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Baudrillard. Il sistema degli oggetti compie cinquant’anni

di Vanni Codeluppi

Esattamente cinquant’anni fa Jean Baudrillard pubblicava in Francia il volume Il sistema degli oggetti presso l’editore Gallimard. Questo testo ha visto crescere nel corso del tempo il suo successo e oggi può essere senz’altro considerato un classico del pensiero sociologico. In realtà non è nato come volume da pubblicare presso un editore, ma come tesi di dottorato in sociologia, discussa da Baudrillard nel 1966 davanti a una prestigiosa commissione composta da Roland Barthes, Pierre Bourdieu e Henri Lefebvre e scritta sotto la diretta influenza delle lezioni frequentate al seminario diretto da Barthes all’École Pratique des Hautes Études tra il 1962 e il 1964 dal titolo L’inventaire des systèmes contemporaines de signification: système d’objets. E l’idea di condurre una trattazione sistematica del mondo degli oggetti quotidiani è venuta probabilmente a Baudrillard dalla sociologia della vita quotidiana di Lefebvre, ma soprattutto dalle intense ricerche condotte da Barthes sul linguaggio dell’abbigliamento a partire dalla fine degli anni Cinquanta e raccolte nel 1967 nel volume Sistema della Moda. È evidente dunque come Il sistema degli oggetti non sarebbe probabilmente nato senza la lezione semiologica di Barthes. Non a caso l’edizione italiana pubblicata dall’editore Bompiani nel 1972 è stata fortemente voluta dal semiotico Umberto Eco, come lui stesso mi ha raccontato anni fa.

In realtà, di concetti provenienti dalla semiotica nel testo di Baudrillard ne sono presenti pochi. Al sociologo francese, infatti, interessava soprattutto ragionare sulla natura di quei beni di consumo che per la prima volta invadevano massicciamente le abitazioni delle famiglie occidentali. Certo, una tesi centrale del volume è l’idea che il mondo degli oggetti nelle società industriali avanzate si presenti come un sistema di segni. Vale a dire che sia in grado di funzionare come un vero e proprio linguaggio che consente agli esseri umani di comunicare la propria posizione all’interno della società. Non è presente però nel volume Il sistema degli oggetti un’approfondita analisi di tipo semiologico del sistema degli oggetti. Baudrillard fa frequentemente ricorso a dei termini che sono propri della semiotica, ma il suo impiego di tali termini presenta un carattere evocativo ed è frutto probabilmente della necessità per un giovane studioso di omaggiare quella che all’epoca era la disciplina sociale più alla moda.

In verità, Baudrillard voleva soprattutto portare avanti un’analisi sociologica su come l’arrivo della modernità avanzata abbia comportato il passaggio ad una organizzazione degli ambienti domestici basata principalmente su oggetti funzionali e che tendono all’autonomia.

Gli oggetti, anche grazie ai progressi compiuti dalla tecnologia, si liberano infatti dai rigidi vincoli imposti dalla tradizione e perdono la loro valenza di simbolo famigliare e sociale. Non evidenziano più cioè nella loro sostanza e nella loro forma un legame con delle relazioni umane concrete, ma solamente quel rapporto sistemico e collocato su un piano astratto che stabiliscono con tutti gli altri oggetti-segni. Ciò consente loro di essere “personalizzati” e di essere consumati non tanto su un piano materiale, quanto su un piano puramente comunicativo.

E consente loro anche di attribuire al mondo del consumo contemporaneo il suo carattere di illimitatezza. Infatti, proprio perché trasformati in oggetti/segni, questi «nella loro idealità si equivalgono e possono moltiplicarsi all’infinito» (p. 255). Qui risiede fondamentalmente il fondamento scientifico della teoria critica sviluppata da Baudrillard. Questi, infatti, vedeva nel passaggio sociale dall’oggetto-simbolo all’oggetto-segno la possibilità per gli oggetti di liberarsi dai vincoli tradizionali e di entrare in una condizione di estrema libertà espressiva. Una condizione che rende possibile pertanto uno sviluppo ipertrofico del sistema del consumo.

Negli anni Ottanta, questa interpretazione ha trovato una conferma nell’esplosione sociale dell’euforico design postmoderno. Ma, nello stesso momento, Baudrillard ha cominciato a prendere le distanze da essa. Non a caso, all’interno del volume L’altro visto da sé (Costa & Nolan) nel quale ha riassunto il percorso compiuto dal suo pensiero, ha sostenuto la necessità di superare quella teoria critica che aveva caratterizzato la prima fase della sua riflessione, affermando anche che il sistema degli oggetti non esiste più, perché a suo avviso oggi «Noi non ci proiettiamo più nei nostri oggetti con gli stessi affetti, gli stessi fantasmi di possesso, di perdita, di lutto, di gelosia» (p. 8).

In quello stesso testo Baudrillard immaginava l’arrivo di una ulteriore fase di vita dell’oggetto: la fase in cui l’oggetto si trasforma in «un materiale performativo», in una semplice «rete d’informazione». E questo è probabilmente la fase in cui ci troviamo noi oggi, cinquant’anni dopo l’uscita del volume Il sistema degli oggetti. Una fase però in cui, come pensava Baudrillard, l’oggetto ci seduce ancora per la sua indifferenza. Oppone alla nostra passione di esseri umani per la libertà e la differenza la passività della sua seduzione fredda. Ma, nonostante ciò, è in grado comunque di operare come un interlocutore autonomo e che può dialogare attivamente con gli individui.

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