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orizzonte48

L'affare Facebook-Cambridge Analytica

Fallimento (temporaneo) del sondaggismo "à la Le Bon"

di Quarantotto

Un momento di conversazione con un individuo qualsiasi
basta per conoscere a fondo le sue letture, le sue
occupazioni e l'ambiente in cui vive.
Gustave Le bon, L'uomo e la società, v. II

1. La storia di Facebook, Cambridge Analytica, dati sensibili, e voto manipolato si può riassumere così:

a) si decide di fare la "rivoluzione liberale" e, quindi, di usare le "forze materiali sterminate" a disposizione dell'oligarchia capitalistica, a base anglosassone, per rendere la comunicazione pubblicitaria ed il suo linguaggio pop - che aveva evoluto il sistema di mercato verso il consumismo di massa-, un metodo permanente di condizionamento cultural-accademico-mediatico.

Tale metodo era stato ritenuto il più congeniale al fine di rendere accettabile la restaurazione dell'assetto economico-sociale, e quindi istituzionale, del capitalismo anteriore alla crisi del '29.

Si trattava in sostanza di una grandiosa operazione di riconversione cosmetica della psicologia di massa, mirata a rendere accettabile l'impoverimento e la perdita di rilevanza nei processi politico-istituzionali, che sarebbe stata altrimenti percepita come perdita della democrazia (pluriclasse);

b) il successo di questa operazione aveva instaurato una proiezione identificativa di massa degli oppressi (classi economicamente subordinate) negli interessi degli oppressori ("i mercati", ovvero una timocrazia sempre più ristretta che guida "meritocraticamente" l'intero processo in senso autoconservativo delle proprie rendite), estendendo la capacità persuasiva degli slogan tecnocratici-pop a una riconversione in senso individualista "metodologico" di ogni propensione cognitiva e volitiva degli "individui" (cittadini-elettori); cioè creando una pervasiva "ideologia" unica (nel senso di totalitaria) antisolidale, narcisistica e competitiva assurta a filosofia esistenziale diffusa della masse "riconvertite";

c) la "rivoluzione digitale" e il sistema della rete Internet hanno creato, poi, - su un terreno già reso fertile dal medium televisivo e dal suo codice pop già evolutosi in senso esasperato-, un'accelerazione del condizionamento culturale e mediatico che ha fatto però emergere due criticità, cioè dei costi imprevisti (ma in larga parte previbili) di una strategia politica altrimenti di straordinario successo:

- c1: la creazione di un disagio sociale ed economico altrettanto di massa, non chiaramente attribuibile da parte degli individui de-solidarizzati, perché ormai cognitivamente incapaci di correggere l'inversione dei rapporti causa-effetto (insita negli slogan tecno-pop di cui erano stati nutriti).

A fronte della crescente distruzione di benessere, e di speranze nel futuro, che il sistema restaurato doveva inevitabilmente, cioè programmaticamente, produrre esisteva un "livello di intolleranza", un punto di "crisi di rigetto", stimati erroneamente: questo disagio era stato messo in conto, ma ci si prefiggeva di neutralizzarne le conseguenze politiche, e l'autoritarismo (tecno-pop) che avrebbe progressivamente instaurato, attraverso la mera intensificazione del sistema di condizionamento;

- c2: un sottoprodotto psicologico-culturale anch'esso di massa e altrettanto inatteso a mal calcolato: la sindrome Dunning-Kruger, cioè la convinzione degli individui cognitivamente condizionati in modo così profondo e prolungato, di essere abilitati ad avere "competenze", convinzioni e rivendicazioni razionalmente corrette e, addirittura, "scientificamente" fondate, precludendosi ogni ascolto e ogni dialettica con qualunque nozione, strumento cognitivo, approfondimento critico, che non fosse pre-compreso nel quadro narcisistico-individualista che creava l'illusione di ciascuno di essere "speciale", senza più avvertire il conformismo seriale di questo atteggiamento totalitario indotto.

d) La conseguenza di questi due elementi "imprevisti" è stata la perdita di consenso all'interno di un sistema intrinsecamente contraddittorio che affermava spudoratamente la "doppia verità" di perseguire la "libertà" per tutti, restringendola progressivamente e molto concretamente, almeno nella sfera delle comunità sociali, in modo drastico. Vale a dire, fino a giungere al punto di prospettare un classismo neo-medievale da riesplicitare al momento opportuno.

e) Tale perdita di consenso è divenuta un problema sempre più incontrollabile, all'interno di una "rivoluzione liberale" che, nella sua versione tecno-pop cosmetica, rifugge dal rischio insito nel c.d. "effetto pretoriani"; cioè nel doversi rivolgere a livello globale, e quindi istituzionalizzato in via generale, all'interno della predicata globalizzazione (free-trade), all'autoritarismo poliziesco, per via della minaccia instrinseca nella creazione di un apparato di repressione violenta che tende ad autolegittimarsi ad una crescente spartizione di potere con i timocrati.

f) Nel tentativo di correggere questo crescente problema, i "controllori" hanno deciso di tentare di perfezionare il controllo mediatico-culturale, estendendolo al di là dei suoi tradizionali strumenti, - il sondaggio permanente a temi pre-costituiti e a soluzioni preventivamente indirizzate -, inseguendo le opinioni e le tendenze proliferate da questa massa individualista, ma affetta serialmente dalla sindrome Dunning-Kruger.

Da qui, l'esigenza crescente di classificare, creare profili, rendere prevedibile, la direzione del neo-pensiero di massa, in modo da poter fornire preventivamente i nuovi slogan che potessero opportunamente stabilizzare, pur a fronte del superamento del "livello di intolleranza", il consenso.

g) Questa e null'altro, l'evoluzione che ha portato alla "crisi Facebook" e alla scontata utilizzazione delle propensioni dei consumatori di "politica-tecno-pop" nello stesso modo in cui vengono sì utilizzate le informazioni disponibili per il mercato dei beni di consumo di massa, ma essendo costretti ad adattarlo alla enorme accelerazione che il medium Internet ha dato allo scontento, all'insoddisfazione verso il vecchio sistema mediatico. Tutto questo prendendo atto (ma, come vedremo, in modo arrogante e sottostimato) del fatto che, il disagio oggettivo creato dall'impoverimento programmato dalla restaurazione, si doveva innestare su individui che avevano modo di esprimersi direttamente "al pubblico" e di esercitare, indidualisticamente e narcisisticamente, la propria comunicazione in modalità Dunning-Kruger; e quindi, in qualche modo, assurta a veicolo di (illusoria) neo-rilevanza politica.

Una forma di mercato che ricalca, nel campo del messaggio politico, quello della distribuzione on-line, che manda progressivamente in crisi i sistemi non telematici e territoriali di distribuzione e vendita in precedenza utilizzati.

 

2. Quindi, la reazione attuale alle presunte distorsioni del voto (come se questo non fosse già quella gramsciana "numerazione", preorientata in forma strettamente idraulica che è la caratteristica essenziale nelle pseudo-democrazie "liberali") è solo il violento contrattacco di coloro che avevano predisposto e guidato il sistema e che pensavano di aver acquisito il privilegio strutturale ad essere titolari dei centri istituzionali di potere che ne garantivano la prosecuzione e la crescente istituzionalizzazione.

Insomma, si tenta una manovra di "diversione", del tutto contraddittoria, perché imperniata sulla pretestuosa violazione di una privacy che risulta tranquillamente violata in altre circostanze - come tutti ben sanno quando ricevono diluvi di mail-spam e le pubblicità personalizzate mentre navigano-, nonché sulla irrealistica denuncia di una presunta distorsione del consenso elettorale in base a messaggi manipolatori; i quali, però, non possono che essere stati, inevitabilmente, nei loro contenuti, una diretta conseguenza della manipolazione pluridecennale già in atto, così come attuata dalla pianificazione dei "centri di irradiazione" della "rivoluzione liberale".

 

3. In sostanza, denunciando come illegittima manipolazione l'estensione di una metodologia generale, - il sondaggismo permanente di derivazione pubblicitaria-, utilizzata (mutatis mutandis) in tutti i media tradizionali, si evidenzia solo la propria incapacità di altrettanta efficacia nell'utilizzare il nuovo medium. Cioè si accusa il colpo e si confessa il proprio fallimento; senza però mostrare di averne compreso le cause.

Ed infatti, il problema non risiede nelle caratteristiche del medium - il web, i social -, ma negli effetti andati fuori controllo del processo totalitario tecno-pop: la strumentale diffusione di massa della sindrome Dunning-Kruger, - risultata finora molto utile, quando filtrata dai format televisivi-, e, comunque, il superamento del "limite di tolleranza" in termini di distruzione del benessere e delle aspettative della middle class.

Certo, la orizzontalità comunicativa dei social, il loro costituire anche uno "sfogatoio" di decompressione psicologica collettiva, ha impedito il prevalere (dato incautamente come scontato) della profusione verticale della espertologia orwelliana, propria dei media più tradizionale e "passivi".

Ma, ed è qui una delle più evidenti contraddizioni, sul piano dell'accelerazione del condizionamento commerciale l'orizzontalità, la falsa autonomia di giudizio, era finora risultata più che bene accetta.

 

4. Probabilmente, si pensava che l'espertologia ufficiale, e l'autonarrazione eroica delle ONG, avrebbero governato senza scossoni il conformismo tecno-pop delle masse e perpetuato la proiezione identificativa.

Ma hanno sottovalutato, e continuano a sottovalutare, il fatto che slogan come casta-cricca-corruzione, l'uso distraente esasperato dei fatti di cronaca nera, il livore anti-Stato-spesa-pubblica-debito-pubblico-brutto, e le relative "classifiche" colpevolizzatrici, non erano antropologicamente idonei a pervadere le masse di un'incondizionata accettazione, politically correct, della globalizzazione.

Il fatto è che questi slogan, - che utilizzano un linguaggio violento e autoritario, sempre più istituzionalizzato, ed un tono moralistico severamente punitivo e colpevolizzatore-, si sono aggiunti al disprezzo ostentato per i "perdenti" della stessa globalizzazione unito alla "materialità" del superamento del limite di tolleranza nella decrescita infelice: questa insistenza maniacale e prolungata nel propinare "ulteriori dosi dello stesso veleno" (v p.1.7. sub d) - escogitazione di Le Bon, ben prima di Goebbels-, nel contesto creato con arrogante sicumera, non è stata esattamente una strategia lungimirante.

 

5. Dunque, qualunque sia la reazione che verrà adottata, possiamo già constatare (vedendo l'atteggiamento arroccato di talk-show e giornaloni) che questa non terrà conto degli errori di calcolo, intrinseci nel sistema restaurato: gli errori semplicemente non possono essere ammessi.

Questi errori, infatti, sono strutturalmente ripetitivi di quanto già evidenziato dalla Storia del capitalismo "liberale", e quindi, una reazione conservativa, cioè fondata sugli stessi presupposti dell'azione svolta e sull'idea della loro irrinunciabilità e incontestabilità, non risolverà nulla.

O provocherà nuove forme di scontento, traslato in altre modalità di espressione (altrettanto impreviste...ma prevedibili) o condurrà i controllori a correre il rischio dell'effetto pretoriani.

 

6. In ogni caso, coloro che hanno inteso svolgere, a livello politico e all'interno delle varie nazioni coinvolte, il ruolo privilegiato di controllori e guardiani del sistema mondialista, dovranno cedere il campo a una nuova generazione di mandatari della timocrazia globalista dei mercati: oppure, direttamente ai pretoriani...

O, infine, (forse, più verosimilmente) ai creatori di una nuova cosmesi, ricalibrata su un nuovo cumulo di slogan tecno-pop; che assecondino opportunamente la sindrome Dunning-Kruger di massa, divenuta il segno di una ribellione inconcludente - se non autolesionistica -, ma ormai divenuta incontrollabile attaverso la reiterazione ossessiva dei vecchi slogan.

Intanto, chiunque sia il mandatario di turno, ESSI, hanno già la soluzione (mondialista) di riserva...

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