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gliocchidellaguerra

Nepal, il popolo scarica Modi e abbraccia la Cina Xi Jinping

di Costantino Leoni

Domenica 26 Novembre il Nepal è tornato alle urne dopo un’attesa ventennale per eleggere i membri del parlamento. Sono state le prime elezioni dal 2007, anno in cui venne abolita la monarchia congiuntamente agli accordi di pace siglati dallo stato coi ribelli maoisti che dieci anni prima avevano dato il via ad una sanguinosa guerra civile costata la vita a più di 14mila persone.

Quella del ritorno alle urne è una notizia estremamente positiva per un paese tra i più poveri della regione che in 10 ha visto succedersi altrettanti governi. Una vera e propria paralisi che ha dato il via ad una corruzione dilagante investendo ogni strato della popolazione.

L’Assemblea Costituente venne eletta nel 2008 con un mandato di due anni, ma questo termine fu poi prorogato più volte poiché i partiti non riuscirono mai a trovare un accordo sulla nuova Costituzione. In particolare, i dissidi tra le parti si sono concentrati sulla volontà della maggioranza di dividere il paese in unità amministrative e regioni create a tavolino senza tenere conto di alcune importanti realtà tribali. Le tensioni che seguirono hanno seriamente rischiato di riaccendere i mai sopiti fuochi delle differenze etniche. L’incubo di un ritorno ad una guerra civile si fece sempre più pressante proprio a causa delle rivalità regionali tra il gruppo tribale hindu dei Madhesi/Therai (storicamente propensi ad una vera e propria autodeterminazione) e il governo centrale.

Nel frattempo, ad Aprile 2015, una serie di terremoti devastanti ha scosso il paese, uccidendo quasi 9mila persone, distruggendo centinaia di migliaia di case e gettando un ulteriore 3% della popolazione sotto la soglia di povertà. Oltre alla scarsità di finanze, l’incertezza politica ha fatto sì che anche i fondi già stanziati e gli aiuti ricevuti da paesi stranieri non fossero stati assegnati e spesi.

Da questa catastrofe naturale però, il Nepal ne è uscito politicamente rinato; uniti nel dolore per l’immane tragedia e con un paese totalmente da ricostruire, i partiti hanno messo da parte gli antichi rancori e trovato non senza fatica un accordo per una nuova costituzione arrivata finalmente nel settembre del 2015.

Le elezioni di Novembre per l’assemblea parlamentare hanno visto un incredibile partecipazione popolare salutata con favore da tutti i paesi confinanti, in particolare dai due giganteschi e scomodi vicini di casa del Nepal: Cina e India. Ciascuna delle due potenze ha infatti interesse a che da queste elezioni esca una maggioranza che possa stabilire con loro accordi commerciali e progetti infrastrutturali su larga scala il più possibile vantaggiosi, possibilmente danneggiando la controparte.

Gli interessi dei due colossi asiatici si concentrano in particolare sull’energia idroelettrica. I fiumi nepalesi, scendendo dall’Himalaya ricoperto di neve, hanno un enorme potenziale non sfruttato per la produzione di energia idroelettrica. È dunque evidente che due paesi tecnologicamente avanzati come Cina e India non possono lasciarsi sfuggire un tale tesoro. Per questo, le elezioni nepalesi da osservare con moltissima attenzione: chi uscirà vincitore da questa storica tornata elettorale potrebbe rivoluzionare gli equilibri energetici e geopolitici di un’importante area dell’Asia. 

Fino a pochi giorni fa, quando è ufficialmente iniziato il conteggio delle schede, gli analisti davano quasi per scontata la vittoria del Partito centrista del Congresso, il più antico e numeroso, che include alcuni partiti nazionalisti minori come quello dei Madhesi e dei nostalgici monarchici ed è direttamente appoggiato dal premier indiano Narendra Modi.

A contendere loro la maggioranza dei seggi si è presentata una coalizione di sinistra sponsorizzata dalla Cina e formata dall’alleanza tra il Partito Comunista e il Partito Maoista composto dagli ex guerriglieri che negli anni ’90 parteciparono attivamente alla guerra civile. Il leader di questa nuova alleanza è Khadga Prasad Oli, già primo ministro del Nepal in uno dei famosi dieci governi di breve durata della storia del Nepal, è famoso per non essere affatto in buoni rapporti con l’attuale presidenza indiana. Modi infatti non ha mai appoggiato la nuova costituzione Nepalese che, a suo dire, non rappresentava abbastanza le minoranze hindu delle regioni collinari a sud-ovest del paese. Nel 2015, come forma di ritorsione per l’approvazione della nuova Costituzione che non soddisfava in pieno le autorità di New Delhi, l’India decise di imporre un embargo non ufficiale contro le merci esportate in Nepal. Il blocco delle forniture di gas, petrolio e benzina, poi interrotto dopo circa due settimane, causò notevoli disagi in tutto il Paese asiatico e non poco imbarazzo a livello internazionale.

Con enorme sorpresa di tutti gli osservatori, sembrerebbe che K. P. Oli e la sua coalizione comunista usciranno vincitrici dalle elezioni. Secondo i risultati preliminari comunicati dalla Commissione elettorale nazionale il Partito Comunista e i ribelli Maoisti sembrano destinati, contro ogni pronostico, a una vittoria schiacciante, che segna la fine della transizione del paese himalayano verso la democrazia federale, undici anni dopo la fine della guerra civile. Secondo i dati annunciati dalla Commissione elettorale l’alleanza di sinistra ha ottenuto 84 seggi nel parlamento nazionale e dovrebbe averne altri 31, assicurandosi la maggioranza. Il partito del Congresso ha vinto finora solo 13 seggi, con risultati peggiori rispetto alle aspettative. In Nepal, la camera bassa del parlamento comprende 165 seggi ad elezione diretta, e 110 che sono assegnati alle parti sulla base dei voti di rappresentanza proporzionale. 

Si tratta di un risultato inaspettato che ribalta completamente i sondaggi precedenti. Una vittoria soprattutto per la Cina e un colpo durissimo per l’India e per gli Usa che escono sconfitti e notevolmente rivoluzionati da questa battaglia per l’energia idroelettrica. Non è un segreto che dietro l’alleanza tra Comunisti moderati e Maoisti ci sia la mano di Xi Jinping, ma probabilmente nemmeno lui sperava realmente in una vittoria, senza dubbio non una così netta. Scalfire il legame storico tra Nepal e India non è stata un’impresa da poco, soprattutto dopo che a Novembre il governo uscente del Nepal aveva fatto saltare un accordo da 2,5 miliardi di dollari stretto con la compagnia cinese China Gezhouba Group Corp (Cggc) per la costruzione dell’impianto idroelettrico di “Budi Gangaki”. Il Progetto Idroelettrico è situato in un’area centro-occidentale del Nepal, una regione che si è progettata a sviluppo avanzato proprio nei pressi del fiume nepalese di Budi Gandaki. Un accordo che rientra perfettamente nella strategia cinese della Nuova Via della Seta, la Belt & Road Initiative. Il Vice Primo Ministro nepalese Kamal Thapa aveva però reso nota via Twitter la decisione di annullare ogni tipo di accordo con le aziende cinesi: “L’accordo è stato inficiato da alcune irregolarità commesse dalla Compagnia cinese Gezhouba Group circa la costruzione del progetto idroelettrico Budi Gandaki ed è la risultante di un incontro di Gabinetto governativo concordato e diretto dalla Commissione Parlamentare”.Un rifiuto alle offerte cinesi che a molti è però sembrato pilotato dall’esterno.

Secondo molti analisti era infatti previsto che l’accordo passasse in automatico al colosso dell’energia indiano Nhpc Ltd col benestare degli Stati Uniti che non vedono affatto di buon occhio i movimenti cinesi nella regione. Trump e Modi da tempo operano a stretto contatto per contrastare il predomino cinese offrendo ai vari stati asiatici un’alternativa alla Via della Seta. Nel caso del Nepal il Millennium Challenge Corporation (un’agenzia per lo sviluppo creata nel 2004 direttamente dal Congresso americano) ha approvato ad agosto di quest’anno un primo finanziamento di 500 milioni di dollari per forniture di energia elettrica e manutenzione delle vie ferroviarie nell’ambito del progetto targato USA-India-Giappone del “blocco Indo-Pacifico”. D’altra parte gli Stati uniti non hanno mai nascosto il loro interesse per il Nepal. Soltanto pochi mesi mese fa durante una audizione tecnica presso il Congresso degli Stati Uniti, la assistente segretaria operativa nel Dipartimento di Stato, Alice Wells, affermava: “Il Nepal è stato selezionato per essere per gli Stati Uniti uno dei progetti a più alto profilo di crescita regionale in termini di connettività con il Progetto Indo-Pacifico”.

India e Usa hanno però fatto male i propri calcoli, prendendo accordi con un governo ormai prossimo alla fine del mandato e confidando fin troppo nei sondaggi che puntavano su una rielezione del partito centrista. Hanno così ignorato la volontà popolare; un popolo, tra l’altro, molto più più di altri desideroso di esprimere il proprio diritto di voto. Un voto che ha di fatto sancito la schiacciante vittoria del fronte comunista filo-cinese e, immaginiamo, l’immediato ripristino di quegli accordi così bruscamente interrotti per volere di paesi terzi.

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