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Flat-tax, il cavallo di Troia delle élites

La confessione spontanea del prof. Panebianco

di Leonardo Mazzei

Mannaggia, tutto ciò che ci serve è incostituzionale! Maledizione, chi ce lo ricorda non ha nemmeno torto! Peggio ancora: i tentativi di colpire al cuore la Costituzione modificandone la seconda parte falliscono, come si è visto il 4 dicembre. Che fare allora? Ma è semplice, bisogna cambiare direttamente la prima parte della Carta del 1948. Oddio, forse tanto semplice non è, visto come la pensa la maggioranza degli italiani. Ma non vorremo mica, noi liberali, sottostare al volere della plebe. Dunque si proceda in altro modo. Ad esempio scardinando l'impianto costituzionale a partire da un bel dibattito (leggasi da una massiccia campagna mediatica) sulla flat tax. Questo, in buona sostanza, il ragionamento proposto da quel gentiluomo di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 21 luglio.

Il suo è un editoriale importante, perché indica da un lato che l'attacco delle éÉÉlite alla Costituzione non è certo archiviato (e questo lo sapevamo), dall'altro che l'assalto frontale agli stessi Principi Fondamentali ha bisogno di un nuovo Cavallo di Troia che ne consenta lo stravolgimento. La flat tax, appunto.

Ma seguiamo brevemente il discorso del Panebianco, che ha se non altro il merito di dire senza falsi pudori qual è l'obiettivo di lorsignori: quello di far corrispondere la costituzione formale a quella materiale, scolpendo una volta per tutte, anche nella pietra costituzionale, le "ragioni" del dominio di classe. Le sue proposte non lasciano adito a dubbi: passare da una repubblica fondata sul lavoro ad una fondata sulla "libertà", precisando subito che la prima "libertà" da tutelare è il diritto di proprietà da elevare a "diritto fondamentale".

Ora, anche se il Panebianco dice che la Costituzione del '48 «avrebbe potuto diventare - senza bisogno di revisioni - la carta fondamentale di una "democrazia popolare" se i socialcomunisti avessero vinto», a noi non risulta proprio che il diritto di proprietà abbia troppo sofferto negli ultimi settant'anni. Tant'è che il capitalismo italiano ha avuto il suo massimo sviluppo proprio nei primi decenni del dopoguerra. Ma ai rapaci del capitalismo-casinò dei nostri tempi anche questo non basta. Non solo vogliono che ogni legge sia a loro vantaggio, vogliono anche la piena vittoria sul piano ideologico. Concretamente, Panebianco vorrebbe la flat tax non solo per avvantaggiare i ricchi e per distruggere quel che resta del welfare (questo va da sé), ma anche (testuale) per assestare «una frustata ideologica e culturale».

Interessante l'elenco fatto dall'editorialista delle cose, per lui ovviamente tutte ottime, che possono però essere tacciate - giustamente, se non altro lo ammette - di incostituzionalità se non si interviene alla radice dei Principi Fondamentali: ovviamente la flat tax, ma anche le leggi elettorali maggioritarie, il numero chiuso nelle università e - orrore, orrore, tre volte orrore! - «forse perfino il Job act rischierebbe grosso di fronte a un rigoroso "controllo di costituzionalità"». Ma guarda un po', chi l'avrebbe mai detto!

Nei fatti il Panebianco ammette semplicemente che tutte le principali scelte politiche dell'ultimo quarto di secolo, non solo dunque le ultime firmate Renzi, sono incostituzionali. E questo perché - diciamo noi - tutte le scelte di questo periodo sono state ispirate all'ideologia ed ai dogmi neoliberisti. E neoliberismo e Costituzione proprio non possono convivere.

Fin qui, in un certo senso, siamo alla scoperta dell'acqua calda. Il che non toglie però interesse all'ammissione del Panebianco. Ma più interessante ancora è lo sviluppo del suo ragionamento. Sapendo di non potersi permettere un attacco scoperto alla prima parte della Costituzione (il referendum del 4 dicembre gli brucia ancora), ecco allora il gigantesco imbroglio della flat tax.

La gente non ne può più delle tasse? Bene, convinciamola che la prima cosa da fare è quella di introdurre una sola aliquota, uguale per tutti. Indovinate chi ci guadagnerà! No, calmi, mica quelli che credete voi, populisti che non siete altro. No, gente avvezza solo a pensar male di ogni studiata parola dei nostri giornaloni. Per il disinteressato editorialista del Corsera, e per tutti i sostenitori della "tassa piatta", ci guadagnerà solo l'economia, che riuscirebbe «a ripartire al galoppo, dopo decenni di alternanza fra stagnazione, recessione e bassa crescita». Boom, boom, triplo boom! Se davvero la flat tax fosse così benefica per l'economia, Russia ed Ucraina, che l'hanno introdotta rispettivamente nel 2001 e nel 2003, sarebbero in testa alle classifiche delle crescita, che ci raccontano invece una storia diversa assai.

Il succo della flat tax è palesemente un altro. Favorire spudoratamente i ricchi, cancellando anche quel minimo di redistribuzione della ricchezza che si determina grazie alla tassazione progressiva dei redditi. A questo scopo piuttosto volgarotto (e dunque poco confessabile), il Panebianco ne aggiunge un altro, per quelli della sua casta importante assai: affermare il principio del dominio assoluto della ricchezza anche nella carta costituzionale.

Detto questo, se sul Panebianco possiamo anche fermarci qui, non così sulla flat tax. Egli infatti non è solo, anzi. A rilanciare la "tassa piatta" ci ha pensato recentemente l'attuale presidente dell'Istituto Bruno Leoni, quel Nicola Rossi che è stato uno degli economisti di punta del centrosinistra nel primo decennio del secolo. Ma, come è noto a tutti, la flat tax è uno dei cavalli di battaglia preferito dalla Lega di Salvini, che proprio su questo tema ha ritrovato la piena convergenza con l'immarcescibile Silvio Berlusconi. E l'elenco potrebbe continuare...

Ora, siccome l'esercito di questi imbroglioni si va ingrossando, e siccome la propaganda leghista sul tema è attecchita anche in ambienti insospettabili del sovranismo, è quanto mai necessario fare chiarezza - numeri alla mano - sui veri effetti della flat tax, nelle varie forme proposte. Per questo torneremo nel dettaglio sul tema in un prossimo articolo.

Nel frattempo fissiamo almeno un punto: l'assoluta incompatibilità della "tassa piatta" con la Costituzione del 1948. A dire il vero, una inconciliabilità che chiunque può comprendere al volo senza bisogno di troppi discorsi. Ma viviamo tempi assai confusi, dunque di nuovo grazie al prof. Panebianco per la sua confessione spontanea.

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