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sinistra

Perché occuparsi di Oliviero Diliberto?

di Eros Barone

Per la verità, la domanda che dà il titolo a queste considerazioni andrebbe posta al “Corriere della Sera”che pubblica un’intervista all’ex segretario del PdCI, piccola formazione politica ridenominatasi qualche tempo fa, con ammirevole modestia, PCI.

Ma chi è Diliberto? Qualche succinta notizia può bastare a farsi un’idea di questo personaggio micromegasico della sinistra italiana.All’epoca in cui rivestì la carica di Guardasigilli nei due governi D’Alema (1998-2000), il sociologo Salvatore Palidda, studioso delle forze dell’ordine, così ebbe a definire in un’intervista l’operato di Diliberto: “I più strenui difensori delle forze dell’ordine negli ultimi anni sono stati Violante, D’Alema, Minniti. Da anni la sinistra fa a gara per chi deve essere il referente politico. I Gom, squadre speciali violentissime che all’interno delle carceri ristabiliscono l’ordine con vere e proprie spedizioni punitive, sono i protagonisti della “visita” a Bolzaneto. Nell’atto costitutivo avevano a capo un generale dei carabinieri, ex iscritto alla P2. E lo sa chi li ha creati? Lo dica lei... Eh sì, Sua eccellenza Diliberto. Da Guardasigilli fu lui a firmare il decreto di nascita dei Gom. Ma non ha mai spiegato all’elettorato di sinistra il perché”. Che altro dire? Complimenti a Diliberto per questo suo importante contributo alla causa della lotta per la democrazia e il socialismo!

Ma ecco che cosa dichiarò all’epoca del secondo governo Prodi (2006-2008), quando rivestiva la carica di segretario del PdCI: "Noi vogliamo bene a questo governo, l’ho detto e lo ripeto. Cerchiamo di tenerlo lontano dalle insidie molteplici di una coalizione così larga e spesso non omogenea. Lavoriamo a questo fine. E lavoriamo sul serio per il bene del centro-sinistra”. Così ebbe a sentenziare Diliberto alle assise riminesi del suo partito davanti al compiaciuto Prodi, invitato d’onore in sala, candidando il PdCI a sentinella fedele del governo fino alla morte. Perché tanta gratuita dedizione ad un governo liberista, autoritario e filoamericano? Perché, secondo l'arcirevisionista Diliberto, “la democrazia italiana è fragile”, il paese è spaccato a metà e il governo Prodi è “l’equilibrio più avanzato possibile negli attuali rapporti di forza”. È vero che “non tutto ci convince” della sua politica, ammetteva obliquamente Diliberto citando (ma di sfuggita) Vicenza, l’Afghanistan, la legge finanziaria “che ha premiato pressoché solo le imprese”, il precariato “autentica piaga del secolo”, l’ecatombe dei morti sul lavoro, l’assenza di interventi a favore di salari e pensioni. Ma egli vedeva ottimisticamente anche il bicchiere mezzo pieno, e così poteva tranquillamente concludere che “viviamo in un’Italia migliore di un anno fa”; che “la politica estera italiana ha ripreso un cammino tradizionale (sic!), di pace e di cooperazione internazionale”; che “siamo alleati degli Usa ma non ne siamo sudditi”; che ora siamo “equivicini” a Israele e Palestina e felicemente presenti in Libano; che abbiamo ripreso una “convinta politica europeista, abbandonata negli anni del governo precedente, unica garanzia possibile per un efficace ruolo del vecchio Continente in un mondo multipolare, quale noi vorremmo”, e così via esaltando e magnificando il governo Prodi. Che altro aggiungere? Complimenti a Diliberto per questo suo importante contributo alla causa della lotta per la democrazia e il socialismo!

Ma torniamo, una volta fornite queste essenziali notizie biografiche sul personaggio, all’intervista del “Corriere”. Domanda dell’intervistatore: «Che cosa c’è di giusto nel comunismo?». Risposta: «In astratto, l’uguaglianza. Che figura anche nell’articolo 3 della Costituzione».

In astratto? L’art. 3 della costituzione? Orbene, Marx, per citare un nome a caso, non parla dell’uguaglianza in astratto, ma precisa che il presupposto per l’uguaglianza sociale sta nel superamento della società di classe e che l’uguaglianza consiste nell’abolizione della proprietà privata per tutti. L’ineguaglianza sociale poggia, infatti, sul potere di una classe di proprietari (siano essi capitalisti diretti, fondi speculativi, burocrati di Stato ecc.), che si appropria del frutto del lavoro della classe lavoratrice, ragione per cui la ripartizione dei beni di consumo è in ogni caso conseguenza della ripartizione dei mezzi di produzione. Per quanto concerne poi l’art. 3 della Costituzione, esso non fa parola di queste cose, e del resto non si può pretendere che nella società capitalistica il diritto sia più elevato della configurazione economica e dello sviluppo culturale da essa condizionato. Dopodiché l’intervistatore domanda: «Che cosa ci sarebbe di sbagliato nel comunismo?». E Diliberto risponde: «Tante cose. In primis il presupposto che tutto debba essere di proprietà dello Stato». Diliberto quindi recepisce la domanda e risponde come un reazionario da salotto, invece di rovesciare la domanda: che cosa c’è di sbagliato nel capitalismo?

Quanto all’asserto secondo cui in una società comunista tutto debba essere di proprietà dello Stato, si tratta di una menzogna. Ecco che cosa scrive Marx nel “Capitale”: «Ogni capitalista ne ammazza molti altri. Di pari passo con questa centralizzazione ossia con l’espropriazione di molti capitalisti da parte di pochi, si sviluppano su scala sempre crescente la forma cooperativa del processo di lavoro, la consapevole applicazione tecnica della scienza, lo sfruttamento metodico della terra, la trasformazione dei mezzi di lavoro in mezzi di lavoro utilizzabili solo collettivamente, la economia di tutti i mezzi di produzione mediante il loro uso come mezzi di produzione del lavoro sociale, combinato, mentre tutti i popoli vengono via via intricati nella rete del mercato mondiale e così si sviluppa in misura sempre crescente il carattere internazionale del regime capitalistico. Con la diminuzione costante del numero dei magnati del capitale che usurpano e monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, cresce la massa della miseria, della pressione, dell’asservimento, della degenerazione, dello sfruttamento […]». Insomma, si tratta della proprietà privata dei mezzi di produzione, non dell’alloggio dove abitiamo o dell’auto che abbiamo nel box.

Nel “Manifesto del partito comunista” Marx ed Engels chiariscono questo tema strumentalmente sollevato dalla propaganda borghese: «Voi inorridite perché vogliamo abolire la proprietà privata. Ma nella vostra società attuale la proprietà privata è abolita per i nove decimi dei suoi membri; la proprietà privata esiste proprio per il fatto che per nove decimi non esiste. Dunque voi ci rimproverate di voler abolire una proprietà che presuppone come condizione necessaria la privazione della proprietà dell’enorme maggioranza della società». E infine: «Quel che contraddistingue il comunismo non è l’abolizione della proprietà in generale, bensì l’abolizione della proprietà borghese».

Dunque, tornando all’‘incipit’ interrogativo di queste considerazioni, perché occuparsi di Oliviero Diliberto? Per quanto mi riguarda, la risposta è la seguente: l’intervista di Diliberto rivela i motivi reali del fallimento della sinistra riformista e revisionista. Basti pensare che oggi l’ex Guardasigilli insegna diritto romano in Cina: insegna, cioè, una dottrina che, a distanza di duemila anni, costituisce un perfetto involucro giuridico per il diritto di proprietà borghese e, quindi, una sovrastruttura adeguata all’attuale sviluppo del capitalismo in Cina.

E, a parte i Gom e l’appoggio volutamente cieco ai governi Prodi e D’Alema, qual è il risultato di cui Diliberto non si pèrita di menar vanto riferendosi al periodo della sua esperienza ministeriale? Aver salvato la scrivania di Togliatti (anche lui ministro della Giustizia nel periodo 1945-1946), finita negli scantinati di palazzo Chigi.

Che altro dire? Complimenti a Diliberto per questo suo importante contributo alla causa della lotta per la democrazia e il socialismo!

Comments

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Mario Galati
Monday, 16 April 2018 21:43
E il bello è che nell'intervista sostiene che rifarebbe ancora ciò che ha fatto. Nemmeno i bombardamenti NATO sulla Jugoslavia lo farebbero retrocedere.
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