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Fascismo mediatico e antifascismo elettorale

14 febbraio al Cinema Palazzo, San Lorenzo

di Militant

Nei giorni che ci hanno accompagnato da Genova a Macerata l’Italia sembra essersi accorta dei suoi viscerali rigurgiti neofascisti, o quantomeno sembra aver avuto la prova concreta che la continua e martellante propaganda razzista (che ha trovato asilo bipartisan sui media nostrani) può effettivamente produrre degenerazioni materiali nella realtà quotidiana. Domani pomeriggio al Nuovo Cinema Palazzo di San Lorenzo, in compagnia di relatori che a diverso titolo lavorano nel mondo del giornalismo e dell’informazione, proveremo a fare una riflessione a voce alta su cosa significa nei fatti sdoganare mediaticamente il neofascismo, ma soprattutto quale funzione politica sottintende questa operazione. Abbiamo avuto modo di ricordare già che a nostro avviso al sistema mediatico e politico attuale non interessa il neofascismo in quanto tale, come esperimento politico. Non è questa la congiuntura storica in cui il governo delle relazioni sociali in Italia passa attraverso lo strumento del fascismo. In un recente approfondimento avevamo precisato come, nonostante le diseguaglianze vadano mano mano ad aumentare, siamo in un periodo di sostanziale pace sociale e la legittimazione del neofascismo, dunque, è più funzionale alla delegittimazione di un certo tipo di antifascismo, quello che non riconosce le fondamenta liberali/liberiste della rappresentanza politica, tanto nazionale quanto europea.

 È proprio a partire da questa premessa e in continuità con i ragionamenti che sono stati accennati collettivamente, come movimenti, dopo i fatti noti delle ultime settimane, che l’appuntamento di domani può diventare centrale per fissare alcuni punti necessari per capire in che direzione iniziare a porre un argine (se il tempo ancora lo permette). Dalle colonne di questo sito e dai ragionamenti che portiamo avanti come parte integrante di un movimento (residuale) che fa dell’antifascismo un architrave fondante della propria azione politica, crediamo che gli accenti principali vadano posti su tre aspetti.

In primo luogo, sulla responsabilità connivente della politica a fronte della quale la legittimazione di cui godono tutte le sigle dell’estrema destra è diventata un leit motiv anche nei giorni successivi alla tentata strage di Macerata; sintomo, dunque, che è proprio il dibattito politico italiano a nutrire i carnefici nei giorni in cui vengono messi, in maniera mascherata e sommariamente bonaria, sotto accusa. Lo sdoganamento culturale che ha inserito il neofascismo all’interno della normale “dialettica democratica”, del fisiologico confronto tra opzioni politiche differenti, ha presentato un volto ancor più sfacciato, evidenziando uno sviluppo veloce e fortificato inversamente proporzionale alla gravità degli ultimi accadimenti. Responsabilità della politica (tutta, compresi alcuni esempi di esponenti che si richiamano apertamente all’antifascismo come discrimine dell’agire politico) che all’incompatibilità costituzionale del neofascismo sembra preferire la critica politica, secondo la quale alle idee fasciste, pure criticabili, bisogna concedere pari dignità mediatica.

Un secondo aspetto su cui vorremmo ragionare pubblicamente è poi legato strettamente alla rappresentazione mediatica dell’universo-mondo, descritto dalla vulgata xenofoba e neofascista. Microfono in mano ai nuovi patrioti, inchieste senza approfondimenti, ampio spazio e risalto ad ogni strillo che lanci l’allarme della “sostituzione etnica” e dell’invasione, file di giornalisti fuori le porte di chi ripete meccanicamente “prima gli italiani”: il contesto culturale entro cui i fatti di Genova e Macerata si collocano (e che ha già permesso negli ultimi anni centinaia di aggressioni) e entro cui sono stati parzialmente giustificati è corresponsabile tanto quanto lo è l’aggressione, e questo tipo di concorso di colpa è una specifica che riguarda direttamente la stampa nostrana, cartacea e della tv, colpevole di asservirsi in maniera del tutto passiva ad un lessico fatto di incitazione all’odio razziale, lasciando proliferare le condizioni oggettive in un “brodo primordiale” da cui un esercito di Traini è pronto a uscire – il tutto per ragioni di audience e share e piccole faide tra le nuove tribunette politiche.

Ultimo ma non meno importante è il ragionamento da fare alla luce del corteo di Macerata e delle mobilitazioni antifasciste che hanno attraversato l’Italia negli ultimi giorni. Un tema che in un certo senso è una naturale evoluzione delle domande che ci poniamo su come arginare la deriva neofascista e lo sdoganamento di cui questa ha giovato. Sul dopo Macerata la narrazione mediatica giocherà un ruolo centrale nella misura in cui il sentimento antifascista (nelle sue vesti più “democratiche” e di facciata) sarà oggetto di campagna elettorale per il PD (che si è mosso a scoppio ritardato dopo Macerata) e per LeU e gli accoliti della nuova sinistra compatibile. Ma soprattutto, la spinta antifascista rischia di essere confinata nella sola veste di antirazzismo, trincerato dietro un sentimento buonista che esclude però le ragioni di una battaglia in cui la determinante politica è centrale, decisiva. Anche per queste ragioni, dunque, ragionare su come proseguire una battaglia culturale contro il neofascismo significa ragionare sui termini in cui un’indignazione (parzialmente) generale che ha diviso il paese deve evolversi e che forme di racconto di sé deve assumere, fuggendo le strette maglie del compatibilità democratica targata PD.

Vi lasciamo con le righe introduttive del progetto Achtung Banditen sull’evento e vi diamo appuntamento a domani dalle ore 18 al Nuovo Cinema Palazzo.

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I cittadini del nostro paese, negli ultimi mesi, hanno scoperto dalla propria poltrona, o sulla propria bacheca Facebook, che si aggirano una serie di nuovi improbabili opinionisti, cui giornali e televisioni danno ampio spazio. Si tratta di personaggi appartenenti in modo organico all’estrema destra italiana, quella che spaccia per mutuo soccorso un vero e proprio voto di scambio, quella che si compiace delle ronde anti-immigrati, quella che in TV indossa la cravatta e l’abito dei bravi ragazzi, mentre lontano dai riflettori invia le nuove leve militanti per “bangla tour”, a punire con spedizioni squadriste ogni elemento di diversità. In una nazione imbottita di talk show e tribunette politiche, in un clima di perenne campagna elettorale, è forse giunto il momento di farsi alcune domande.

In questo contesto, qual è, e quale deve essere il ruolo del giornalismo? A che tipo di visione politica è funzionale questo stupore a intermittenza? Qual è il limite tra il parlare di un fenomeno politico xenofobo e violento e il legittimarlo al punto di amplificarne il messaggio? Quale il confine tra l’inchiesta e lo spot elettorale? Dove comincia e dove deve finire la cosiddetta legittimazione democratica? Una premessa di fondo al ragionamento però possiamo farla, smarcandoci da un’ingenuità che ormai non possiamo più permetterci di giustificare. Al sistema mediatico e politico attuale non interessa il neofascismo in quanto tale. Non è questa la congiuntura storica in cui il governo delle relazioni sociali in Italia passa attraverso lo strumento del fascismo: nonostante le diseguaglianze, siamo in un periodo di sostanziale pace sociale, nella quasi totale assenza di movimenti di lotta. La legittimazione del neofascismo, quindi, serve alla delegittimazione di un certo tipo di antifascismo. La posta in gioco è l’impermeabilità della democrazia liberale, la chiusura dello spazio politico per chi non riconosce le fondamenta liberali/liberiste della rappresentanza politica, tanto nazionale quanto europea. Il neofascismo continua ad essere funzionale a questa visione, ma viene utilizzato in forma diversa dal passato: se nello scorso secolo era stato prima il braccio armato dello Stato contro le istanze delle classi popolari e poi la forza di Stato atta a reprimere le avanguardie politiche comuniste, nell’ultimo decennio è stato abilmente utilizzato nel delicato processo di legittimazione della democrazia liberale quale unico ambito politico ammesso.

Sappiamo da tempo quanto abbia influito sulla crescita di questa miscellanea razzista l’assenza di una Sinistra degna di questo nome, e come anzi le nuove formazioni politiche di centro-centro-sinistra – PD in testa – siano state l’architrave fondante di un sistema che nel corso dei decenni ha tollerato, sminuito e legittimato la nuova galassia neofascista, salvo poi servirsene come spauracchio, come allarme sociale, come bomba ad orologeria da innescare all’occorrenza per rispolverare il volto pulito e antifascista proprio di chi, di questa legittimazione, è stato artefice (la sfilata targata PD a Como ne è esempio lampante).

Eppure, negli ultimi mesi, abbiamo visto filmati, confronti televisivi, sfilate e comizi elettorali con partecipazioni a dir poco ingombranti, confezionati in nome di quel contraddittorio televisivo, di quel principio del confronto libero e democratico che è divenuto un “must” della televisione italiana. Dai confronti nella sede di Casapound a cui hanno partecipato Enrico Mentana e Corrado Formigli, agli inviti di esponenti neofascisti nei talk show in prima serata, chiamati a disquisire sull’universo-mondo, legittimati a farlo non dall’opinione pubblica ma da chi l’opinione pubblica la crea, la plasma. Una malattia virale a cui neanche esponenti giornalistici tanto cari a certa sinistra, da Lucia Annunziata a Michele Santoro, sembrano essere immuni. E col passare dei giorni il senso di questa manovra mediatica ha acquisito una fisionomia precisa.

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A partire da queste e altre domande, e dalle considerazioni qui brevemente esposte, proveremo a ragionare il prossimo 14 febbraio, chiamando a dire la propria chi ha avuto il merito di essersi occupato di questi temi con la lucidità e la correttezza di chi fa veramente inchiesta, in un confronto pubblico, a cui invitiamo tutte le realtà e i singoli di questa città, e non solo, in un primo tentativo di costruire un ragionamento condiviso su questi temi, secondo noi oggi più che mai necessario. A fine dibattito vi invitiamo a rimanere in nostra compagnia per un’apericena a sottoscrizione libera per finanziare le spese del prossimo Achtung Banditen (a breve date e programma!) che a sua volta si impegnerà – come ogni anno – nella raccolta fondi per le spese degli e delle antifascisti/e.

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