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gliocchidellaguerra

Quegli scenari da Apocalisse nello scontro tra Usa e Russia

di Fulvio Scaglione

Il modestissimo “The Post”, recente film di Steven Spielberg, nella sua retorica benpensante aveva almeno un merito: portava a galla il ricordo dei Pentagon Papers, ovvero dello studio che Bob McNamara, ministro della Difesa, aveva fatto preparare da una serie di analisti, e all’insaputa sia del presidente Johnson sia del segretario di Stato Rusk, e che conteneva una serie di verità scomode sulla guerra del Vietnam. I Papers, fotocopiati da un analista del Pentagono diventato pacifista, furono poi (come racconta, male, il film) pubblicati dal New York Times e dal Washington Post sollevando lo sdegno di molti americani che, attraverso di essi, scoprirono che i vertici del governo avevano mentito per anni sulla condotta e sulla natura di una guerra che era stata provocata ad arte per contenere la Cina e che nessuno pensava di vincere.

Al posto di esaltare il mito di giornali che, nel frattempo, sono diventati tra i più guerrafondai al mondo, i nostri intellettuali avrebbero dovuto occuparsi di quei Papers che spiegavano molto bene la natura della politica estera americana. E che, letti oggi, ci fanno capire che siamo tornati esattamente a quei tempi oscuri. Per fortuna ci sono i libri. In questo caso due, dello stesso editore Zambon.

Il primo è Progetto apocalisse – I piani del pentagono per la guerra nucleare, presenta un lungo memoriale di Paul H. Johnstone, padre di Diana Johnstone (corrosiva biografa di Hillary Clinton) e, dopo la seconda guerra mondiale, per vent’anni membro di un gruppo di specialisti del Pentagono incaricati della pianificazione e analisi degli attacchi nucleari. Ma non solo: Johnstone era anche uno degli analisti che redassero i Pentagon Papers su richiesta di McNamara.

Le sue opinioni e il suo racconto, dunque, vengono dall’interno della macchina politico-bellica degli Usa degli anni Cinquanta e Sessanta e sono per questo preziosissimi. Perché confermano due aspetti sostanziali della politica di potenza americana. Il primo (che non riguarda solo gli Usa) è che la pianificazione di un conflitto, e ancor più di un conflitto nucleare, è basata quasi solo su ipotesi e stime, che possono ovviamente essere adattate alla bisogna. Quindi, le decisioni ad alto e altissimo livello sono basate su informative fatte apposta per per sostenere le decisioni stesse.

Il secondo è l’ossessione bellicista anti-russa maturata dopo la seconda guerra mondiale, in particolare dopo che Truman ebbe impiegato la bomba atomica contro il Giappone anche se tutti i più alti esponenti delle forze armate (tra i quali anche Eisenhower e McArthur) avevano dato parere contrario. L’esaltazione per il possesso di una tale forza distruttiva diede alla Casa Bianca lo slancio per dare inizio alla Guerra Fredda e mandare a monte ogni possibile intesa con Stalin.

Johnstone scrive che “l’opinione dominante al Pentagono era che i russi avrebbero potuto scagliare le loro orde contro l’Europa occidentale praticamente in qualsiasi momento”. E ancora, ricordando le relazioni del Gruppo Studi Speciali diretto da Steve Possony, l’emigrato ungherese che fu il mentore di Kissinger e Brzezisnsky: “…ogni anno tale analisi prevedeva per l’anno seguente un massicico attacco terrestre russo contro l’Europa occidentale. Molti di noi dopo un po’ iniziarono a riderci sopra”.

Ma la paranoia anti-sovietica di allora non corrisponde all’ossessione russofobica di oggi, così cara proprio ai giornali che nel 1971 rivelarono invece i Pentagon Papers? La minaccia di un’invasione russa, allora agitata dagli emigrati dei Paesi dell’Est, non è identica a quella di cui tanto parlano, oggi, i politici dei Paesi dell’Est non più sovietizzati e i loro interlocutori della Nato, per non parlare dei politici e degli intellettuali neo-con da decenni dominanti negli Usa? Su questo sfondo politico e culturale va letto l’altro libro di Zambon, Guerra nucleare – Il giorno prima di Manlio Dinucci.

Esperto di politiche del riarmo, Dinucci racconta gli “scenari dell’Apocalisse”, ovvero ciò che gli Usa e la Russia hanno fatto per prepararsi a quel confronto nucleare che Reagan e Gobaciov avevano cercato di disinnescare e che è tornato con prepotenza al centro delle rispettive dottrine belliche. Il libro ci guida negli arsenali e ci prepara alle strategie che potrebbero essere impiegate sia per il first strike sia per il conseguente conflitto, compresi il terrorismo nucleare e l’utilizzo delle più moderne tecnologie informatiche. Chiude il libro un’analisi accurata della strategia dell’impero americano d’Occidente e della dimensione planetaria della sua macchina bellica.

Non resta che confermare l’impressione iniziale. Letti insieme, questi due libri dimostrano che ben poco è cambiato nel tempo. Il secondo dopoguerra somiglia proprio a questo tempo nostro che sa tanto di anteguerra.

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