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Sgocciola, governo ladro!

di Christian Marazzi

Negli Stati Uniti è in corso un dibattito attorno alla riforma fiscale proposta da poco dalla Amministrazione Trump. Per quanto lontano, gli argomenti di tale dibattito sono a noi assai vicini. Ad esempio, sulle pagine del Financial Times, Martin Wolf, Lawrence Summers e altri ancora hanno scritto senza mezzi termini che si tratta di una riforma regressiva, che le riduzioni delle tasse sulle imprese sono enormi e che, benché necessaria, si tratta di un’occasione mancata che avrà conseguenze nefaste sia sul piano interno che su quello esterno degli Stati Uniti.

Grazie a questa riforma di Donald Trump, i contribuenti del famoso 1% più ricco beneficeranno della metà di tutti i benefici fiscali. I loro redditi dopo il prelievo fiscale aumenteranno dell’8,5%, mentre per il 95% dei contribuenti tale aumento sarà mediamente pari all’1%. Più regressiva di così si muore. Niente male per un presidente che aveva promesso di risollevare le sorti del ceto medio.

Naturalmente, i sostenitori di questa riforma rispondono che un po’ di iniquità non fa male, anzi. La ricchezza dei più ricchi sgocciolerà nell’economia reale perché permetterà di aumentare gli investimenti, e quindi l’occupazione, anche grazie al rimpatrio dei profitti realizzati all’estero dalle imprese multinazionali americane attratte dalla minore pressione fiscale.

Come se il problema fosse quello della scarsità di denaro da investire! Il fatto è che di liquidità ce n’è fin troppa in giro, le grandi imprese sono letteralmente sedute su montagne di soldi, ma non li investono, anzi sì, li investono, ma prevalentemente in borsa. E se questi soldi li detengono all’estero, continueranno a tenerli fuori dagli Stati Uniti fin quando il sistema fiscale, proprio come quello proposto anche da Trump, sarà discriminatorio, cioè con aliquote inferiori per i profitti realizzati all’estero.

Si fa presto a confondere attrattività fiscale e creazione di crescita economica, o a credere che l’una determini l’altra. Il fatto è che negli Stati Uniti, come in tutti i paesi economicamente avanzati, la lentezza della crescita e l’assenza di investimenti significativi per la creazione di occupazione è la conseguenza di una bassa domanda di consumo, ovvero di livelli di reddito troppo bassi. Il denaro c’è, ma i posti di lavoro non ci sono (o sono pessimi) perché questo stesso denaro finisce nelle tasche degli azionisti.

C’è poi la questione del deficit che, a causa di questi massicci sgravi fiscali, aumenterà certamente, e di molto. Gli economisti liberisti sostengono che i deficit si eliminano da soli grazie allo stimolo alla crescita. Questa cosa non si è mai vista nella storia degli ultimi decenni, e in tutti i casi ci vorrebbe una crescita fenomenale per far rientrare il deficit fiscale. Ma non è questo il momento di scherzare con queste ipotesi, dato che oggi, semmai, ci si sta preparando per la prossima recessione, durante la quale lo Stato avrà bisogno di mezzi finanziari per far fronte all’aumento dei bisogni della popolazione. Se questi mezzi finanziari non ci saranno, lo Stato sarà costretto a dirottare liquidità sul debito pubblico, che è esattamente quanto Trump e i suoi sostenitori non vogliono.

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