Print Friendly, PDF & Email

linterferenza

Che si fa con l’Unione Europea?

Fabrizio Marchi

Trovo molto interessante, come sempre del resto, e anche complessivamente condivisibile, questa analisi di Pierluigi Fagan.

Una posizione che, peraltro, nella sua proposta conclusiva (la costruzione di un polo o di una confederazione di paesi latino-mediterranei in alternativa all’UE o comunque in grado di condizionarla) mi pare in parte simile (ma eventualmente saranno loro stessi a smentirlo, confermarlo o confutarlo) a quella assunta dalla piattaforma di Eurostop.

Tuttavia pongo alcune personali considerazioni critiche.

Fagan sostiene che, oltre ad essere impraticabile per tante ragioni prevalentemente di ordine economico, il ritorno alla “sovranità nazionale” (se anche si addivenisse politicamente a quella decisione – spiega – un paese come l’Italia sarebbe comunque alla mercè delle altre economie e dei grandi agglomerati o alleanze di vari stati molto più potenti economicamente ecc.), sarebbe anche antistorico.

Quest’ultima considerazione non mi pare corretta. Mi spiego. Non mi sembra che i grandi stati nazionali di sempre siano venuti meno alla loro “vocazione” nazionale” e nazionalista. Penso alla Francia, alla Germania (anche se questa non può averla dal punto di vista militare e quindi si limita all’espansionismo e alla egemonia economica) ma anche alla Russia (per non parlare degli USA e della GB…).

Poi se invece il discorso vale per l’Italia per ragioni relative alla debolezza strutturale di questo paese, allora è tutta un’altra questione che non riguarda però l’antistoricità degli stati nazionali che invece mi sembrano vivi e vegeti nonostante la globalizzazione; al contrario, mi sembrano tuttora provvisti di una vocazione imperialista e neocolonialista (vedasi appunto la Francia) del tutto inalterata rispetto al passato…

Anche per ciò che riguarda il risvolto utopistico (dato dall’irrealizzabilità, secondo Fagan) di una possibile uscita dall’UE e dall’euro da parte di un solo stato (l’Italia), e l’impossibilità di sopravvivere da parte di un solo “piccolo” paese in un mare di giganti – come spiega sempre Fagan – ho dei punti di criticità.

Il primo. E’ ovvio che l’ipotetica (e assai difficilmente realizzabile, su questo sono senz’altro d’accordo) uscita dell’Italia dalla UE presuppone intanto un cambio di guida politica (cosa che non vedo purtroppo all’orizzonte), ma anche un cambiamento di alleanze e di relazioni internazionali. E’ evidente che una eventuale uscita dall’UE presuppone l’allacciamento di relazioni molto più strette con paesi come la Cina, la Russia, l’India, il Brasile, e tanti altri (Iran, Venezuela, perché no, non hanno mica la rogna, non più di quanta non ne abbiano ad esempio l’Arabia Saudita o Israele…) In parole ancora più povere è ovvio che una uscita dall’UE è anche una uscita geopolitica oltre che economica. Questo è scontato. Io non sono un economista e non sono in grado di dire se l’uscita dall’UE equivarrebbe al disastro economico dell’Italia (o di qualsiasi altro paese). Però so anche che questo è quello che deve necessariamente essere detto da chi non ha interesse a che l’Italia (o qualsiasi altro stato) esca del tradizionale sistema di alleanze economiche, geopolitiche e militari di cui fa parte. Lo vedo anche abbastanza scontato. E’ un pò come il vecchio detto “Fuori della Chiesa non c’è salvezza”; sostituiamo l’UE alla Chiesa e il discorso non cambia. Però, aggiungo io, come ormai sappiamo che fuori dalla Chiesa si può tranquillamente sopravvivere e non è la fine del mondo, forse si potrebbe anche uscire dalla UE senza che necessariamente finisca il mondo…Che poi sia difficilissimo farlo per tante ragioni di varia natura, sono completamente d’accordo, ma anche questo è un altro discorso.

Il concetto della impossibilità della trasformazione dello stato delle cose coniugato a quello di un certo pragmatismo ideologico (finalizzato al mantenimento dello status quo) è sempre stato portato avanti dalle classi e dagli stati dominanti, né potrebbe essere altrimenti. Io penso però che si debba andare oltre quel concetto e tentare, per quanto è possibile, di gettare il sasso oltre la siepe.

Utopistico? Può darsi, però anche la soluzione politica proposta da Fagan e in linea di massima da me condivisa, non lo è certo di meno.

E questo perchè, pur condividendo l’orizzonte o la prospettiva proposta – cioè, appunto, una confederazione dei paesi latino-mediterranei – questa è forse di ancor più difficile realizzazione (e quindi più utopistica…) della fuoriuscita da parte di un singolo stato. Vediamo di capirne le ragioni.

La Grecia è ridotta ormai ad un ectoplasma, e a mio parere proprio la debacle politica e personale di Tsipras, la non volontà, l’incapacità e la debolezza politica e personale nonché l’impossibilità strutturale sua e del suo partito di andare fino in fondo, costi quel che costi, hanno portato al disastro. Scrissi un articolo nel merito

Posso capire tutte le paure di questo mondo ma la Politica (uso la maiuscola non casualmente) non è un “pranzo di gala”, proprio come le rivoluzioni, e arriva un certo momento in cui un vero leader e un vero partito devono avere il coraggio di scommettere sulle proprie forze, di andare fino in fondo, costi quel che costi, specie se si gode di un ampio sostegno popolare, come in effetti era in quel dato momento in Grecia, con la consapevolezza – naturalmente – che si può anche essere sconfitti, con tutte le conseguenze del caso. E un gruppo dirigente autorevole e degno di questo nome deve avere la forza di assumersi questo onere, altrimenti non è tale. E questo non è avventurismo, bensì è – appunto –  ciò che fa la differenza tra un gruppo dirigente che si carica sulle spalle la responsabilità politica e storica di giocarsi la partita fino in fondo nel momento cruciale, e una congrega di politicanti che puntano solo a rimanere a galla e di mantenere il loro post(icino) al sole, peraltro sempre più pallido.  Ma questa è ormai una storia vecchia. La Grecia, da che poteva costituire un’avanguardia, un esempio e anche una guida, ormai non potrebbe che fungere da fanalino di coda o stare a rimorchio di un eventuale ipotetico processo di costruzione di una “Europa mediterranea” (ammesso che sia in grado, a questo punto, di svolgere anche semplicemente questa funzione…), e questo lo dobbiamo proprio alla debolezza di Tsipras e del gruppo dirigente di Syriza che hanno alzato bandiera bianca.

Ma l’impresa non è certo meno facile per ciò che riguarda la Spagna o la Francia.  La prima è alle prese con un tentativo, molto contraddittorio a dir poco, di secessione, che oggi mi pare sostanzialmente impantanato. Le destre e le forze conservatrici – presenti in modo massiccio anche nel movimento indipendentista catalano, hanno prevalso o stanno prevalendo. Nel complesso questa situazione non mi pare favorisca di certo la tendenza alla costruzione di un polo latino-mediterraneo, direi anzi tutt’altro (la qual cosa non comporta che non si debba lavorare in quella direzione…).

Ancora meno realistica e praticabile mi sembra l’ipotesi di un possibile coinvolgimento della Francia che in questa fase storica sta ribadendo la sua vocazione storica e quindi riproponendosi nel suo ruolo di grande potenza imperialista e neocolonialista al quale non credo abbia nessuna intenzione di rinunciare per ragioni di ordine sia geopolitico che economico (una economia in larga parte legata proprio all’industria militare e quindi ad una politica necessariamente imperialistica). Per non parlare del fatto che la borghesia francese ha fatto una scelta precisa eleggendo Macron che va in tutt’altra direzione rispetto a quella auspicata da Fagan (e in fondo auspicabile anche dal sottoscritto).

Che fare, allora? Si obietterà. Per quanto mi riguarda continuare a lavorare e a spingere per liberarsi dalle maglie dell’UE. Come, quando, con chi e con quali modalità questo possa realizzarsi, autonomamente o all’interno di un processo più ampio che veda coinvolti più stati e più popoli, non è dato saperlo. Sappiamo però che è giusto e quindi non dobbiamo temere di essere tacciati di essere degli utopisti, degli idealisti o degli avventuristi. Resto convinto che bisogna sempre fare la cosa giusta, come recita il titolo di un famoso e bel film di un noto regista afroamericano.

Add comment

Submit