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ilsimplicissimus

Acqua cotta alla romana

di ilsimplicissimus

Si scrive siccità, si legge profitto: la battaglia suicida di Roma tra piddini di rito palazzinaro e cinquestelle sotto assedio con i primi che tagliano gli emungimenti da Bracciano (del tutto marginali peraltro) e gli altri che prefigurano il razionamento dell’acqua ai rubinetti (attuata peraltro già da giugno in 20 comuni  suburbani, senza che la cosa abbia suscitato il minimo allarme), è solo in parte dovuto all’assenza di precipitazioni e al caldo senza tregua: costituisce invece un caso particolare di due aporie del mondo neoliberista ovvero quella che riguarda il non senso di consegnare ai privati i servizi universali e quella  di livello più generale che vede lo scontro tra consumo necessario all’accumulazione potenzialmente infinita del capitale e risorse planetarie limitate.

Quest’ultima è probabilmente la causa generale dell’estremizzazione del clima che provoca alluvioni e siccità, il quadro nel quale si colloca la situazione di Roma in questa lunga estate calda e in quelle che verranno sempre più spesso nel quadro della desertificazione dell’Italia centrale, ma la causa contingente consiste nel fatto che quasi la metà dell’acqua che dovrebbe giungere nella capitale (dal 41 al 44 per cento) si perde per strada a causa del pietoso stato della rete idrica: se tutto funzionasse come si deve anche le situazioni più critiche potrebbero essere superate molto più facilmente e senza alcun bisogno di razionamenti nè a Roma, né in provincia. Ora ricorderete come al tempo del referendum sull’acqua pubblica, poi volgarmente tradito dal Pd, il principale argomento dei privatizzatori era quello che occorrevano molte risorse per ristrutturare la reti idriche a colabrodo e dunque non si poteva fare a meno di investimenti privati: la teoria del debito serve anche a queste assurdità. Solo che i famosi investimenti non ci sono mai stati e non solo a Roma, ma dovunque si sia attuata una privatizzazione totale o anche solo parziale come nel caso dell’Acea detenuta in parte da Suez e da Caltagirone.

Non si tratta di cattiva volontà, di inganni o di mancata sorveglianza, ma proprio della logica di fondo che comporta la presenza privata nei servizi universali: perché i gestori e i loro azionisti dovrebbero investire riducendo i propri profitti dal momento che il loro “prodotto” è assolutamente irrinunciabile e i consumi non sono nemmeno comprimibili oltre certi limiti? Possono raddoppiare i prezzi e non fare assolutamente nulla senza il pericolo di veder svanire il loro mercato: se poi la situazione dovesse degenerare il pubblico o in veste di azionista di minoranza o di maggioranza ma con logiche privatistiche o comunque per ragioni di esistenza politica è costretto comunque a subentare realizzando una delle tante forme di sovvenzionamento dei profitti privati. La socializzazione delle perdite e la privatizzazione degli utili è ormai un must del mondo occidentale e per la più ampia serie di settori da quello bancario a quello dei trasporti (vedi ferrovie inglesi) e ovviamente anche per  quello dell’acqua, tanto che altre due capitali, Berlino e Parigi, che avevano privatizzato la distribuzione idrica, dopo qualche anno sono dovute tornare sui loro passi, ripubblicizzando tutto visti i mefitici risultati ottenuti, ovvero investimenti zero, continuo quanto ingiusticato aumento delle bollette e richiesta di fondi pubblici da parte privata.  La stessa Banca Mondiale ha dovuto fare mea culpa una decina di anni fa, quando, dopo aver favorito privatizzazioni idriche in tutto il mondo, ricorrendo spesso e volentieri anche al ricatto, è stata costretta a riconoscere che non esiste alcuna maggiore efficienza tra il servizio pubblico e quello privato.

Nonostante questo la cara Europa degli oligarchi spinge continuamente per la privatizzazione dei servizi universali ovunque può, sempre in nome di un’efficienza non solo indimostrata, ma contraddetta dalla realtà. E ha buon gioco perché, dopo quarant’anni di campagna quotidiana e indefessa contro qualunque servizio pubblico, questo è diventata un articolo di fede sul quale nemmeno si riflette più. I guadagni sono immensi, specie laddove i servizi sono più vitali: l’Acea che opera in vari settori compresa l’energia elettrica è un’azienda in attivo da sempre e di fatto “regala” profitti a Caltagirone e a Suez senza alcun motivo al mondo, sottraendo queste risorse alla città e complicando enormente la ricerca di soluzione valide per un futuro con meno acqua.

Probabilmente alla fine non ci sarà alcun razionamento, ma questa vicenda nata dalla pochezza politica dei protagonisti, sarà l’ennesima scusa per loro signori, valletti e sguatteri di ogni tipo, per tornare a proporre la privatizzazione totale come soluzione ideale: gli avvoltoi stanno già salivando per il futuro banchetto.

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