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Draghi, il diavolo fa le pentole...

di Moreno Pasquinelli

"L'Europa cresce (tutta) e il merito è suo". Con questo titolone Corriere Economia ha stabilito che Mario Draghi è "l'uomo dell'anno".

L'editoriale di Danilo Staino è tutto un panegirico volto a giustificare il titolone, che se l'economia europea è tornata ad espandersi, gran parte del merito è della politica monetaria "accomodante" adottata dalla Bce.

Vero o falso? Falso!

Non che il cosiddetto Quantitative easing non abbia avuto una grande importanza. Ciò che è vero è che l'acquisto da parte della Bce di 80 miliardi al mese di titoli (oggi ridotti a 60 e da gennaio a 30), avendo evitato il default sul debito pubblico dell'Italia, ha di fatto salvato l'Eurozona dal collasso. Ma da qui a dire che l'economia della Unione europea è in "crescita" è grazie al miracolo di Draghi, ce ne corre.

E qui dobbiamo segnalare che quando Draghi, nel luglio 2012 pronunciò la fatidica frase "Whatever it takes", la Federal Reserve americana e le principali banche centrali, avevano già avviato, e su larga scala, politiche monetarie "accomodanti". Per dire che la "svolta" monetaria della Bce, era un passo obbligato per tenere testa ai principali competitori mondiali — se i tuoi concorrenti portano il tasso d'interesse a zero essi stanno di fatto svalutando la loro moneta con ciò rendendo più competitive le loro merci rispetto alle tue.

Iniziava infatti, con quelle svalutazioni monetarie, quella che venne denominata "guerra delle valute".

Se le economie europee conoscono oggi un modesto tasso di "crescita" medio del 2% (quello italiano resta tuttavia al di sotto) è anzitutto dovuto a due fattori, il primo esogeno e il secondo endogeno.

Per quanto concerne il fattore esogeno sarà utile segnalare la complessiva "crescita" mondiale — per i Paesi Ocse si è attestata nel 2017 sul 3,5%, ma per Cina e India addirittura al 7%.

Per quanto concerne il fattore endogeno si registra una maggiore competitività delle merci targate Ue, dovuta a sua volta, prima ancora che ad un aumento della produttività, alle severe politiche di contenimento salariale.

E qui vale infatti ricordare che la Bce vincolò i suoi acquisti di titoli di debito pubblico alle cosiddette "riforme strutturali" —vedi la lettera della Bce al governo italiano del 5 agosto 2011 che spianò la strada a Monti con le sue misure di massacro sociale, che il governo Renzi porterà a compimento col Jobs act.

Dal punto di vista della "crescita", insomma, l'effetto del Quantitive easing della Bce è stato secondario, se non addirittura trascurabile. A questo occorre aggiungere che la politica monetaria espansiva della Bce ha sostanzialmente fallito quello che, in punto di dottrina (della teoria quantitativa della moneta: secondo cui i prezzi generali dei beni sono direttamente proporzionali alla quantità di moneta in circolazione) doveva essere il suo principale obbiettivo: vincere la deflazione dei prezzi.

Nella Ue l'inflazione sembra infatti attestarsi nel 2017 all' 1,5% (la Bce prevedeva

l'1,6%), mentre per il 2018, sempre secondo stime della Bce, scenderà addirittura all'1,3% (la stima era dell'1,7%). Da notare che questo lieve aumento dei prezzi non è dovuto ad una crescita dei consumi interni alla Ue ma anzitutto all'aumento di prezzo delle materie prime, in prima fila del petrolio, e dei metalli preziosi. Brutto segno, quello dell'inflazione che non riparte, significa che la "ripresina" è debole e che al primo stormir di foglie potrebbe rovesciarsi in una nuova recessione.

Il timore di una recessione in arrivo potrebbe manifestarsi in una nuova tempesta finanziaria. Già si parla infatti che nel 2018 potrebbe esplodere la "super-bolla" e se ciò accadesse è facile immaginare quali disastrose conseguenze avrebbe per l'economia mondo. Vedi gli effetti devastanti che ebbe la crisi finanziaria USA del 2007-08.

E qui veniamo agli "effetti collaterali" delle politiche di Quantitive easing, al diavolo che fa le pentole, ma non i coperchi.

Solo le tre maggiori banche centrali (Fed, Bce e Boj) hanno immesso dal 2008 una liquidità pari a 10mila miliardi di dollari. Com'è noto quest'enorme liquidità è finita in gran parte nel circuito delle bische borsistiche e della finanza speculativa. Siamo al punto che la capitalizzazione delle borse ha superato il Pil mondiale. Come ricordava Vito Lops

«I mercati azionari sono reduci da nove anni consecutivi di rialzi. Il dato spaventa un po’ gli amanti delle statistiche perché ricordano che di solito i cicli positivi durano otto anni, dopodiché i rischi di una correzione (anche importante) aumentano».

Dove "rischi di correzione" è un eufemismo per significare, appunto, l'inevitabilità dello scoppio della bolla speculativa. Anzi super-bolla. Il problema non è se ma quando questo avverrà: nei mercati finanziari l'impatto del crollo dei prezzi dei titoli è di norma direttamente proporzionale all'altezza raggiunta dalla curva dei rendimenti nella sua massima ascesa.

Torneremo presto, con uno studio specifico, sul rischio di una super-bolla finanziaria globale.

Mi sia permesso, per completare il quadro, di sottolineare che il rischio della super-bolla finanziaria è accentuato dal pessimo stato di salute del sistema bancario. Sappiamo che quello italiano, zavorrato dai crediti deteriorati o Non performing loans-Npl — che secondo lo studio di Bankitalia ammontano a 349 miliardi di euro — è minacciato dalle nuove direttive capestro emesse recentemente dalla Bce. Ma gli Npl sono poca cosa, anzi niente, rispetto alla montagna di titoli tossici in pancia alle banche mondiali, europee comprese. Come ci dice Morya Longo sul Sole 24 Ore di oggi, 28 dicembre, un recente calcolo di Bankitalia afferma nei bilanci delle banche della Ue ci sono la bellezza di 6.800 miliardi (quattro volte il Pil italiano) di titoli "illiquidi", tossici insomma.

Morya Longo segnala infine, giustamente i due pesi e le due misure adottate dalla Bce. A regole estremamente stringenti per le banche italiane gravate dai crediti deteriorati lassismo verso le banche tedesche e francesi, le quali detengono nei loro bilanci i tre quarti di tutti i titoli tossici presenti in Europa, ciò malgrado le banche di questi due Paesi abbiano solo il 50% degli attivi totali del continente.

Un'altra prova di un'Unione europea matrigna, e di una Bce asservita ai potentissimi e fortemente intrecciati fra loro conglomerati bancari tedesco e francese. E quindi, signori del Corrierone: altro che Mario Draghi "salvatore della Patria"...

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