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Marx like a rolling stone

di Giulio Calella

“Occorre tornare là dove tutto è cominciato”. È la suggestione che usiamo spesso per sottolineare l’esigenza di affrontare alla radice, senza scorciatoie, la crisi profonda della sinistra e di ciò che è stato il movimento operaio del Novecento. Tornare all'ispirazione fondativa delle prime leghe operaie e società di mutuo soccorso, ma anche alla capacità di inventiva e immaginazione di quegli operai e di quegli intellettuali militanti.

Il regista haitiano Raoul Peck, con il suo riuscito ed emozionante film Il giovane Marx, ci porta proprio là, nello specifico negli anni tra il 1842 e il 1848, periodo della formazione di Marx e dell’incontro con Engels. E là non troviamo il Marx austero con la lunga barba bianca che siamo abituati a vedere, immagine forse più facile da ossificare, da indurire in ideologia immutabile. Troviamo un Marx ventenne, lontano dalle ortodossie in cui verrà imbalsamato nei paesi del socialismo reale, che pur scagliandosi con veemenza contro quello che definisce “socialismo sentimentalista”, è pieno di sentimento, di passione, oltre che di intelligenza e irriverenza.

Il film inizia con una scena drammatica nella foresta, in cui uomini e donne intenti a raccogliere legna vengono selvaggiamente picchiati dalla polizia.

Siamo nel 1842 quando il giornalista ventiquattrenne Karl Marx pubblica nella Gazzetta renana una serie di articoli relativi alle deliberazioni della dieta renana in seguito al “rapporto relativo ai furti di legna ed altri prodotti della foresta”. «In caso di legna caduta – scriveva Marx – non viene tolto nulla alla proprietà. Ciò che si stacca dalla proprietà è separato da essa. Il ladro di legna attua un diritto arbitrario contro la proprietà, mentre chi raccoglie legna caduta completa solo un giudizio su ciò che la natura stessa della proprietà ha fatto cadere; in quanto essa possiede solo l’albero, ma l’albero non possiede più quei rami».

Siamo in un periodo in cui lo sviluppo del capitalismo stava producendo uno spostamento dei confini del concetto stesso di proprietà, rompendo diritti consuetudinari come quello dei poveri di raccogliere la legna secca caduta dagli alberi, per sancire che nessuno, e in nessun caso, può sfuggire alla legge dello sfruttamento di chi detiene la proprietà su chi non ha nulla.

Proprio a causa di questi articoli, sulla Gazzetta renana cade la scure della censura e Marx prende la decisione di espatriare a Parigi con la moglie Jenny. È qui che, con Arnold Ruge, fonda gli Annali franco-tedeschi, con l’esplicita intenzione di mescolare la tradizione filosofica tedesca con quella rivoluzionaria francese. Ne uscirà un solo numero, con due famosi articoli di Marx sulla filosofia del diritto di Hegel e sulla questione ebraica che pure, ci racconta il film, Ruge non gli pagherà lasciandolo in difficoltà economiche con la moglie e la bambina primogenita appena nata.

Ma proprio mentre si reca da Ruge per pretendere il pagamento degli articoli – siamo nell’autunno del 1844 – Marx incontra Engels. Incontro che cambierà le loro vite, e non solo le loro.

Bellissima la scena in cui i due, appena conosciuti, prima scappano dalla polizia per non rischiare di essere espulsi da Parigi, poi conversano appassionatamente in un caffè, dove Engels invita Marx a interessarsi di economia, e Marx elogia Engels per il suo saggio sulla Situazione della classe operaia in Inghilterra, frutto dell’osservazione e dell’ascolto appassionato del giovane Friedrich degli operai sfruttati nell’azienda paterna. Fino a che, sufficientemente ubriaco e barcollante, Marx pronuncia una delle sue frasi più celebri, contenuta nelle Tesi su Feuerbach scritte proprio in quel periodo: «I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, ora si tratta di trasformarlo».

È a Parigi che Marx incontra anche Proudhon, e il suo discepolo Bakunin. Ne è affascinato ma allo stesso tempo non esita ad entrarci in polemica, a schernire l’idea astratta di proprietà del “maestro” Proudhon, ma anche a trascorrere con loro pomeriggi a giocare a scacchi. Ed è nell’esilarante scena della partita a scacchi tra Marx e Bakunin che il comunista da una lezione di strategia all’anarchico attraverso una semplice mossa: l’inversione del Re con una delle due Torri.

Ma il film è soprattutto la storia dell’amicizia tra i due appassionati ventenni Karl e Friedrich, e il racconto di un amore fecondo e per nulla subalterno con le loro compagne. Jenny, l’aristocratica moglie di Karl che rinuncia alle ricchezze di famiglia per passare la vita insieme all’irrequieto rivoluzionario, e Mary, l’operaia ribelle che il padre di Engels non si fa scrupoli a licenziare, mentre Friedrich si innamora del suo orgoglio di classe e della sua insubordinazione.

Il primo rapporto intellettuale tra i due li porterà a scrivere a quattro mani La sacra famiglia. È l’opera in cui troviamo un’altra frase celebre, che smentisce le accuse di meccanicismo che spesso gli vengono rivolte dai loro detrattori: «la Storia non fa nulla». Una critica feroce all’idea secondo cui esiste un corso naturale delle cose, in cui l’uomo sarebbe poco più di una marionetta, mentre per loro la storia – con la s minuscola – «non è altro che l’attività dell’uomo che persegue i suoi fini», l’uomo ne è dunque un protagonista. È una visione aperta della storia, che opera nel tempo reale dove ci sono tendenze e controtendenze, contingenze, e lotta costante tra forze antagoniste. Dove c’è quindi la politica.

Il film continua mostrandoci Marx, con Jenny incinta della seconda figlia, Laura, costretto a riparare in Belgio dopo esser stato espulso dalla Francia. Si ritrova a Bruxelles, in quel periodo crocevia di movimenti socialisti, ed è qui che matura in modo più compiuto il senso del suo impegno politico e del suo internazionalismo (rinuncerà infatti alla nazionalità prussiana divenendo “apolide”). Insieme ad Engels decidono di iscriversi alla Lega dei giusti, dove ingaggiano una battaglia contro le astrazioni umaniste del sarto Weitling e il socialismo utopista dei proudhoniani.

Il film raggiunge il momento emotivamente più alto prima nell’alterco con Weitling, poi nel congresso di Londra della Lega dei Giusti del 1847. È difficile non emozionarsi guardando la scena in cui Engels riesce a far passare il cambio di nome – diventa Lega dei comunisti – e soprattutto il cambio di motto: non più «Tutti gli uomini sono fratelli» ma «Proletari di tutto il mondo unitevi».

La pellicola arriva fino al febbraio del 1848, quando Marx, ancora 29 anni, ed Engels, 27 anni, vengono incaricati di scrivere il programma del partito. Inizia la redazione del Manifesto del partito comunista con tutta la passione nella scrittura dei due che, coadiuvati sempre da Jenny e Mary, si immergono tra le bozze manoscritte, cercando i concetti chiave ma anche scegliendo le parole e le metafore di quello che è anche un capolavoro letterario.

«Un fantasma»…

«No uno spettro! Uno spettro!».

«Rileggilo».

«Ecco: Uno spettro si aggira per l’Europa…».

Raoul Peck chiude il film con una breve frase sullo schermo che restituisce la vitalità della teoria marxiana: «Marx dopo il 1848 inizia a lavorare alla sua opera più importante, Il Capitale, che rimarrà incompiuta, proprio perché l’oggetto di cui si occupa è costantemente in movimento nella storia».

Ma prima di chiudere ci riporta, sulle note di Bob Dylan, fino ai tempi più recenti, mostrando come quella pietra lanciata dai due giovani rivoluzionari insieme a quel giovanissimo movimento operaio, in un modo o nell’altro, continua a rotolare.

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