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Germania in panne? No, è il trionfo del neoliberalismo

di Alessandro Somma

I tedeschi non hanno mai subito il fascino delle retoriche efficientiste, quelle per cui la sera delle elezioni occorre conoscere il nome del Presidente del Consiglio, e magari anche la lista di Ministri e Sottosegretari. Sono consapevoli che la politica conosce tempi diversi da quelli del consiglio di amministrazione di un’impresa, che la democrazia richiede partecipazione, e questa lo spazio necessario a renderla effettiva. Colpisce però che le elezioni tedesche si siano tenute oramai due mesi fa, e che ciò nonostante le trattative per la formazione del nuovo governo siano giunte a un punto morto: i Liberali hanno abbandonato il tavolo delle trattative con i Cristianodemocratici e i Verdi, e questo ha fatto sobbalzare più di un commentatore politico. I più parlano di una crisi della democrazia tedesca, incapace di individuare una nuova maggioranza e probabilmente condannata a tornare alle urne. Il tutto con ripercussioni catastrofiche sull’Europa: se Berlino è immobile, lo sarà anche Bruxelles.

A ben vedere le cose non stanno così. Innanzi tutto perché la crisi tedesca potrebbe trovare uno sbocco anche in tempi brevi, e poi perché l’instabilità politica di cui si parla potrebbe non essere tale, e soprattutto potrebbe essere voluta.

Incominciamo dal primo punto. A parole la coalizione tra Cristianodemocratici, Liberali e Verdi è l’unica possibile, ma non è detto che i Socialdemocratici non decidano alla fine di aderire all’ennesima Grande coalizione: dicono di volerla evitare per risintonizzarsi con il loro elettorato, ma per farlo dovrebbero rinnegare le politiche di macelleria sociale che hanno voluto al principio del duemila, quando il loro Cancelliere Gerhard Schröder ha varato le cosiddette riforme Hartz. E questo non succederà mai.

Non è detto poi che i Liberali non ci ripensino, che stiano semplicemente logorando i partner della futura coalizione per ottenere qualcosa in più nel mercato dei ministeri. O magari che puntino davvero a elezioni anticipate per sottrarre voti ad Alternativa per la Germania, il partito xenofobo ed antieuropeo da cui stanno mutuando molte parole d’ordine: dalla richiesta di controlli sulle migrazioni al giudizio sull’Europa come comunità di Stati nella quale al sud si fa festa con i soldi del nord.

Infine non è detto che all’origine di tutto non vi sia uno scontro interno ai Cristianodemocratici, che non si assista qui alle prime avvisaglie di una lotta per la successione di Angela Merkel, leader oramai logorata.

Detto questo, la riflessione da fare è un’altra e attiene al ruolo della politica, e in ultima analisi della partecipazione democratica. La Germania è oramai l’interprete più fedele dell’ortodossia neoliberale, il Paese nel quale lo Stato sociale viene tollerato solo nella misura necessaria e sufficiente a produrre pacificazione sociale. Non ha dunque bisogno di un governo che compia nuove scelte dirompenti, bensì di una tecnocrazia incaricata di amministrare l’esistente, di sterilizzare il conflitto e le spinte verso il cambiamento, di spoliticizzare il mercato.

Lo stesso vale per l’Europa, che è sempre stata una tecnocrazia e che ben può permettersi una fase di stasi. Il tutto restando saldamente ancorata allo schema voluto dai tedeschi, racchiuso nei fondamenti dell’Unione economica e monetaria. Le politiche monetarie ossessionate dal controllo dell’inflazione impongono politiche di bilancio nazionali di riduzione della spesa pubblica, oltre che piani di privatizzazioni e liberalizzazioni. La libera circolazione dei capitali obbliga gli Stati ad attirarli attraverso una incessante diminuzione del costo del lavoro e della pressione fiscale sulle imprese. Mentre la riduzione dell’inclusione sociale a inclusione nel mercato conduce alla confusione tra cittadino e consumatore, e questa a consolidare la mortificazione dei lavoratori.

In tutto questo la Germania in panne, ovvero incapace di esprimere un governo, è l’ulteriore tassello verso la subordinazione della politica all’economia, della democrazia ai mercati. È il lancio ufficiale di un sistema sperimentato con la Spagna, senza governo per dieci mesi nel corso dell’anno passato, ora fatto proprio dal Paese egemone dell’Unione europea, che dunque ne certifica la validità come strumento di governance delle persone e dei corpi politici. Del resto l’astensione è ovunque in crescita, i governi sono ovunque rappresentativi di una ristretta minoranza di elettori, che a questo punto possono essere lasciati a casa.

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