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Keynes e Schumpeter, incontro nel 5Stelle

di Attilio Pasetto

Se Di Maio riuscisse ad andare al governo nella casella cruciale di ministro dell’Economia andrebbe un economista quarantenne della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Andrea Roventini, che con Giovanni Dosi ha approfondito la ricerca nel campo dell’innovazione e dello sviluppo economico. Dai suoi studi e dalle prime uscite pubbliche emerge un personaggio convincente

A detta di tutti le elezioni del 4 marzo 2018 hanno segnato uno spartiacque profondo fra il prima e il dopo. Un po’ come avvenne con le elezioni del 1994, che portarono al governo Berlusconi e inaugurarono l’inizio della seconda repubblica. Adesso si parla di terza repubblica o, addirittura, di fine del vecchio secolo e inizio del nuovo. Dei due vincitori delle elezioni – la Lega e il Movimento 5 Stelle – il M5S si candida come il più indicato ad interpretare il “nuovo” perché, a differenza della Lega, ha mietuto ampi successi su tutto il territorio nazionale e si presenta con una vocazione “inclusiva” al cambiamento. Il consenso alla Lega si fonda sul bisogno di sicurezza, sulla paura dell’immigrato, sulla difesa di quello che c’è (il posto di lavoro) o la riconquista di quello che c’era (l’età più favorevole per andare in pensione). Non che queste non siano esigenze comprensibili e in molti casi anche giuste. Ma non fanno pensare a un mondo nuovo, a un orizzonte più ampio, alla società del secondo millennio.

Il M5S, con tutti i limiti che un movimento ancora giovane può avere, si è invece fatto interprete non solo della rabbia degli esclusi, ma anche della speranza di costruire un modello di società diverso dall’attuale. La società italiana da troppo tempo è ingessata dentro un meccanismo autoreferenziale che premia sempre la casta, sempre gli amici degli amici. E non soltanto ad alto livello, ossia nel mondo “alto” dei grandi giochi della politica, ma anche nel mondo “basso” della vita di tutti i giorni, fatta dalle strutture – imprese, pubblica amministrazione, istituzioni, professioni - che formano il tessuto della società civile. L’ascensore sociale non funziona più e nemmeno il merito. Le principali vittime di questo meccanismo perverso sono i giovani, costretti a vivacchiare con lavori precari o, peggio, senza lavoro.

Serve una scossa. I M5S la possono dare? Se si guarda alla squadra che Di Maio ha presentato e che si candida a governare (sempre che ciò possa concretamente avvenire), qualche speranza sembra esserci. Una figura di primo piano è quella del ministro in pectore dell’Economia, Andrea Roventini, economista quarantenne proveniente dall’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Come documenta il sito Keynes blog, Roventini è allievo di Giovanni Dosi - con il quale ha firmato numerosi articoli scientifici – un economista di statura internazionale per la sua attività di ricerca nel campo dell’innovazione e dello sviluppo economico. Insieme a Dosi Roventini sta portando avanti un filone di ricerca abbastanza originale, che coniuga l’innovazione tecnologica schumpeteriana con i modelli di crescita keynesiani. Schumpeter e Keynes sono due giganti del pensiero economico del ‘900 che si trovano su posizioni opposte, essendo il primo un esponente della scuola austriaca che annoverava fra le sue fila i grandi nemici di Keynes, come Hayek. Schumpeter però non è mai stato un pedissequo interprete dell’ortodossia marginalista né uno strenuo difensore dell’equilibrio economico neoclassico, essendo tutto proiettato a una visione dinamica dell’economia, in cui è l’innovazione ad alimentare il ciclo economico attraverso l’introduzione di nuove tecnologie, la creazione di nuove imprese e la distruzione di quelle obsolete.

Ma l’innovazione tecnologica – e qui inizia il filone di ricerca di Dosi e Roventini – non va lasciata libera di distruggere il tessuto sociale, deve essere in qualche modo gestita attraverso il controllo della domanda aggregata. Nei loro studi Dosi e Roventini dimostrano che esiste una complementarietà tra politiche keynesiane, tese a sostenere la domanda, e politiche schumpeteriane, volte a influire sull’offerta, nel sostenere la crescita di lungo periodo. Il tema è di grande attualità, visto che, da un lato, siamo in piena rivoluzione digitale e, dall’altro, la crescita rallenta e l’occupazione diminuisce. Applicando questa tipologia di modelli, Dosi e Roventini giungono ad alcune importanti conclusioni: a) la disuguaglianza nella distribuzione del reddito favorisce l’instabilità economica; b) le politiche di austerità sono controproducenti, riducendo la crescita e peggiorando i conti pubblici; c) le riforme del mercato del lavoro che aumentano la flessibilità portano a un aumento della disuguaglianza e della disoccupazione.

Innovazione tecnologica, rilancio stabile della domanda, aumento dell’occupazione, riduzione della disuguaglianza si tengono assieme attraverso quello che potremmo chiamare “il circolo virtuoso dell’economia” e conducono a un modello di sviluppo inclusivo e sostenibile. L’impostazione del candidato ministro grillino sembra essere quella giusta. Si obietterà che un conto è fare il ricercatore, un altro conto fare il ministro dell’Economia. Ma anche nelle interviste finora rilasciate, come quella a Il Sole 24Ore dell’1 marzo, Roventini ribadisce di voler puntare sulla crescita sostenibile alimentata dall’innovazione e dagli investimenti pubblici, perseguendo una politica fiscale fondata sull’equità e cercando nel contempo di ridurre il rapporto debito/Pil grazie soprattutto all’aumento del denominatore. E’ un libro dei sogni? No, se accanto al rilancio degli investimenti pubblici si avrà finalmente il coraggio di porre mano alla spesa pubblica improduttiva. E’ questo il nodo chiave, che ruota attorno alla riforma della pubblica amministrazione, e che nessun governo è riuscito finora a sciogliere.  Su questo punto specifico Roventini dichiara di essere pronto ad attuare la spending review di Cottarelli e il taglio dei trasferimenti improduttivi alle imprese individuati dal piano Giavazzi.

Un altro punto delicato, collegato all’equilibrio dei conti, sarà quello di attuare il reddito di cittadinanza, la bandiera grillina che ha fatto riversare sul Movimento milioni di voti, specie al Sud. Su questo punto Roventini, nell’intervista al Sole 24Ore, glissa, dicendo che esiste un piano di Pasquale Tridico, candidato M5S al ministero del Welfare, per finanziare quello che più propriamente egli definisce “reddito minimo condizionato”. Secondo il programma M5S servono 15 miliardi, secondo le stime di Massimo Baldini e Francesco Daveri pubblicate su lavoce.info del 12 gennaio ne occorrerebbero il doppio. Probabilmente bisognerà procedere gradualmente e accompagnare l’introduzione di un reddito minimo con il rafforzamento delle politiche attive sul mercato del lavoro, rendendo più efficace il ruolo dei centri per l’impiego, cosa che il ministro uscente Poletti non è riuscito a fare e che invece i pentastellati intendono portare avanti.

Collegato a questi punti, è il rapporto con l’Europa, che non ha ancora formalmente approvato l’ultima manovra di bilancio e potrebbe chiederci una manovrina aggiuntiva, come avvenuto l’anno scorso.  Se toccherà davvero ai grillini l’incarico di formare il nuovo governo, il primo banco di prova sarà la stesura del Def, previsto per il 10 aprile, dove – se si vorrà sterilizzare l’aumento dell’Iva previsto nel 2019 (come i grillini sono intenzionati a fare) – occorrerà indicare dove trovare 12,4 miliardi di euro. Un compito arduo, ma non impossibile per l’economista che vuole far incontrare Keynes con Schumpeter.

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