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"L'Italia che cambia"

di Stefano G. Azzarà

Il ritorno alla zappa di una semicolonia in declino irreversibile

riv678Mentre i paesi capitalistici avanzati cavalcano la rivoluzione digitale e ristrutturano drasticamente i propri apparati produttivi, mentre la Cina Popolare conquista lo spazio, l'Italia sembra accettare rassegnata un destino che costringe molti giovani a tornare al lavoro degli antenati. Con la fatica quotidiana e spesso la fame che questo lavoro comporta.

Certo, non è la stessa agricoltura di 50 o 5000 anni fa. Ma non è nemmeno la tecnologia avanzata dei tedeschi.

Il miracolo della rivoluzione passiva però è che questo regresso netto - che è sostanzialmente il sintomo di una pressione gigantesca per la riduzione del costo del lavoro - viene presentato come se fosse chissà quale figata e dobbiamo anche esserne contenti. Basta chiamarle " startup della natura", o qualcosa di simile.

Del resto, è quello che da sempre vuole la sinistra populista che ha in odio lo sviluppo delle forze produttive e va in sollucchero per le giuggiole naccarate dei frati cerconi del Casentino. A patto che siano gli altri ad alzarsi alle cinque per raccoglierle, ovviamente.

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