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inchiesta

Il Congresso del PCC del 2017

Stefano Cammelli

Diffondiamo da Polonews del 25 ottobre 2017

1. Il Congresso del PCC del 2017 : nessun ‘nuovo Mao’

Sul piano istituzionale, che molto interessa coloro che seguono le vicende cinesi, Xi ha assestato un colpo molto importante di principio e di metodo. Senza perdersi in inutili teorizzazioni – fiumi di parole erano state scritte nelle settimane precedenti da molti cultori della prassi del ‘buco della serratura’ sul ricambio, mancato ricambio, Tizio che resta nonostante abbia 69 anni, eccetera – Xi ha introdotto nell’ufficio politico permanente cinque persone nuove e nessuno di coloro che avrebbero dovuto preparare il non abbandono di Xi è stato confermato. Dunque, nonostante il molto detto, la regole del ‘67 anni sei dentro, 68 anni sei fuori‘ è stata applicata nuovamente e questo fa capire che – almeno al momento attuale – Xi potrebbe non avere alcuna intenzione di ripresentarsi tra quattro anni.

Vitale e probabilmente positivo è stato il venire meno del rigido protocollo per cui già al momento della nomina si sapeva chi sarebbe stato colui che – verosimilmente – avrebbe ‘corso’ da nuovo premier e da nuovi segretario del partito. In breve Xi ha riportato la decisione sui futuri dirigenti della Cina a un contesto di maggiore fluidità dove il solo principio conservato sembrerebbe essere quello dell’età.

Questa fluidità – ha affermato – va messo in relazione con le sfide che la Cina deve affrontare: sfide che sono molte e consistenti. È importante che il potere politico conservi, più che regole, la elasticità necessaria per prendere le decisioni che servono.

 

2. Il congresso del PCC: lo stato del Partito

Tutta la relazione di Xi Jinping è stata un’irrituale, a volte dura, insistita analisi del partito i cui difetti sono stati esposti alla stampa interna e internazionale in modo forse ‘cinese’, ma leggibilissimo.

Un esperto australiano inviato dalle università del suo paese ad assistere al congresso ha ironizzato, giorni fa su web, sostenendo che è difficile riconoscere una linea politica in un discorso così zeppo di slogan e di frasi fatte. Sappiamo che lo pensano in molti altri. Tuttavia queste frasi fatte sono ben note al partito e alla sua terminologia e servono a mettere in luce in modo protetto ma chiaro i principali problemi del partito. La lotta alla corruzione, di cui Xi Jinping si è fatto promotore fin dall’ultimo anno dell’amministrazione Hu Jintao e Wen Jiabao, continuerà e sarà forse ancora più dura. In altre parole Xi ha detto che, nonostante siano state decine di migliaia i quadri finiti in carcere o espulsi dal partito, il cancro della corruzione cinese è ancora pericolosamente diffuso e costituisce una sfida all’autorità morale del partito e delle sue scelte.

La lotta alla corruzione richiede al partito non solo di riconoscere le forme di questa piaga della Cina contemporanea (e di sempre) ma di allargare l’indagine anche su quelle tendenze dell’agire che possono nascondere connivenza e accettazione. Il formalismo dei dirigenti, il carattere burocratico della loro azione, l’avventurismo di certe decisioni, l’inaccettabile sedersi sui successi raggiunti sono le quattro anticamere dove la corruzione compare come rimedio per sopperire alle mancanze e lentezze della sede decisionale. La corruzione è stata presentata da Xi non solo come evento ‘malvagio’ in sé, ma come risorsa a cui gran parte del mondo cinese ha dovuto ricorrere troppo frequentemente per avere la meglio su una direzione politica che svolgeva male il proprio compito. Non sono parole vuote: se la denuncia del formalismo dei dirigenti e delle disgrazie che innesca procede di pari passo con una campagna di verifica e di pulizia del partito – come quella che sta ormai durando da cinque anni ininterrottamente – si può essere certi che l’azione della burocrazia e della pubblica amministrazione cinese conoscerà momenti molto difficili nelle prossime settimane e mesi. Chiunque conosca la Cina e l’abbia frequentata anche solo un minimo sa quanto siano diffusi e generalizzati questo quattro difetti.

Xi ha dedicato parole importanti anche al come risolvere questo problema. E non sono state parole al vento. La corruzione la si combatte educando, verificando, punendo o premiando. Sembrano considerazioni di carattere anodino, del tutto insignificanti sul piano concreto. Tuttavia alla luce delle diverse decine di migliaia – forse centinaia di migliaia – di dirigenti o funzionari sospesi o finiti in galera negli ultimi anni forse si può essere più consapevoli che queste indicazioni non nascondono solo un appello morale. Non occorre essere filosofi né storici per capire che dietro il primo appello ‘educare’ si nasconde un preciso mandato: non si mettono in posizione di responsabilità persone che non ne hanno la capacità, dunque che non sono state educate al compito cui vengono chiamati. Si immagini cosa significa un’affermazione di questo genere nella campagna cinese dove le nomine sono ancora legate e ispirate dall’appartenenza al clan familiare.

È sul piano del verificare che Xi spalanca vedute interessanti. Riemerge la vecchia teoria cara a una lunga tradizione comunista cinese che vuole che i quadri e le procedure siano verificabili e ispezionabili, che dunque l’azione degli amministratori non goda di alcun silenzio protettivo. Sarebbero parole vuote – da comizio – se la loro forza decisionale non fosse coniugata col terzo punto (punire). Non c’è cinese che non sappia come questo modo di procedere ripetuto e ossessivo (controllo e punizione) sia stato utilizzato energicamente per ripulire il partito dai corrotti.

 

3. Il congresso del PCC: attenzione a frettolose conclusioni

Ci si limiterà in questa sede ad alcune considerazioni primarie. Le molte persone che seguono questo blog sanno già che l’economia cinese e il suo rapporto con l’economia mondiale non sono il primario campo di competenza di chi scrive. Mentre da molti anni ormai tutta la concentrazione si è venuta focalizzando sul Partito come motore immobile della politica interna ed internazionale cinese. Quindi sarà su quello che si conosce meglio che verranno fatte le prime valutazioni. Con una premessa. Chi avesse la ventura di andare a leggere i rapporti post congresso del 2002, 2007 e 2012 si misurerebbe con una lunghissima lista di esperti i cui commenti sono stati ribaltati nemmeno sei mesi dopo la chiusura dl congresso che avevano analizzato. Il caso più clamoroso fu certamente il congresso del 2002 quando molti, per altro valenti, esperti ancora attivi sul campo annunciarono che Jiang Zimin si era ritirato dal potere ma che i giovani arrivati Hu Jintao e Wen Jiabao erano di fatto sotto la sua tutela e dovevano intendersi come leader deboli per consentire a Jiang di continuare a governare. Si erano sprecati confronti con Deng Xiaoping e Mao, capaci di reggere il partito anche dietro le quinte.

Nel giugno del 2003 tutta la restante forza politica – diretta e indiretta – di Jiang Zimin era stata completamente rimossa dal partito. I ‘deboli’ Hu Jintao e Wen Jiabao si rivelarono chirurgici e abili: una squadra navigata e esperta che allontanò dal potere politico quel gruppo di Shanghai che – a detta di tanti – era riuscito vincitore dal congresso.

Dunque prudenza, molta, se non si vuole fare la stessa fine.

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