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Fra realtà e narrazione

di Christian Marazzi

Di sicuro, in economia non sempre il semplice è il sigillo del vero. Lo dimostra la discussione in corso attorno al futuro del costo del denaro, cioè dei tassi di interesse, negli Stati Uniti come nel resto del mondo. Di primo acchito, tutto sembra convergere nella stessa direzione, e cioè che nei prossimi mesi assisteremo ad un progressivo aumento dei tassi di interesse per contrastare la ripresa inflazionistica. Questa previsione è basata su un ragionamento semplice e lineare, ed è ormai diventata una vera e propria narrazione. Vediamo quale è la sua logica interna.

Dall’anno scorso, dopo dieci anni di crisi profonda, le economie, a partire da quella statunitense, sono in ripresa; i tassi di disoccupazione sono ormai prossimi ai minimi storici; le Banche centrali, a partire dalla Federal Reserve, puntano all’aumento graduale dei tassi di interesse a breve termine e alla riduzione drastica dell’acquisto di titoli obbligazionari (si passa cioè dal quantitative easing al quantitative tightenening); la riforma fiscale di Donald Trump, decisamente a favore degli alti redditi e delle imprese, è destinata a generare un considerevole aumento del debito pubblico americano, il che farà aumentare i tassi di interesse sui Buoni del Tesoro a lungo termine per attirare capitali dal resto del mondo (sia detto per inciso, è sottraendo risparmio al resto del mondo che gli Stati Uniti finanziano i loro deficit pubblici); l’afflusso di capitali verso gli Stati Uniti, infine, non farà che rafforzare la politica monetaria restrittiva nel timore di un aumento ulteriore dell’inflazione.

Questa la narrazione che, se vera, potrebbe avere conseguenze devastanti per l’economia globale. Si pensi, ad esempio, all’enorme indebitamento pubblico e privato dei paesi emergenti che per oltre l’80% è in dollari. Una rivalutazione del dollaro come effetto dell’aumento dei tassi d’interesse statunitensi, non farebbe che accrescere ulteriormente il debito aggregato di questi paesi. Si pensi anche a tutti coloro che in questi anni di bassi tassi d’interesse si sono indebitati per acquistare una casa, e che ora si trovano di fronte a un aumento dei tassi ipotecari.

È però lecito chiedersi se questa narrazione sia vera oppure no. C’è un punto cieco in questo modo di ragionare che ha a che fare con il rapporto tra costo del lavoro e inflazione. Il lavoro in questi anni è stato talmente bistrattato da non rappresentare più un fattore di rischio per l’inflazione. Bassi salari, precarietà, aumento del lavoro gratuito impediscono alla crescita occupazionale (e allo stesso aumento del denaro in circolazione) di generare inflazione. L’aumento dei tassi di interesse per prevenire l’inflazione arrischia così di bloccare la ripresa economica prima ancora che essa riesca a generare un po’ di benessere. Visto che in economia le narrazioni funzionano, eccome! a quella dell’inflazione sarebbe meglio contrapporre la narrazione del lavoro.

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