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Quando il nemico è la democrazia

di Marco Bersani*

Entro il 31 dicembre di quest’anno gli Stati che nel 2012 avevano sottoscritto il Fiscal Compact (deficit strutturale annuale delle amministrazioni pubbliche inferiore allo 0,5 per cento del Pil, obbligo di ridurre il rapporto debito/Pil di un ventesimo ogni anno fino a portarlo al di sotto del 60 per cento) dovrebbero decidere se incardinare l’accordo all’interno del diritto europeo, determinandone di fatto la prevalenza sulla legislazione nazionale.

Logica avrebbe voluto che tale decisione fosse presa da ogni Parlamento di ogni Stato che aveva a suo tempo approvato il Fiscal Compact. Così non sarà: non si prevede infatti nessuna discussione democratica all’interno delle istituzioni elettive, bensì l’inserimento della questione all’interno di una più ampia riforma dell’Eurozona che verrà inserita in una Direttiva del Consiglio Europeo da approvare entro la metà del 2019.

In un documento di quaranta pagine, la Commissione Europea ha presentato in questi giorni le proprie proposte. Tre sono le novità previste.

La prima, a più lunga scadenza, prevede l’istituzione di un ministero delle Finanze dell’Ue e, conseguentemente, di un superministro del Tesoro che aumenti le funzioni di controllo della Commissione Europea sul bilanci degli Stati membri, al fine di garantire il rispetto autoritario dei vincoli finanziari europei. In questo caso, i già ridottissimi margini di scelta degli Stati membri verrebbero praticamente azzerati e i governi trasformati in uffici di contabilità decentrati.

La seconda, a breve, prevede l’inserimento del Fiscal Compact nell’ordinamento europeo, anche se – bontà loro – in una versione meno stringente di quella attuale, prevedendovi la “flessibilità” insita nel Patto di stabilità e crescita. Di che flessibilità si stia parlando, lo argomentano meglio i recentissimi dati dell’Istat, che quantificano in 18.133.636 le persone a rischio povertà o esclusione sociale nel nostro Paese (30 per cento della popolazione totale).

La terza novità è la costituzione del Fondo Monetario Europeo, sul quale si misura fino in fondo l’orgoglio continentale. Stufa di essere sottoposta ai diktat delle grandi istituzioni finanziarie internazionali, l’Unione Europea ha deciso di mettersi in proprio, trasformando il vecchio Mes (Meccanismo europeo di stabilità, cosiddetto Fondo Salva-Stati) nel nuovo Fondo Monetario Europeo, il vero guardiano della stabilità.

Strutturato come il ben più conosciuto (e famigerato) Fondo Monetario Internazionale, sarà inserito nell’ordinamento europeo e interverrà sui paesi in crisi, aprendo linee di credito per “salvarli”, in cambio di aggiustamenti di bilancio e riforme strutturali. E, analogamente al fratello maggiore Fmi, anche il Fme sarà strutturato su un diritto di voto basato sulle quote e un diritto di veto per i paesi più forti (Germania e Francia).

“Coraggio” è l’esortazione della Commissione Europea agli Stati membri affinché intraprendano questa nuova strada verso il sol dell’avvenire. Ma forse, “coraggio” è anche un’ involontaria esortazione consolatoria per i popoli europei che dovranno subire questa ulteriore restrizione di diritti e di democrazia.

Ancora una volta risulta evidente la diretta proporzionalità tra fragilità e ferocia: più il progetto europeo affonda sotto la spinta delle politiche liberiste dettate dai grandi interessi finanziari, più le élite si trincerano a sua salvaguardia, divenendo sempre più feroci per garantirsi sempre maggior rassegnazione.

È venuto il tempo di salire sui tetti, perché solo da lì si può vedere l’orizzonte.


Firma la petizione Stop Fiscal Compact QUI

*Attac Italia

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