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thesaker

Rivoluzione iraniana, l’ultimo siluro del dollaro per affondare il multipolarismo

di Alberto Ritucci

Nelle prossime settimane potrebbero essere inaugurati gli scambi di un nuovo titolo future al nuovo Shanghai International Energy Exchange.

Il future in questione si chiama Medium Sour Crude Oil. E ha la caratteristica di essere quotato e scambiato in yuan, non in dollari.

Il medium sour crude oil, al quale il future fa riferimento, viene estratto soprattutto da giacimenti che si trovano in Russia, Iran, Iraq, Venezuela, Malaysia, Nigeria.

Tra questi ci sono gli stessi governi che già in passato si erano detti orientati ad accettare in misura crescente pagamenti in euro per l’esportazione del loro petrolio. Ora la Cina propone lo yuan su future, con effetti sul dollaro analoghi, se non potenzialmente aggravati.

Se questo progetto non viene bloccato – con il controllo della politica energetica di quei Paesi tramite embarghi all’esportazione di petrolio, con controllo militare dei porti, degli stretti e degli oleodotti, con ministri dell’energia amici insediati dopo colpi di Stato, accompagnati da campagne di gestione del consenso incentrate sui temi dei diritti umani, della democrazia, della pace, della difesa dal terrorismo e della responsabilità di protezione, con disordini generali e attentati che blocchino o che rendano incerte le esportazioni di greggio – questo potrebbe essere l’inizio della fine del petrodollaro. Quindi la fine dell’economia americana, che poggia su un debito enorme, espresso in dollari.

Forse non a caso proprio negli stati interessati, a partire dall’annuncio del prossimo lancio del future, abbiamo potuto osservare il dispiegamento di tutto l’armamentario di sabotaggio solitamente in uso.

L’effetto potenzialmente dirompente del lancio dei nuovi future è amplificato dalle circostanze per cui:

a) la quotazione del greggio non è data tanto dalla domanda e dall’offerta del prodotto, quanto da quella dei titoli rappresentativi del prodotto, quindi soprattutto dallo scambio di future;

b) esiste una correlazione negativa tra prezzo del petrolio e quotazione del dollaro, per cui se il prezzo del greggio aumenta il valore del dollaro diminuisce;

c) i principali Paesi esportatori di Medium Sour Crude Oil verso la Cina hanno economie poco diversificate, fortemente dipendenti dalle esportazioni di petrolio e metano, e sono per questo interessate a un rialzo del prezzo del petrolio.

Tutto questo fa sì che con la quotazione in Cina e in yuan di future sul greggio si apre la possibilità di influenzare la quotazione dei titoli sul petrolio a Paesi interessati ad alzarne il prezzo, con l’effetto finale di una discesa del valore del dollaro. Che potrebbe diventare un crollo se la FED non potrà promettere ai capitali mondiali fluttuanti un forte rialzo dei tassi di interesse, a titolo compensativo, visti i tentativi infruttuosi già esperiti negli scorsi mesi per i rischi associati di fallimento di interi comparti produttivi e finanziari nordamericani.

Saud e Likud, com’è nella loro tradizione, contrabbandano per interesse nazionale ciò che finisce di essere il suo opposto e si allineano obbedienti al richiamo dei loro sponsor internazionali.

Le rivoluzioni e i colpi di Stato di piazza si fanno in primavera. Iniziarli d’inverno, quando a Teheran ci sono 7 gradi, dimostra tutto il timore e la fretta scomposta. Secondo i paradigmi occidentali dovrebbero funzionare lo stesso come minaccia, ma se si conoscesse un po’ la cultura delle popolazioni interessate si potrebbe facilmente prevedere che questo le renderà ancora più raccolte e determinate nella protezione degli interessi nazionali.

Sembrano gli ultimi scomposti tentativi di un assetto internazionale che sta per arrivare alla fine e che resiste disperatamente all’avvicendamento, invece di prepararsi a una transizione nel corso della quale potrebbe negoziare vantaggi, se solo accettasse un contesto multipolare.

Ducunt volentem fata, nolentem trahunt.

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Articolo di Alberto Ritucci, pubblicazione gentilmente concessa dall’autore

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