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Una sinistra radicale, non vuol dire estremista ma anticapitalista

di Piero Bevilacqua

Sorprendentemente, nel suo emozionato discorso di circostanza, al momento dell’investitura a leader di Liberi e Uguali, Pietro Grasso ha tessuto l’elogio del termine radicale.

E’ dunque una buona occasione per tornare a riflettere su questo aggettivo.

L’utilità immediata nasce dalla possibilità di chiarire una volta per tutte (si fa per dire) che radicale non significa estremista, settario, massimalista, come fa la grande stampa, interessata a mettere alla gogna quanti pensano alla politica come agente modificatore dei rapporti sociali. Nel lessico della sinistra esso ha ben più alto significato e più nobile origine. L’etimo storico risale al giovane Marx per il quale «essere radicale significa afferrare le cose alla radice».

DUNQUE SINONIMO di radicale non è estremista, ma profondo. Politica radicale è quella che guarda alle nascoste gerarchie di reddito e di potere su cui poggia l’intero edificio sociale. Essa non si limita alla gestione dell’esistente. Quest’ultima è la politica degradata ad amministrazione che ha svuotato la sinistra europea della sua tradizione e funzione storica. E’ il tran tran di gran parte delle nostre forze politiche, fiancheggiate dai grandi media, creatori di un sopramondo spettacolare in cui la finzione mercantile occulta abissi di iniquità reale.

CERTO NON MI SFUGGE che specie nei gruppi giovanili, nei movimenti, spesso alberga l’ingenua pretesa di trasformare in azione immediata l’ analisi radicale, di saltare la mediazione politica, la forma concertata di mutamento della realtà che tiene conto dei rapporti di forza in campo.

Oggi la sinistra o è radicale o non è. E in Italia è in grandissimo ritardo. I fenomeni sociali che avanzano da oltre un decennio sono di inaudita gravità. Mai nella storia contemporanea d’Europa e del mondo era accaduto che, per un periodo così lungo e per estese fasce sociali, le scelte delle classi dirigenti si traducessero in forme continuate e minacciose di retrocessione sociale. Il tempo portava avanzamento e benessere. Oggi gli anni avanzano portando per tanti strati di popolazione impoverimento e minacce di ulteriore regressione. La politica di austerità della Ue è da quasi 10 anni un fomite di violenza sociale. Da qui i cosiddetti populismi e i risorgenti fascismi. Essi nascono da un bisogno di radicalità dell’azione politica – cioè di efficacia di mutamento dell’azione dei partiti e dei governi – che la sinistra non assolve più.

Radicale , ma anche anticapitalistica. E’ scomparsa la parola capitalismo dal lessico della sinistra e pour cause. Il fondatore del Pd ha dichiarato sin dalle origini l’equidistanza tra imprenditori e operai. E come può essere di sinistra un partito che mette sullo stesso piano chi sfrutta e chi è sfruttato? Certo, non siamo nell’800, e nella nostra piccola e media impresa esistono anche generose figure di imprenditori. Ma siamo in una società capitalistica…

ANCHE IL TERMINE anticapitalistico ha bisogno di chiarimenti, di essere difeso da tentativi ideologici di criminalizzazione. Esso non allude a un progetto insurrezionale. Non ci sono più Palazzi d’Inverno da prendere d’assalto. Ma l’aggettivo possiede l’alto valore simbolico e ideale di mostrare un’alternativa generale alla miseria del presente. Dà senso e direzione all’azione politica, riscattandola dalla sua particolarità e proiettandola, in una tensione universalistica, verso la costruzione di un nuovo mondo possibile.

SI DIMENTICA SPESSO, allorché si tende ad annullare la distinzione tra destra e sinistra, che quest’ultima possiede un altro elemento di caratterizzazione, oltre agli altri ben noti: essa ha sempre accompagnato l’azione politica quotidiana con una elaborazione teorica sistematica, con l’analisi costante del modo di produzione capitalistico e delle sue trasformazioni. E’ la condizione non solo per dare efficacia operativa all’azione politica, ma anche per indicare una prospettiva di profonda alternativa al presente. Per tanti, soprattutto per coloro che hanno “voce,” il presente va bene così com’è. Per la vasta platea dei subalterni non è così. Per le nuove generazioni che si affacciano sotto il cielo della nostra epoca lo status quo è privo di futuro, ridotto ormai a qualche nuovo prodotto tecnologico gettato sul mercato.Il futuro è il prossimo smartphone lanciato dalla Apple. Ma una società incapace di alimentare il “sogno di una cosa “ incancrenisce, si dissolve nel deserto spirituale del nichilismo.

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