei principi in questione, l’emiro del Qatar abbia preso ad approcciare Teheran in maniera diversa, meno dura rispetto al passato e soprattutto in maniera meno confacente ai desiderata di Ryad.

Ad avvicinare il Qatar e l’Iran anche i nuovi rapporti tra Ankara e Teheran, che dal tempo del fallito colpo di Stato in Turchia (che i turchi hanno attribuito ad ambiti vicini all’Occidente), si sono fatti meno conflittuali. Un riavvicinamento che si è accentuato grazie ai colloqui di Astana dove entrambi i Paesi, sotto l’ala della Russia, stanno conducendo negoziati per risolvere la crisi siriana.

Se si tiene presente che Qatar e Ankara sono legati a doppio filo a causa della comune prossimità con la Fratellanza musulmana, si capisce ancor meglio la posizione di Doha verso l’Iran.

Ma se l’ambiguità di Doha nei confronti dell’Iran era mal sopportata da Ryad, resta da capire perché i sauditi abbiano voluto accelerare la resa dei conti, creando una conflittualità inedita e tanto pericolosa all’interno del mondo sunnita.

Più che probabile che dietro tale decisione vi sia il nervosismo saudita per l’evoluzione del conflitto siriano, che sta volgendo inaspettatamente a favore dell’asse sciita, come documenta in maniera simbolica il congiungimento sulla frontiera siro-irachena delle forze di Bagdad con quelle di Damasco (vedi Piccolenote).

Da qui la necessità per Ryad di serrare ancora di più i ranghi della fantomatica Nato sunnita contro il comune nemico sciita. Certe ambiguità interne sono più pericolose di prima.

La recente visita di Donald Trump in Arabia Saudita e il rinnovato rapporto tra i due Stati, che si era più che logorato durante l’era Obama, ha fatto immaginare ai sauditi che fosse ora di chiudere la questione Qatar, infliggendogli una punizione talmente esemplare che avrebbe avuto come effetto anche quello di rilanciare la sua leadership sul mondo sunnita.

Calcolo sbagliato. Dopo la visita di Trump, infatti, Ryad era sicura di incassare un risoluto sostegno americano, ma non è stato così. Se il presidente Usa ha infatti subito rivendicato tale decisione come un suo successo personale (avendo chiesto ai sauditi di prendere le distanze dal Terrore), i suoi generali si sono affrettati a smentirne la linea. Washington non può obliare il fatto che il Qatar ospita la più importante base aerea statunitense in terra d’Arabia.

Né l’Occidente può scegliere tra sauditi e Qatar, stante che sa benissimo che ambedue conservano rapporti più che ambigui con le centrali del Terrore (e sono tante e drammatiche le domande da porsi su tale circostanza). Il punto è che l’Occidente ha bisogno delle risorse energetiche e dei soldi degli uni e degli altri (basti vedere gli sponsor del calcio…).

Non solo l’Occidente. Ryad immaginava di poter compattare dietro di sé tutti i Paesi a maggioranza sunnita. Ancora una volta si è trattato di un calcolo risultato errato. A unirsi alla sua crociata, infatti, è stata una sparuta minoranza, seppur significativa.

Certo, ha incassato l’importante appoggio egiziano (non scontato), dovuto al fatto che il presidente al Sisi considera la Fratellanza musulmana, che ha in Doha e Ankara un suo punto di riferimento politico, un nemico esistenziale. Ma non aveva previsto tante defezioni.

Allo stesso tempo, quella che sembrava un’iniziativa volta a conseguire un successo immediato, ovvero la resa dell’emiro al-Thani o la sua caduta, si è rivelata ben altra cosa.

Ryad reputava che il blocco imposto al Qatar avrebbe messo in ginocchio in pochi giorni il piccolo emirato, che pur ricchissimo di gas deve dipendere dall’estero per tutto, in particolare per le derrate alimentari. Né aveva messo in conto che esso potesse immaginare una qualche difesa armata dei propri confini.

Invece l’Iran si è affrettato a inviare aiuti alimentari, mentre la Turchia quelli militari.

Insomma, Ryad ha ripetuto con il Qatar l’errore fatto con Sana’a. Anche in Yemen Ryad è intervenuta pesantemente a difesa di Abd Rabbuh Mansur, sovrano che ritiene legittimo, contro i suoi avversari (gli houti di religione islamica sciita e Ali Abdullah Saleh ex presidente del Paese. loro alleato).

I sauditi avevano immaginato un blitzkrieg, anche per la poderosa alleanza internazionale attrezzata all’uopo (comprensiva degli Stati Uniti). Invece il conflitto dura dal 2015 senza soluzione di continuità.

Come quella, anche la crisi del Qatar rischia di diventare duratura. E ha già avuto una conseguenza nefasta per Ryad, avendo provocato una convergenza ancora di più netta tra Doha e il mondo islamico sciita.

Significativa in tal senso un’intervista rilasciata in questi giorni dal ministro degli Esteri di Doha a un giornale russo. Mohammad Ben Abdel Rahman al-Thani ha infatti fatto un mezzo passo indietro sulla crisi siriana, aprendo alla posizione degli alleati di Damasco, in primis Teheran, che reputano necessaria la permanenza al potere del presidente Bashar al Assad.

Ryad peraltro non può permettersi una guerra contro il Qatar. Il Golfo persico è già straziato da conflitti: non solo quello in Yemen, ma anche il durissimo confronto che da tempo oppone il governo del Barhein alla comunità sciita.

Su ambedue i fronti i sauditi appoggiano i regnanti sunniti contro i loro avversari. Ryad non può aprire un altro fronte ai suoi confini (basti pensare che più di una volta i razzi dei ribelli yemeniti hanno colpito il suo territorio).

Alcuni Paesi arabi a maggioranza sunnita, come il Kuwait, stanno tentando di ricomporre la crisi. Probabile che i sovrani sauditi siano costretti ad accettare una mediazione al ribasso, stante che ogni giorno che passa tale frattura rischia di ampliarsi a detrimento del “fronte sunnita”.

Ad oggi il Qatar sembra disposto a fare un’unica concessione, quella di non dare più ospitalità ad Hamas (cosa peraltro gradita a Israele), ma su altro appare tutt’altro che remissivo.

Ancora una volta i sauditi si sono mossi in maniera improvvida, con conseguenze negative in termini di prestigio e di autorevolezza internazionale. Non solo, il confronto a distanza che da tempo hanno ingaggiato con l’Iran segna un altro punto a favore di quest’ultimo Paese.

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