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Turchia: come si esce dalla NATO

di Federico Dezzani

I rapporti tra la Turchia e le istituzioni euro-atlantiche, in peggioramento da anni, sono ormai prossimi alla rottura: se la tentata rivoluzione colorata di Gezi Park del 2013 ha segnato l’inizio del gelo, il fallito golpe del luglio 2016 ha impresso lo slancio finale all’uscita di Ankara dall’orbita occidentale. Le manovre mediatico-finaziarie-giudiziarie per piegare Recep Erdogan si sono rivelate fallimentari, grazie al sostegno offerto dal blocco euroasiatico (Cina-Russia-Iran): la Turchia sarà dunque con grande probabilità il primo membro a lasciare la NATO, riducendo ulteriormente l’influenza atlantica nella regione e, soprattutto, fornendo un prezioso esempio a chi aspirasse a seguirla.

 

Uscire dalla NATO è possibile: il caso turco farà scuola

Nel travagliato passaggio dal sistema internazionale a guida atlantica a quello incentrato sulle potenze eurasiatiche, passaggio che sta producendo “terremoti” ovunque i due blocchi entrino in frizione (Paesi Baltici, Ucraina, Siria, Yemen, Pakistan, Birmania, Nord Corea, etc.), merita senza dubbio un approfondimento il capitolo turco, alla luce della sua rilevanza geopolitica e del significato politico-istituzionale: la Turchia infatti, non soltanto ha definitivamente abbandonato il processo di convergenza verso l’Unione Europea, ma sarà anche con alta probabilità il primo Paese a lasciare (o ad essere espulsa?) dall’Alleanza Nord Atlantica, fornendo un esempio a quei Paesi che accarezzassero (o hanno accarezzato in passato, come l’Italia di Enrico Mattei e di Aldo Moro) l’idea di svincolarsi dal giogo angloamericano.

Nonostante “i sondaggi” effettuati da Iosef Stalin nel 1946 per installare alcune basi sovietiche sul Bosforo (“sondaggi” che instillarono nella mente degli strateghi angloamericani l’idea di una nuova guerra)1, la Turchia è assegnata nel secondo dopoguerra all’orbita atlantica, cosicché possa adempiere alla sua storica funzione di “contenere” la Russia verso Sud, con l’appoggio delle potenze marittime (si ricordi la guerra di Crimea del 1853-1856): nel 1951 apre così la base di Incirlik, destinata ad ospitare i bombardieri strategici che coprono il lato meridionale dell’Unione Sovietica. Essendo la Turchia, al pari della Germania, uno dei pilastri il contenimento dell’URSS, gli angloamericani ne sostengono prima l’ingresso nella NATO (1952) e poi sponsorizzano la sua adesione al contraltare politico-economico dell’Alleanza Nord-Atlantica: la CEE/UE.

Sotto quest’ultimo aspetto, esistono ovviamente non poche difficoltà: la Turchia è un popoloso Paese sunnita che, nonostante la “rivoluzione laica” di Kemal Ataturk, ha poco in comune con le sedicenti democrazie europee. La divergenza tra Washington e la cancellerie europee su questo tema diventa evidente nel 2009, quando Barack Hussein Obama sostiene apertamente l’ingresso di Ankara nella UE, mentre Francia e Germania, decise a costruirsi un’Europa à la carte secondo i propri interessi, si oppongono esplicitamente2.

Allo scoppio delle Primavere Arabe, la Turchia riveste un ruolo decisivo della strategia di destabilizzazione del Medio Oriente, sostenendo ovunque l’avanzata dell’islam politico-rivoluzionario: troviamo la Turchia a fianco della Fratellanza Mussulmana in Tunisia, Libia, Egitto, Siria, etc. Ciò che Ankara tarda a capire è che, nel più ampio stravolgimento del Medio Oriente, anche la Turchia è una vittima designata del processo di balcanizzazione: il Kurdistan, filo-atlantico e filo-israeliano, dovrebbe nascere infatti a ridosso dei suoi confini, inglobando le regioni turche a maggioranza curda. La rivoluzione colorata di Gezi Park (estate del 2013), primo tentativo di rovesciare Recep Erdogan e destabilizzare la Turchia, passa così senza alcun cambiamento nella condotta internazionale di Ankara. Non solo, Recep Erdogan si lascia facilmente abbindolare dagli angloamericani che lo inducono, nell’ottobre del 2015, ad abbattere il Su-24 russo operante in Siria, salvo poi negargli qualsiasi appoggio diplomatico-militare: la Turchia, caduta nella trappola, piomba così in una condizione di totale isolamento, circondata ovunque da forze ostili (russi, siriani, curdi, iraniani). È la fine di Recep Erdogan ed il prodromo di una più ampia destabilizzazione del Medio Oriente?

Sono interrogativi che, questa volta, Ankara si pone: lentamente, passo dopo passo, i turchi afferrano che il processo di balcanizzazione del Levante riguarda anche loro, insinuando nella loro testa la convinzione che è opportuno cambiare schieramento. Inizia, così, rapido ed inesorabile, lo scivolamento della Turchia verso le potenze continentali. Dal punto geopolitico, l’ingresso di Ankara nel blocco euro-asiatico (Russia, Cina, Iran) è un terremoto di vaste proporzioni: le potenze marittime perdono la storica base da cui attaccare la Russia sul fianco meridionale e, ancora più importante, perdono la “testa di ponte” con cui allargare la propria influenza nell’Asia Centrale, contando sulla vicinanza della Turchia ai Paesi turcofoni circostanti. Ha ancora un senso portare il metano dell’Azerbaijan in Europa, ora che i metanodotti attraversano una Turchia ostile? È ancora possibile esportare il terrorismo sunnita, tanto caro all’MI6 ed alla CIA, in Asia centrale, servendosi di Ankara?

La reazione atlantica al voltafaccia di Ankara non si fa attendere. Nell’estate del 2016 è orchestrato, ricorrendo ai servigi del santone-predicatore Fethullah Gülen, residente negli USA, il colpo di Stato mirante a precipitare la Turchia nella guerra civile: la sua rapida ed efficiente repressione (240 morti, 50.000 arrestati e 150.000 persone licenziate, tra militari, magistrati, giornalisti e docenti universitari) deteriora ulteriormente i rapporti turco-americani (Erdogan pretende invano che Gülen sia estradato, minacciando di bloccare la base di Incirlik), rafforzando parallelamente le sinergie tra Ankara e Mosca: la rabbia nelle più alte sfere angloamericane è tale che nel dicembre 2016 “esplode” attraverso il brutale omicidio dell’ambasciatore russo Andrej Karlov.

Il 2017, nonostante l’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump, che sulla carta avrebbe dovuto ricucire con Recep Erdogan, vede un crescendo di tensione tra la Turchia ed il blocco atlantico: l’arresto di due impiegati del corpo diplomatico americano, accusati di aver partecipato al tentato golpe, scatena nell’autunno la “guerra dei visti3”, con il divieto incrociato al rilascio dei visti d’ingresso. Il braccio di ferro diplomatico è accompagnato dalla solita guerra ibrida di cui le potenze atlantiche sono specialiste: gogna mediatica, accuse di violazione dei diritti umani avanzate dalle solite ong (nel luglio del 2017, la direttrice di Amnesty International è arrestata per terrorismo4, testimoniando per l’ennesima volta i nessi tra l’organizzazione umanitaria inglese ed i servizi segreti atlantici, recentemente emersi anche grazie al caso Regeni), assalti speculativi alla lira turca (che tocca nuovi minimi rispetto al dollaro. Anche la Germania di Angela Merkel, capace di esercitare un peso notevole su Ankara in virtù della massiccia comunità turca residente e dei voluminosi scambi commerciali, è schierata contro Recep Erdogan: le truppe tedesche di stanza a Incirlik, impiegate “nella lotta all’ISIS”, sono ricollocate in Giordania5, all’apice dello scontro tra i due Paesi.

Tutto inutile: Erdogan vince il referendum costituzionale che sancisce il passaggio dal sistema parlamentare a quello presidenziale, l’economia turca è al terza del G20 per tasso di crescita6 (aumentando così la domanda di energia, presto soddisfatta dal metanodotto Turkish Stream), l’alleanza con la Russia e l’Iran è sigillata dal vertice di Sochi del novembre 2017, il Ministero della Difesa turco sigla l’incredibile accordo per la fornitura dei sistemi di antiaerea russi S-400, un vero e proprio scacco alla NATO, dal punto di vista politico politico e operativo (la sicurezza dei nuovi caccia F-35 ne sarebbe gravemente compromessa7). Impotenti di fronte all’inarrestabile uscita di Ankara dalla sfera euro-atlantica, non rimane agli americani che sferrare l’ennesimo, inutile, colpo mediatico-giudiziario: l’ex vice direttore generale della banca statale turca Halkbank, Mehmet Atilla, è arrestato e condannato negli USA con l’accusa di aver aggirato, con il placet di Erdogan, le sanzioni economiche all’Iran. Faccenda che è liquidata dal presidente turco come “l’ennesimo complotto” ordito da Washington8.

Da Occidente si levano così sempre più numerosi voci per “espellere” la Turchia dalla NATO (“Time To Kick Turkey Out Of NATO9 scriveva lo scorso novembre Alon Ben-Meir, influente esperto americano per gli affari mediorientali), ma, in realtà, è la Turchia stessa che sta deliberatamente uscendo dall’Alleanza Nord-Atlantica, proprio mentre si cerca di trascinare al suo interno uno Stato semi-fallito come l’Ucraina. Il caso turco è tanto più prezioso in quanto sarebbe il primo (i trattati della NATO neppure contemplano questa eventualità) e svelerebbe agli altri membri la procedura, ben poco ortodossa, da seguire per chi voglia liberarsi dal giogo atlantico: concentrazione verticale del potere, appoggio economico-militare-diplomatico da parte di Russia e Cina, epurazione di magistratura, esercito e media, giro di vite sulle ong straniere, adozione di misure contro-insurrezionali per soffocare sul nascere putsch di matrice atlantica.

In passato, alcuni illustri italiani (tragicamente scomparsi) accarezzarono l’idea di traghettare l’Italia fuori dalla NATO. Ora, grazie alla Turchia, sappiamo come fare.


Note
1 1946, Victor Sebestyen, RCS, 2015, pag. 35.
2 http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/esteri/vertice-praga/usa-ue/usa-ue.html
3 https://www.reuters.com/article/us-usa-turkey-security/u-s-still-seeking-explanation-for-arrest-of-staff-in-turkey-ambassador-idUSKBN1CG179
4 https://www.amnesty.it/arresto-della-direttrice-amnesty-turchia-assurda-indagine-terrorismo/
5 https://it.sputniknews.com/mondo/201706184651297-tornado-incirlik-trasferimento-giordania/
6 https://www.bloomberg.com/news/articles/2017-09-11/turkey-gdp-grows-slower-than-expected-on-lower-public-spending
7 https://www.rt.com/news/410197-turkey-s400-nato-f35/
8 http://www.lastampa.it/2018/01/05/esteri/la-rabbia-di-erdogan-contro-gli-usa-organizzano-complotti-qlLDCfhyrs6NabEKvLTHsL/pagina.html
9 https://www.huffingtonpost.com/entry/time-to-kick-turkey-out-of-nato_us_5a0371a0e4b0204d0c1713db

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