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sinistra

"L'uso politico dei paradigmi storici"

di Salvatore Bravo

IL termine paradigma deriva dal greco παράδειγμα, der. di παραδείκνυμι «mostrare, presentare, confrontare». I paradigmi storici sono dunque le matrici sociali e storiche attraverso cui una civiltà rende visibile a se stessa il proprio fine, e dunque si organizza attraverso il suo autoleggersi consapevole. L’attuale matrice storica è di ordine liberista ed individualista, l’unico fine è l’accrescimento del PIL. Il liberismo della globalizzazione osannante nella sua autoesaltazione ideologica, nasconde tra le sue pieghe le contraddizioni e l’assenza di senso storico, per cui opera solo la razionalità strumentale. L’attuale liberismo pecca di astrattezza, fa appello ai principi liberisti tradizionali senza considerare i diversi contesti. Oggi nell’epoca del liberismo assoluto la diffusa classe proletaria che ingloba parti del ceto medio, per cui per proletariato si intende ogni cittadino la cui vita è da suddito e da precario, deve contendere la sua possibilità di esistenza e sopravvivenza con l’uso di personoidi, per cui l’attuale liberismo occulta la minaccia perenne che pende sui lavoratori, e li ricatta perché sostituibili, le loro vite possono essere esposte alla vergogna di una veloce sostituzione per cui devono sopportare l’insopportabile. Lavoratori perché, liquefatti partiti e sindacati, non hanno gli strumenti per organizzare la resistenza e proporre una diversa visione. Ci si accontenta delle briciole altrimenti non ci sono neanche quelle.

Il liberismo malgrado le sue contraddizioni trova nell’uso ideologico della storia la sua possibilità di affermarsi come modello culturale. Il vuoto culturale lasciato dalla sinistra ha favorito l’affermarsi della matrice storica liberista, la quale sostenuta dalla sovrastruttura smantella ogni matrice storica altra, in particolare marxiana e marxista, in modo da trasformare la vergogna prometeica come direbbe Gunther Anders in una condizione ontologica. Per cui il conflitto di classe si esplica anche sul piano delle matrici storiche. Si assiste dunque ad una produzione di testi che denunciano l’esperienza storica della sinistra riducendola alle sole tragedie, occultando sia le cause storiche delle grandi tragedie da imputare all’azione dell’anticomunismo organizzato, sia le grandi conquiste dovute alla sinistra praticante, vedasi i diritti sociali, l’istruzione per tutti, i diritti individuali coniugati con la comunità e non lasciati alla deriva atomistica della società del solo valore di scambio. Un esempio è Il libro nero del comunismo: sarebbe interessante se con eguale enfasi si ponesse l’attenzione sui crimini del capitalismo dal commercio triangolare, alla prima rivoluzione industriale per arrivare al colonialismo, fino ai bombardamenti in nome dei diritti umani. La lotta che si dipana nei nostri giorni, si materializza anche in una guerra editoriale che mediante la mostruosizzazione del comunismo, ne impedisce l’uso delle sue categorie per capire l’attualità.

Si assiste in questi anni dopo la caduta del muro di Berlino all’affermarsi di una storiografia revisionista: le rivoluzioni, le conquiste dei diritti sociali, il mutamento ed il conflitto sono rappresentati come incidenti della storia, come avvenimenti che hanno perso la solidità dei fatti e la razionalità che ad esse attiene. Si liquefano i fatti e con essi ogni razionalità forte. Al posto della storia nella quale gli uomini sono stati protagonisti di un lungo processo emancipativo, resta un cratere in cui seminare la manomissione delle parole e della storia. Il ribaltamento dei fatti e la loro scomparsa in nome di una nichilistica verità che deve insegnare che tutto è stato menzogna, che ogni rappresentazione di una possibilità altra era bugiarda. La storia precedente il 1989 era un mito ideologico da cui è necessario liberarsi in nome della verità unica della produzione senza limiti planata tra di noi e per noi. La storia è finita. Resta il presente con l’annichilimento di ogni immaginazione, con la scomparsa del paesaggio umano dalla storia, ci dicono che è tutto qui… E’ il regno della verità senza speranza dei giorni in cui perdersi in un orizzonte di sole cose o nelle miserevoli acque di un Mediterraneo che offre approdi ma non unisce, anzi nella fuga l’unica possibilità per una vita migliore. In assenza di un mondo da realizzare nella storia, nella contingenza di un presente che abdica al passato per realizzare il futuro come ciclo in cui si ripresenta il presente eternizzato. In questo clima storiografico in cui la storia scompare per apparire un presente in cui impera la legge naturale del ”così è” per cui non resta che adeguarsi all’insopportabile declino dei giorni, Canfora ci invita a ripensare il revisionismo manipolativo e reazionario post 89. Il caso Silone ne è un esempio, accusato d’essere una spia fascista nel silenzio della sinistra colpevole e complice di un’operazione di sradicamento della speranza. Canfora evidenzia quanto l’intervento della sinistra avrebbe potuto trasformare detto episodio in possibilità di rilettura e comprensione degli eccessi dello stalinismo: possiamo supporre che la paranoia di Stalin avesse la sua genealogia nella violenza dell’occidente che agiva per destabilizzare con ogni mezzo e pertanto causava o esasperava condizioni da essa stessa poste1

Di questo auto-revisionismo post-comunista ha beneficiato postumamente e imprevedibilmente Ignazio Silone. Quando, infatti, sono diventati inoppugnabilmente chiari e univoci i documenti che dimostravano che Silone (Secondino Tranquilli) era stato in realtà (sin dal 1919!) l’informatore di questura «Silvestri», la scoperta compiuta da alcuni egregi studiosi (Canali ecc.) è stata accolta con duplice imbarazzo: la destra cosiddetta «intelligente» si è profondamente irritata e si è attestata sul negazionismo puro e semplice (valga per tutti Montanelli che ha proclamato: «non ci crederò mai!»), mentre i post-comunisti non hanno neanche osato dire (forse al più mormorare) la parola che qualunque persona dabbene si aspettava: «Ecco chi era Silone, il nostro fustigatore ‘libertario’ osannato ad nauseam dagli anticomunisti di tutte le risme!». È un caso molto istruttivo, anche perché negazionismo isterico e sordina imbarazzata hanno dato vita ad un fenomeno assolutamente nuovo nel panorama fino a quel momento conosciuto: quello che potrebbe definirsi il fenomeno del revisionismo istantaneo. L’imbarazzo degli scopritori, redarguiti dai soliti guardiani del cosiddetto «mondo libero», è però anche, in certa misura, comprensibile e degno di umana solidarietà. Essi non possono non avere inteso quale pesante randellata finivano col tirare, divulgando la loro scoperta, sulla testa degli accusatori perenni di Palmiro Togliatti, bersaglio principe del revisionismo anti-comunista e post-comunista. Penso allo spartito salmodiato dai segretari politici del Pds (poi Ds, poi non si sa) su «Togliatti corresponsabile di crimini»... La documentazione relativa a Silone mostrava, inoltre, che dunque quella per enne opera di infiltrazione che aveva generato l’ossessione staliniana del «tradimento» non era poi così campata in aria, visto che uno come Silone, giunto ai vertici dell’organizzazione comunista italiana e non solo italiana, era stato in funzione di spia al servizio della polizia addirittura da ben prima che il fascismo giungesse al potere e, ancor più, durante il fascismo. Per la comprensione della storia dei partiti comunisti, del loro operare, delle loro durezze e «ossessioni», quell’episodio aveva un’autentica rilevanza storiografica. E invece è stato dapprima circoscritto, poi ignorato.”

Negli ultimi decenni il revisionismo con la complicità attiva o silenziosa degli intellettuali, afferma Canfora, ha consentito al nuovo ordine imperiale del pensiero unico di affermarsi con la benedizione dei parolai benedetti dal potere. La lotta che è e che verrà vive della difesa di ciò che è stato con le sue conquiste, perché sia viva forza plastica per il dissenso ragionato coniugato con la prassi. Canfora distingue il revisionismo ideologico e strumentale da quello necessario. La storia è degli uomini, dell’umanità dev’essere campo per il nuovo pensiero, per nuove problematiche letture2

La storiografia ed il pensiero (politico) di età classica davano molto peso, nella spiegazione dei fatti storici, ai fattori individuali, psicologici ecc. In una parola a fattori riconducibili alla «natura umana». Tali fattori sono stati lungamente posti in primo piano: e lo sono ancora nella storiografia dell’età moderna fino al XVIII secolo. È il marxismo che, divenuto «credo» e «sistema», ha generato, in nome di un «materialismo storico» dogmaticamente instaurato dagli epigoni del grande pensatore, la cosiddetta «storiografia marxista» che ha prodotto la reductio ad unum delle cause (fattore economico, «Unterbau» ecc.) dei fatti storici. Contro tale reductio ad unum resta efficace l’obiezione di Momigliano (1963) agli storici sovietici (Diligenskij): anche la follia, l’amore ecc. sono fattori di storia tanto quanto la lotta di classe. Ed io aggiungerei un potente fattore trascurato, in quell’occasione, da Momigliano: il fanatismo religioso. Con quelle parole Momigliano non propugnava un mero ritorno alla storiografia tradizionale, classicamente interessata al «fattore umano» come solo motore di storia, ma piuttosto un ampliamento di orizzonte. Del resto neanche Tucidide è «monista» quando riflette sulle cause dei fatti storici. Eppure è quanto mai «materialista» nell’Archaiologia (I, 1-20) quando connette lo sviluppo materiale (crescita economica e crescita delle flotte) con la dinamica della lotta politico-statale della Grecia ab origine. D’altra parte August Böckh ha scritto l’Economia pubblica di Atene nel 1817, cioè l’anno prima della nascita di Marx: e quello è forse il libro più importante di storia ateniese «materialisticamente» orientata! Così come lo studio della moderna schiavitù coloniale come veicolo per la comprensione della schiavitù antica lo dobbiamo a Dureau de la Malle, L’économie des Romains (Hachette, Paris 1840): Marx stesso, semmai, che si è accostato ad opere siffatte.

La dimostrazione di quanto angusta sia stata la visione scolastica degli ortodossi del «materialismo storico», e quanto valido l’ampliamento di orizzonti sintetizzato efficacemente da Momigliano, è emersa chiaramente grazie a due fattori concomitanti: e il 1989 è in entrambi i casi l’anno simbolo”.

Riaprire il tempo alla storia, una nuova fenomenologia della storia attende gli intellettuali e ogni essere pensante che abbia e senta il destino, ideologicamente strutturato, come una pesante catena da spezzare dialetticamente per ripensare il presente secondo nuove categorie, al fine riaffermare la corrente calda che scorre carsica anche nei nostri giorni plumbei ma redimibili. Lo storico deve riappropriasarsi come afferma Canfora nella chiosa finale del testo del suo essere limitrofo al potere senza esserne ingabbiato. Lo storico deve marcare il potere renderlo “pubblico” per poterne denunciare le storture e le contraddizioni e dunque smascherare le posizioni sclerotizzate e falsamente universali. Abbiamo nostalgia degli storici che ricostruiscono geneticamente le concettualizzazioni da propaganda, perché il loro contributo rende più salda la possibilità della lotta, portando luce nella caverna oscura del capitalismo assoluto.


Note

1 L. Canfora, L’uso politico dei paradigmi storici, Laterza, Bari, 2014, pag. 69

2 Ibidem pag 72
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