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#Poterealpopolo: «Il nostro scopo non è contarci»

di Francesca Fornario

#Poterealpopolo, lettera di Francesca Fornario dopo l’assemblea cittadina di Roma: «Qui gli opportunisti non ci sono»

Compagni belli, l’assemblea di ieri a Roma è stata molto partecipata. «Poco dal movimento» ma il movimento è fermo (cit. Lo Stato Sociale) e la mia speranza è che questa nostra cosa serva anche a rimetterlo in moto. Non solo a vincere la stanchezza, la diffidenza e lo scazzo di chi è si è rifugiato nel suo centro sociale e fa ottime cose là dentro con i suoi compagni ma fatica a mobilitarsi al di fuori, dove bisogna ogni volta rimettersi in ascolto e in discussione, e litigare con i sovranisti, i redditisti, i lavoristi, i negriani, i decrescenti, gli interisti, gli stalinisti, quelli che stavolta giuro porcoddio voto grillo e allora sai che c’è, con tutto l’affetto, io me ne sto con i miei compagni. Non solo a questo. Spero anzi che la lista serva ad attivare la partecipazione di tante e tanti che ora vorrebbero mobilitarsi e non sanno dove, di tante e tanti che combattono lo sfruttamento e l’ingiustizia come possono e dove trovano, nelle scuola, le ong, i sindacati, i partiti, sul loro posto di lavoro, nel volontariato, le parrocchie che su tanti territori – lo dico avendo avuto come unica tessera in tasca quella dell’Unione Atei Agnostici Razionalisti – sono spesso il solo luogo dove spendersi a fianco di chi patisce l’esclusione e la ferocia del capitalismo.

Molti di quelli che hanno partecipato all’assemblea di ieri e immagino alle tante altre assemblee sul territorio sono militanti attivi in uno o due o tre di queste realtà, contemporaneamente. Moltissimi li conoscevo per nome: il comitato quattro dicembre, quello per la difesa della scuola pubblica, molti compagni di Rifondazione, del Pci, del Baobab, quelli che hanno organizzato la Flottilla per la Palestina, il coordinamento dei precari della ricerca e via così. Molti di loro sono stati perseguitati sul posto di lavoro per la loro appartenenza sindacale e politica. È quel che succede in tutti i luoghi di lavoro, non solo nelle fabbriche ma anche nei giornali, nelle scuole, nelle università. Ovunque, chi osa criticare e combattere il potere viene minacciato, ricattato, allontanato e ridicolizzato, infamato, sempre che non sia funzionale alla conservazione degli assetti di potere com’è Casapound. Il sistema si sceglie l’anti-sistema che più gli è facile tenere a bada: meglio vedersela con Nina Moric che con noi, lo capisco. E attenzione, non succede solo a chi avanza rivendicazioni e denuncia lo sfruttamento.

Mi perdonerete se faccio il mio esempio ma penso che sia sintomatico: a Radio2 ero ben pagata, il lavoro mi piaceva. L’ho lasciato quando la direttrice mi ha chiesto di non fare più battute su Renzi e mi ha imposto, come condizione per continuare a scrivere e condurre un programma di satira politica, di non fare più satira politica. La lotta non è solo avanzare rivendicazioni sindacali e aprire vertenze e fare mutualismo nell’ottica di trasformare la società ma anche, in quella stessa ottica, insegnare nelle scuole e nelle università in direzione ostinatamente contraria, scrivere articoli e libri, fare film, fare ricerca, raccogliere firme per i referendum, organizzare incontri e dibattiti per diffondere le analisi e gli strumenti che servono a capire com’è stato possibile concentrare la ricchezza nelle mani di pochissimi impoverendo tutti gli altri, compresi i lavoratori. Le analisi e gli strumenti che servono a capire chi e perché ha devastato l’ambiente, recluso i poveri nelle periferie dove si vive peggio e si muore prima, chi ha controllato l’informazione e imbavagliato il dissenso. Condivido con voi le preoccupazioni che ho condiviso ieri sera con i compagni dei Clash City Workers, Rosa Clash: attenzione, perché rischiamo di avere qui una visione molto parziale e settaria delle lotte che si combattono in questo paese e di chi le combatte. Non certo i Clash, non certo Ex OPG Occupato – Je so’ pazzo, non certo io.

Noi facciamo la nostra parte e la facciamo spesso insieme, e se tutti avessero lottato come noi avremmo il socialismo (scherzo, eh, avremmo le bombe della Nato) tuttavia noi siamo un pezzettino e le realtà che compongono Potere al Popolo un altro pezzettino un poco più grande, ma pur sempre un pezzettino. Eppure, moltissimi sono quelli che stanno partecipando alle nostre assemblee. Chi sono? E perché sono qui? Questa cosa della lista ha senso se si dà lo scopo di riunire tutte le lotte e non se pensa di intestarsi la lotta, non se pensa di rappresentarla senza curarsi di conoscere chi sui territori e nei mondi combatte anche senza militare in un collettivo o in un centro sociale aderente alla rete di Potere al Popolo. Ha senso solo se si dà questo scopo non perché sia questo lo scopo finale, ma perché solo così possiamo raggiungere insieme l’obiettivo, che è quello di parlare ai tanti che stanno subendo senza lottare. Ai tanti che non stanno lottando perché nessuno gli ha spiegato come si fa, dove, con chi. Parlare con loro, infondere in loro speranza, consapevolezza, forza. Lo scopo è questo, non contarci.

Ho detto ieri nel mio intervento che tra noi non ci sono opportunisti. Certo non ci sono tra quanti avrebbero avuto la possibilità di entrare in una lista che li avrebbe agevolmente condotti in Parlamento e che invece hanno preferito essere con noi lottare con noi. Hanno preferito fare ciò che è giusto e non ciò che è comodo. Hanno per questo la mia stima e spero quella di tutti noi. Mi riferisco ai tanti compagni di Partito della Rifondazione Comunista che potevano accodarsi a quelli che hanno fatto il Brancaccio per fare la lista con Bersani e D’Alrma, ma non solo. Mi riferisco anche ai tanti come Marina Boscaino, insegnante e militante in difesa della scuola pubblica, così applaudita nell’assemblea di ieri e in quella al Teatro Italia. Certamente una come lei, se lo volesse, potrebbe farsi candidare nella lista-Grasso o come-si-chiamerà. Non è la sola, cito lei per fare un esempio di quanti – a differenza di chi non ha altro posto dove stare che questo – avrebbero potuto scegliersi una posizione più comoda per la carriera: prendere la tessera di un sindacato che piace ai padroni, scrivere le cose che piacciono a loro sui giornali che piacciono a loro, suffragare le tesi dei professori universitari che non contemplano alternative al capitalismo invece di ostinarsi a scrivere come stanno davvero le cose e per colpa di chi, come tra i giovani accademici senza cattedra fanno Marta Fana e pochi onesti e coraggiosi con lei.

Occorre da parte nostra grande entusiasmo ma anche grande umiltà. Apertura, capacità di ascolto, rispetto reciproco. L’unica presunzione che ci serve, cari compagni, è questa qui: la presunzione della buona fede che ha spinto tutti noi a prediligere un partito piuttosto che un altro o nessuno, un centro sociale piuttosto che un altro o nessuno. Quelli che in passato lo hanno fatto per opportunismo oggi non sono qui. Abbiamo appartenenze diverse. Abbiamo fatto scelte diverse. Abbiamo anche età diverse e chi è più vecchio ha più volte cambiato partito, tessera, sigla o sindacato per rimanere fedele alla lotta contro l’oppressione dei molti da parte dei pochi. Siamo però più uguali che diversi, più uniti che divisi, noi come quelli che combattiamo. Perché le diverse scelte le abbiamo fatte tutti nella uguale convinzione di combattere l’ingiustizia del sistema e non c’è legame più solido di questo. Mi rivolgo soprattutto ai più giovani di voi, che per ragioni anagrafiche hanno l’onore dell’intransigenza e dell’intemperanza e il diritto alla strafottenza, come noi vecchi abbiamo quello alla pedanteria. L’intemperanza è vitale, la disobbedienza è vitale e necessaria, ma ora che voi più giovani avete convocato l’assemblea del Teatro Italia avete anche una grande responsabilità, una responsabilità adulta. Quella di non confondere l’intransigenza con il settarismo, il rigore con il fanatismo, la consapevolezza con la presunzione. La sola presunzione che si serve è quella di reciproca buona fede. Servirà a tutti noi per stare insieme, per lottare insieme. Per tenere insieme il molto che ci unisce, per trovare una sintesi sul poco che ci divide, per mettere da parte quello che, trovata la sintesi, continuerà a dividerci.

Compagni, forse a me viene facile fare queste considerazioni perché non ho intenzione di candidarmi. Forse sottovaluto le ambizioni di altri ma non le considero appetiti e ringrazio fin da ora chi invece vorrà spendersi con la sua candidatura oltre che con la sua militanza. Forse invece parlo così solo in virtù della fortuna che mi è stata concessa: quella di visitare ogni giorno molti mondi, molte generazioni e molte città. I sindacati, i partiti, le fabbriche, i giornali, la tv, il nord, il sud, le occupazioni, i migranti, le donne, gli ospedali, le scuole, gli orfanatrofi come quello dove è cresciuto mio figlio. Forse parlo così perché in molti mondi ho trovato i compagni in lotta e pensato che stessero lottando insieme anche senza conoscersi. È arrivato il momento di conoscersi, e di riconoscersi. Occorre da parte di tutti molto entusiasmo ma anche molta compassione. Non basta aver patito l’ingiustizia, poiché aver patito l’ingiustizia sulla propria pelle è quello che ha condotto molti a votare per Grillo o Salvini. Non basta nemmeno essersi ribellati, perché anche i reazionari come loro si ribellano ai conservatori. Serve patire insieme a chi soffre, uscirne insieme. Serve accantonare la diffidenza e partire dalla riconoscenza che ciascuno di noi deve nutrire nei confronti dell’altro per aver saputo e voluto lottare nei modi e nei luoghi che ha trovato.

Qui non ci sono opportunisti, non ci sono quelli che si sono consegnati al nemico. Ci sono, pensavo guardando ieri i tanti con i capelli bianchi mischiati ai tanti giovani, quelli che lottavano quando voi giovani non lo facevate, perché dovete ancora nascere. Qui, oggi come allora, non ci sono quelli che si sono arresi, ci sono quelli che hanno opposto Resistenza. Da compagna, da cittadina, da elettrice, li ringrazio tutti e ringrazio voi. Teniamoci stretti.

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