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blogmicromega

Le insanabili contraddizioni dell'Alternanza Scuola Lavoro

di Marina Boscaino e Renata Puleo

Francesco Sinopoli, Segretario Nazionale della FLC-CGIL, si è recentemente pronunciato contro le attuali forme della Alternanza Scuola Lavoro (ASL). All’opposto, Fabrizio Dacrema, Responsabile Istruzione e Formazione della Confederazione, lancia la sua proposta formativa per tutor ASL, con riferimento all’area CGIL (così par di capire). Avevamo già messo in evidenza la contraddizione tra le due posizioni, proprio da questo blog. Le slide collocate online da Dacrema mediante una sorta di Zooming User Interface (impossibile ormai rinunciare ad ammantarsi di modernità digitale) ne testimoniano l’entusiasta adesione al mantra sulle competenze, che vengono viste come premessa e come esito di un’alternanza efficace. Per i non addetti ai lavori: al termine “competenza” sono stati assegnati – dagli anni ’90 ad oggi - i significati più vari; tutti, nella società dell’“economia della conoscenza”, sono però più o meno convergenti sull’idea che conoscenze, sapere, abilità, motivazioni che - dentro di noi - “vanno insieme”, secondo l’etimologia della parola, devono diventare merce: producibile, quantizzabile, omologabile, misurabile, valutabile, vendibile, acquistabile.

Si è passati da una visione delle conoscenze come opportunità utili al soggetto per il suo sviluppo personale e per la sua partecipazione critica alla vita della comunità, a una loro riduzione a strumento di potere di chi, attraverso la standardizzazione dei processi, quel medesimo soggetto vuole performare, misurare e, quindi, controllare.

Il tutto sfocia in un’idea di scuola quale processo formativo funzionale alle esigenze del mercato del lavoro, secondo l’esclusivo punto di vista dell’impresa.

Torniamo alle “magnifiche e progressive” slide di Dacrema, anche se – di nuovo a quanto abbiamo capito – la formazione dei tutor “sindacali” non ha avuto luogo per problemi “tecnici” (che siano mancati gli iscritti è certamente una fake news, messa in giro da detrattori oscurantisti, maligni e prigionieri dei propri preconcetti). Anche se non ha prodotto effetti concreti e immediati, la sua fatica intellettuale sottolinea le contraddizioni che agitano il sindacato e il mondo della scuola intorno all’ASL; che si concretizza pericolosamente nei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado come micidiale alleanza fra prospettiva della Buona Scuola e impostazione del Jobs Act; triste connubio culturale e organizzativo (ma anche, come cercheremo di dimostrare, politico) di cui stanno facendo le spese collegi dei docenti, studenti, famiglie. L’analisi delle diapositive porta alla nostra attenzione almeno tre elementi inquietanti.

i) A chi sono rivolte? Genericamente ai tutor dell’ASL. E quindi a tutti, si direbbe: tutor interni (i docenti della scuola, che vengono sempre più spesso deviati su un mansionario lontanissimo anni luce dalla loro identità professionale); esterni (i rappresentanti delle aziende, in senso proprio); e – ancora -appartenenti alle strutture sindacali.

ii) Chi istruisce e chi valuta? Dei tre “nodi cruciali” evidenziati in una delle prime slide, il più significativo è che l’ASL rappresenterebbe una “nuova metodologia didattica”; ovviamente incardinata nella “didattica delle competenze”, la cui certificazione è compito che azienda e scuola devono svolgere di concerto,con però un inedito protagonismo della prima. Si prospetta e si legittima perciò una gravissima cessione di sovranità della scuola nel campo dell’istruzione e, nello stesso tempo, una enorme violazione della libertà di insegnamento intesa come garanzia dell’interesse generale. La valutazione “autentica” (perché mirata, orientata allo scopo e al luogo)deve infatti essere effettuata dal tutor aziendale; ovviamente, vista la logica assunta, non solo sull’esperienza specifica, ma anche sul complesso degli apprendimenti coinvolti.

iii) Qual è l’obiettivo culturale in ambito sindacale? Secondo il suo ideatore, il percorso formativo proposto costituirebbe anche la possibilità di “rinnovare” la CGIL (sic!). È infatti ora di svecchiare il colosso sindacale, nel solco della sempreverde retorica dell’innovazione a passo con i tempi: intervenendo nei modi descritti da Dacrema, il sindacato farebbe “finalmente la sua parte” (nel ruolo di formatore-formato) attraverso il Laboratorio Scuola Lavoro, presumiamo una sua creatura.

Il fatto che si debba finalmente valutare la scuola è vulgata ormai pluridecennale e, al tempo stesso, necessità propugnata come impellente di soloni dal passato rivoluzionario (Galli Della Loggia, Crepet, solo per fare qualche nome), che amano reiterare il loro accorato/indignato appello ad una severità che si fa sostanza: docenti, alunni, valore legale del titolo di studio. A confortare costoro e la loro accanita ostinazione non bastano le agenzie del Sistema Nazionale (INVALSI ANVUR) o le fondazioni confindustriali e amiche (Assolombarda, TRELLLE, Fondazione Giovanni Agnelli, e così via), ma interviene anche Dacrema, che promuove a questo scopo il valutatore-impresa. Insomma, l’insegnante si deve fare da parte con il suo pressapochismo soggettivo, deve smettere di pensare di essere per ruolo professionale un tutor per i suoi allievi. Deve accettare di essere formato ad hoc, di concerto da MIUR-Aziende-Sindacato, stretti in un patto culturale di promozione della cultura dell’impresa e del profitto.

Le slide non sono infatti l’unica esternazione messa in atto da Dacrema. Nella Rassegna Sindacale 5/2017, ad esempio, il nostro funzionario CGIL firma un saggio dei principi che ispirano il suo pensiero di cantore delle competenze nell’era della rivoluzione 4.0. In buona compagnia di politici, dirigenti e alcuni insegnanti particolarmente solerti, plaude all’effetto cascata: le Otto Competenze di marca europea, la Guida MIUR alla Certificazione, Il Quadro Europeo delle Qualifiche Professionali (EQF). La formazione permanente (altro mito in chiave UE) diventa, nella prospettiva di Dacrema, rasserenante e compulsiva standardizzazione ad oltranza di un’esistenza trascorsa alla ricerca del miglior adattamento alle condizioni lavorative e sociali imposte, in un continuo, rassegnato e subalterno processo di stimolo-risposta, omologazione al pensiero unico, elegantemente spacciato per effetto-cittadinanza.

Dopo questa lunga esegesi di argomentazioni che assumono peso solo perché provenienti dall’interno della cultura e dell’organigramma della più grande confederazione sindacale del nostro Paese, proviamo ora ad enucleare alcuni punti sensibili, quasi a conclusione del primo triennio di applicazione della norma.

  1. I dati sulla esperienza ASL derivata dall’applicazione della legge 107/2015 – quindi non su quella già praticata nella forma degli stage e dei tirocini previsti nei curricula degli istituti superiori tecnici e professionali, non quella oggetto del riordino morattiano (Dlgs 77/05)-, sono carenti e di fonte incerta. Assolombarda, all’avanguardia nel progettare interventi di ASL, lamenta che il campionamento dell’INDIRE è diverso da quello utilizzato dai diversi Uffici Scolastici Provinciali, che, a loro volta, non hanno trovato sintesi centrale, ministeriale. L’osservatorio di altre agenzie appare ugualmente parziale (l’indagine a cura dell’Unione degli Studenti, ad esempio) e perciò bisogna fidarsi delle statistiche offerte dalle diverse sedi confindustriali. Insomma: è evidente che il rapporto lavoro-scuola e viceversa, non è stato né ben pensato, né monitorato. Ma – soprattutto - è chiaro che è mancata una riflessione seria sulla cultura del lavoro nel nostro Paese. Se consideriamo sindacati, partiti, associazionismo di varia marca (ad esempio quello classico dei docenti, ormai in disuso: MCE, CIDI, Rete AVIMES Piemonte, e così via), ma anche agenzie statistiche pubbliche, ci rendiamo conto che nessuno ha condotto un’indagine accurata sul lavoro, sulla sua frammentazione, sulla sempre attuale suddivisione fra produttivo e riproduttivo; ricattabilità, assenza di tutele e sicurezza, potenziale inquinamento, in particolare in alcune zone del Paese, da parte della criminalità organizzata: tutti elementi di cui mancano valutazioni e dati sistematici e che potrebbero coinvolgere anche il fenomeno dell’alternanza scuola lavoro.
  2. Tra i totem lessicali, l’inflazione di termini – anche nei documenti ministeriali - quali “laboratorio” e “cooperazione” (apprendimento, lavoro, ricerca) denota la pochezza delle analisi. Ma risponde perfettamente a quell’infarinatura apparentemente pedagogica che la compressione degli spazi di pensiero critico analitico imposti alla scuola sotto il nome di innovazione (con relative contrazioni di tempo – dell’apprendere, dell’insegnare – ha preteso per diventare vulgata collettiva e pratica spesso inefficace in nome dell’evergreen innovazione, il più apicale dei concetti nella tassonomia della manipolazione linguistica finalizzata a decostituzionalizzare la scuola italiana (e non solo).
  3. Pertanto, mentre i luoghi tipici della elaborazione politica si svuotano di persone e contenuti, la classe dirigente eco-finanziaria fa gruppo di lavoro nei consessi segreti e ragiona per tutti gli altri: coloro che non hanno più praticabilità di spazi per discutere. La quarta rivoluzione industriale (la Fedeli dice anche “per” la scuola) di questo si nutre, e su questo matura aspettative e consensi. E copre con la sua enfasi mediatica, con il suo rumore futurista, lo squallore della fatica e della miseria, l’esistenza pervicace dello sfruttamento (secondo la vecchia definizione marxista: mettere a valore la forza-lavoro, creata mediante l’espropriazione dei mezzi di produzione)
  4. L’Asl è provetta e laboratorio di una visione del lavoro modello Jobs Act; in altri termini: l’obiettivo è irreggimentare il profilo del futuro lavoratore; lo strumento è il profilo (che le “riforme” hanno standardizzato) dell’attuale studente. I soggetti coinvolti nell’ASL devono essere pre-parati ad accedere al mondo del lavoro con una unica certezza consolidata, priva di interrogativi e dubbi: il lavoro non è un diritto; è un privilegio che altri possono decidere o meno di concedere; il lavoro non prevede necessariamente il salario. Reti di solidarietà, conflitto, vertenze e – soprattutto – diritti, contratto, dignità sono invece termini del secolo scorso, cancellati dall’immaginario politico-culturale collettivo dalla ventata psico-demagogica di modernità e innovazione, equivalenti di subalternità, delega, pensiero unico.
  5. La cessione di sovranità della scuola (sia detto tra parentesi, organo costituzionale e non servizio pubblico) al mondo esterno (spesso quello dei brand e dei marchi commerciali; nelle parrocchie; quando non dei partiti politici di governo – e non si sa quale delle due soluzioni inquieti di più) equivale ad una devoluzione di principi che – ancora – hanno fondamento costituzionale, quale sapere emancipante, libertà di insegnamento, unitarietà del sistema scolastico nazionale, promozione dei capaci e meritevoli privi di mezzi; ma anche inclusione, democrazia scolastica, laicità. Un fenomeno politicamente e culturalmente mostruoso, su cui ancora si stenta ad avviare una riflessione approfondita e seria.
  6. Quando non è puro sfruttamento, quando non ha esiti lesivi, quando non è completamente svincolata dal percorso scolastico, quando non è manipolazione ideologica, l’alternanza scuola lavoro sta producendo un ulteriore, catastrofico effetto: il rafforzamento dell’impianto gentiliano della scuola italiana; ai liceali (se non altro per decenza e per assoluta inutilità di esperienze di altro tipo per decine di migliaia di studenti, certamente destinati ad almeno un decennio di studi) viene riservato per lo più il contatto con i segmenti successivi dell’istruzione e della ricerca; mentre gli studenti dei tecnici e dei professionali vengono brutalmente fatti incontrare con le istanze di mercificazione dei loro profili, considerati esclusivamente in una prospettiva di illusoria occupabilità immediata.
  7. Lo “sviluppismo” senza cultura e senza progetto politico sembra (tipico di alcune regioni del Nord, ferma la scarsa certezza dei dati) non possedere alcuna vocazione formativa a cui la scuola potrebbe essere interessata. Non solo; spesso le poche esperienze virtuose costruite dagli istituti professionali con la vecchia normativa (in campo turistico-alberghiero, ad esempio) sono affossate dai grandi numeri imposti dalla ASL renziana (per denaro erogato, numero di ore e di studenti in gioco). Infine la beffa: in un recente convegno a Padova su ASL, il docente referente per l’alternanza in un istituto alberghiero, ha riferito che il periodo di alternanza, oggi svolto gratuitamente, in precedenza (ante l 107/15) veniva retribuito.

Che il capitalismo, nella versione neoliberista, avesse la vocazione a inghiottire e metabolizzare i valori che improntavano la scuola e quel che di etica aziendale ancora rimaneva nell’imprenditorialità più accorta, era prevedibile; non ci è apparso immediatamente chiaro, perché il disegno è apparso a tratti contraddittorio, a tratti abbozzato, a tratti accelerato.

In troppi ci siamo-si sono distratti. è ora di invertire la rotta e rialzare lo sguardo: il lavoro non è (soltanto) merce; e l’istruzione deve contribuire a restituirgli la dignità costituzionale, in termini politici e culturali.

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