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Crisi idrica a Roma, fra lacrime di coccodrillo e interessi finanziari

di Marco Bersani

Mentre scrivo questo pezzo, gli abitanti di Roma e dei comuni del lago di Bracciano non sanno ancora cosa succederà nei prossimi giorni: si inseguono tavoli e cabine di regia fra la Regione Lazio, che con decreto ha deciso di bloccare i prelievi di acqua dal lago di Bracciano per scongiurare un disastro ambientale, Acea, che ha conseguentemente deciso il razionamento dell’acqua per un milione e mezzo di abitanti di Roma, il Comune di Roma, che assiste imbarazzato, e il Governo, che potrebbe dichiarare lo stato di calamità.

In nessun caso, ai cittadini e alle comunità locali viene data voce. Al contrario, sembrano essere utilizzati come scudi umani dentro un conflitto di interessi particolaristici che va dagli interessi finanziari di Acea, che non possono tener conto dei vincoli ambientali, al conflitto tutto “politicista” fra Regione Pd e la grillina Roma Capitale.

Che i cittadini siano ostaggi di altri interessi è reso del tutto evidente dal comportamento di Acea, perché delle due l’una: come fa Acea a dichiarare di prelevare dal lago di Bracciano una quantità irrisoria di acqua e nello stesso tempo a minacciare, se quel prelievo viene bloccato, il razionamento per un milione e mezzo di abitanti? Le due cose non stanno insieme, e tanto meno la strumentalizzazione sottesa alla privazione di un diritto fondamentale come l’acqua.

Dietro queste drammatiche schermaglie, si avverte tutto il pressappochismo delle classi dirigenti politiche e tecniche, le quali, sapientemente, continuano a rimuovere una consapevolezza che, se assunta, manderebbe all’aria l’intera dottrina liberista del mercato come unico regolatore sociale.

Siamo nel pieno di cambiamenti climatici in corso e tuttavia si continua a fingere che le stagioni siano quelle di una volta e ci si stupisce della frequenza del binomio siccità/alluvione, quando è ormai divenuto la nuova normalità metereologica.

Sembra distrazione, ma non lo è. Perché la consapevolezza di questo mutamento epocale obbligherebbe tutte le istituzioni a ragionare su prevenzione, interventi a breve, medio e lungo termine, programmazione e partecipazione delle comunità territoriali: tutte cose espunte dalla dottrina liberista dei soldi “sporchi, maledetti e subito”, per ottenere i quali ogni attività dev’essere immediatamente redditizia in maniera misurabile e il tempo delle scelte non può andare oltre gli indici di Borsa del giorno successivo.

Il dato di fatto che emerge da questa crisi idrica, finita sui giornali di tutto il mondo, è il fallimento del modello privatistico di gestione dell’acqua: venti anni di società per azioni finalizzate al profitto (e spesso, come Acea, collocate in Borsa) hanno comportato una drastica riduzione degli investimenti (siamo ad un terzo di quelli messi in atto dalle precedenti municipalizzate), un profondo peggioramento delle condizioni di lavoro e della qualità dei servizi offerti e un esponenziale aumento delle tariffe a carico dei cittadini.

E’ contro tutto questo che, nel giugno 2011, oltre 27 milioni di italiani hanno deciso, attraverso due referendum popolari, di togliere l’acqua dal mercato e di eliminare i profitti dall’acqua: una decisione sovrana, mai attuata e costantemente ostacolata, fino a far proseguire, grazie alla trappola/shock del debito pubblico, le politiche liberiste di espropriazione dei beni comuni.

D’altronde sono gli stessi bilanci delle grandi multiutility a certificarlo. Un dato sopra tutti:  le quattro “sorelle dell'acqua” (IREN, A2A, ACEA, HERA), ossia le quattro grandi società multiutilitiy quotate in borsa, tra il 2010 e il 2014 hanno distribuito oltre 2 miliardi di € di dividendi ai propri soci, addirittura oltre 150 mln di € in più degli utili prodotti nello stesso periodo.

O, per rimanere alla stretta attualità capitolina, ACEA ATO 2 S.p.A. tra il 2011 e il 2015 ha distribuito in media come dividendo ai propri soci (quasi esclusivamente ACEA S.p.A.) il 93 % degli utili prodotti, ossia circa 65 mln di €/anno, per poi ottenere dalla stessa ACEA S.p.A. finanziamenti a tasso di mercato per poter fare gli investimenti.

Ciò che tuttavia stupisce è lo stupore. Le uniche possibilità di trarre profitti dalla gestione dell’acqua risiedono in cinque fattori: la diminuzione del costo del lavoro, la riduzione della quantità/qualità dei servizi offerti, la riduzione degli investimenti, l’aumento delle tariffe e l’aumento dei consumi di acqua. Ovvero, tutti fattori in netto contrasto con il diritto all’acqua come bene comune da conservare per le generazioni future e tutti fattori che si sono contemporaneamente verificati nella stagione delle privatizzazioni.

Come se ne esce? Gli strumenti ci sono e ciò che continua a mancare è solo la volontà politica.

Un piano per il riassetto idrogeologico del territorio e per il riammodernamento delle infrastrutture idriche costerebbe 15 miliardi e produrrebbe 200.000 posti di lavoro puliti e socialmente utili.

Non ci sono i soldi e i vincoli finanziari europei non ce lo permettono? Peccato che, proprio in questi giorni, il Parlamento stia dilapidando, con il beneplacito dell’UE, 17 miliardi per regalare Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca al colosso IntesaSanpaolo.

E ancora:se esiste un’emergenza idrica, essa dovrebbe chiamare in causa tutti i soggetti. Perché allora le aziende di gestione dell’acqua non deliberano la distribuzione di dividendi zero agli azionisti per destinare le risorse agli investimenti necessari? Ma se ciò succedesse “perché i privati dovrebbero stare nelle gestioni dell’acqua?”direbbe qualcuno. “Esatto” è la risposta che rende il re nudo: i privati sono nelle gestioni dei beni comuni solo ed esclusivamente per estrarre valore finanziario dagli stessi.

Come si vede, le ragioni della vittoria referendaria sono ancora tutte valide e l’attuazione di quella decisione costituirebbe l’unica possibilità di invertire la rotta.

Come ben sanno, pur facendo finta di non sapere, tanto la sindaca di Roma, Raggi, che aveva messo nel programma elettorale la ripubblicizzazione di Acea Ato2 ed ora affianca Acea nella battaglia contro i diritti dei cittadini; quanto il Presidente della Regione Lazio, Zingaretti, che si fa paladino della tutela del lago di Bracciano, salvo dimenticarsi di emettere i decreti attuativi di una legge regionale d’iniziativa popolare, approvata tre anni or sono, la cui realizzazione invertirebbe la rotta proprio sui temi della crisi idrica in corso.

 
 
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