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fattoquotidiano

Black Friday, con lo sciopero contro Amazon torna la lotta di classe

di Marta Fana

La giornata di venerdì andrà ricordata per il primo sciopero in Italia dei lavoratori dello stabilimento Amazon di Castel Santangelo, Piacenza. Magazzino storico del colosso dell’e-commerce che si occupa di stoccare e spedire migliaia di prodotti in tutta Italia. Il comunicato che nei giorni scorsi ha indetto lo sciopero chiedeva una contrattazione integrativa che includa un aumento cospicuo dei premi di produttività in linea con la crescita del fatturato derivante dall’intensificarsi dei turni di lavoro. I lavoratori vogliono anche turni meno usuranti, soprattutto nei periodi di picco delle vendite, come quello iniziato ieri con il Black Friday. Nulla di rivoluzionario, le organizzazioni dei lavoratori chiedono l’apertura di un tavolo di trattativa con l’azienda per negoziare un miglioramento delle retribuzioni e condizioni di lavoro.

Per ora non si registra nessuna disponibilità aziendale. Anzi, quel che Amazon dichiara è la volontà di cercare il dialogo soprattutto con i capo reparto, i guardiani dell’ordine e della produttività degli altri. Lavoratori da fidelizzare e scagliare contro i sottoposti, in una guerra tra sfruttati.

Le rivendicazioni dei dipendenti diretti dell’azienda sono accompagnate da quelle dei sindacati rappresentativi degli assunti tramite contratto di somministrazione, quell’avanguardia del precariato usa e getta cui le aziende ricorrono nei periodi di maggiore intensità degli ordini.

Da notare che i lavoratori in somministrazione, circa 2000, costituiscono fino al 50 per cento dell’organico complessivo dell’azienda nel mese di dicembre. Qui oltre all’organizzazione del lavoro in ballo c’è anche maggiore stabilità dei rapporti di lavoro. Una richiesta che oggi sembra lontana dall’orizzonte del possibile: sono stati gli stessi sindacati a consigliare ai lavoratori ex-interinali di non scioperare perché la reazione a catena tra Amazon e le agenzie di somministrazione li condannerebbe a non essere richiamati. Non sorprende, visto l’atteggiamento dell’azienda che nella giornata precedente lo sciopero aveva già rassicurato i clienti dichiarando che i lavoratori in somministrazione non avrebbero scioperato. Un’affermazione che suona come un ammonimento. Che ha avuto l’effetto desiderato. Secondo le stime dei sindacati, allo sciopero ha aderito il 50 per cento dei dipendenti diretti coinvolti nel primo turno, quello mattutino, ma non i più precari.

Nelle stesse ore, almeno altri sei poli logistici di Amazon sono stati coinvolti da forme di sciopero e protesta, principalmente in Germania, grande snodo europeo per l’azienda di Jeff Bezos. La logistica pare oggi mostrare il vero volto del conflitto, tra grandi multinazionali e dignità del lavoro, che travalica i confini nazionali e riporta a uno scontro più ampio, più alto. Inoltre, lo sciopero di questo segmento della logistica, settore già protagonista di elevata mobilitazione negli ultimi anni, aggiunge un tassello importante alla comprensione delle reali condizioni di lavoro di facchini e magazzinieri anche lì dove la retorica della modernità pare silenziare ogni discussione. Una modernità che fa leva sui clienti, sulla loro capacità e voglia di consumo, ultimo baluardo di uno status fittizio da mostrare, atto a celare il decadimento delle condizioni materiali di questi consumatori-lavoratori impoveriti.

È utile ricordare però che i lavoratori di Amazon non sono gli unici coinvolti dal Black Friday, osannato su quasi tutte le vetrine dei negozi e sui siti delle grandi catene commerciali. Molti altri facchini e trasportatori sono toccati dalla corsa agli sconti a cui devono ricorrere masse crescenti di clienti-lavoratori impoveriti. Giornate di mobilitazione che se avessero avuto la spinta propulsiva di uno sciopero generale almeno del settore avrebbero davvero inferto un duro colpo alle controparti: aziende e grandi colossi della logistica. Così non è stato (ma non è detto che non sia in futuro). E lì dove si è scioperato, come alla Sda nel Modenese la risposta è stata violenta come già altre volte: due scioperanti investiti da un camion che forza il picchetto. La violenza della repressione è alle porte mentre si consuma il tentativo di organizzare il conflitto tra sfruttamento intensivo della manodopera di molti contro i fatturati stellari di pochi.

Infine, ma non meno importante, dai bassifondi del vasto settore della logistica alzano ancora la testa i fattorini di quell’altro interstizio dell’economia digitale dominata dalle piattaforme della food delivery (Foodora, Just eat, Deliveroo, Glovo). Sono quei lavoratori condannati all’innovazione del cottimo che ritrovano la forza di auto organizzarsi e prendere la parola. Come tanti piccoli Davide contro Golia.

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