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Governo grillin-leghista alle viste, è tempo di mobilitarsi

di Dante Barontini

Solo una cosa è sicura: a luglio non si vota. La mossa di Berlusconi – annunciare che non si oppone più alla nascita di un governo Lega-M5S, anche se non voterà la fiducia – ha come primo e per ora unico effetto quello di allungare i tempi. Salvini e Di Maio hanno fortemente voluto questa chance, consapevoli che altrimenti la loro carriera politica avrebbe cominciato a volgere sul viale del tramonto. Il grillino a causa delle regole interne del movimento (“massimo due mandati”, anche se con il voto anticipato si sarebbe fatto finta che questa legislatura non sarebbe mai esistita), il leghista perché sa benissimo di essere stato “spinto” soprattutto dalle tv berlusconiane (con Mediaset che sta rimuovendo o limitando, uno ad uno, i conduttori più fasciorazzisti, come Giordano, Del Debbio, ecc).

Un ruolo enorme lo ha avuto il presidente della Repubblica, che ha interpretato fino in fondo la parte del “guardiano dell’Unione Europea” (non certo della Costituzione, come pur pretende la visione liberal-kelseniana). Lo ha fatto proponendo un “governo neutrale” – un ossimoro, come “guerra umanitaria” – e facendo filtrare una lista di potenziali ministri scelta del non infinito recinto dei “tecnici ultra-europeisti”, a cominciare da Carlo mani-di-forbice Cottarelli.

Una minaccia che ha sortito l’ultimo effetto, costringendo i due “vincitori” del 4 marzo a smussare ulteriormente le proprie pretese e caratteristiche.

Basti pensare che i Cinque Stelle sono i rappresentanti autentici dell’antiberlusconismo anni ‘90, ma sono stati obbligati a dire di “non avere preclusioni” verso il Cavaliere, ma “solo” di “preferire un contratto di governo a due anziché a quattro”, per motivi di “funzionalità”, ma non certo politico-morali.

Sempre Mattarella, mentre i due giovani leader affrontano i primi tormenti del “dalemone” di ogni formazione di governo (“temi” da affrontare senza spaccarsi e nomi di ministri, sottosegretari, presidenti di commissione parlamentari, nomine ai vertici della varie amministrazioni, ecc), ha fatto sentire lo schiocco di frusta del “pilota automatico” con baricentro a Bruxelles e Francoforte. Una serie di memento mori difficilmente interpretabile come “normale amministrazione”.

Li mettiamo in fila:

“Credere di farcela da soli è pura illusione o, peggio, inganno consapevole delle opinioni pubbliche”.

“Il sovranismo è inattuabile”.

“Tutti sanno che nessuna delle grandi sfide, alle quali il nostro continente è oggi esposto, può essere affrontata da un qualunque Paese membro dell’Unione, preso singolarmente”.

“E’ da qui che occorre partire per avviare una riscoperta dell’Europa come di un grande disegno sottraendoci all’egemonia di particolarismi senza futuro e di una narrativa sovranista pronta a proporre soluzioni tanto seducenti quanto inattuabili, certa comunque di poterne addossare l’impraticabilità all’Unione”.

E non importa nulla se “Numerosi concittadini europei hanno smesso di pensare che l’Europa possa risolvere – nell’immediato o in prospettiva – i loro problemi. Vedono sempre meno nelle istituzioni di Bruxelles un interlocutore vantaggioso, rifugiandosi in un orizzonte puramente domestico, nutrito di una illusione: pensare che i fenomeni globali che più colpiscono possano essere affrontati a livello nazionale”.

Ammonimento minacciosi che sembrano indirizzati soprattutto a Salvini, visto che Luigi Di Maio si è tolto di dosso ogni veste “anti-sistema” dichiarando pubblicamente fedeltà assoluta alla Nato, all’Unione Europea e alla moneta unica (tanto da costringere Beppe Grillo, quando sembravano ormai vicinissimo lo scioglimento immediato delle Camere, a rispolverare l’ormai dimenticato “referendum sull’euro”).

L’esecutivo giallo-verde cerca così di nascere tra un selva di spade di Damocle sguainate da ogni parte. C’è quella, potentissima, della Troika che già sta agitando i mitici “mercati” (Milano è oggi la peggiore borsa europea, l’unica in perdita). C’è quella berlusconiana, che spera nel fallimento del tentativo per avere una chance di recupero della leadership del centrodestra.

Manca quella del conflitto sociale, per ora. L’investimento emotivo della piccola impresa del Nord su Salvini e dei disoccupati meridionali su Di Maio può reggere ancora qualche mese, se i due formeranno un governo. Poi, inevitabilmente, i miracoli che non si realizzano portano sconforto, delusione, abbandono della fede.

Se avremo un governo, insomma, bisognerà immediatamente mobilitarcisi contro prendendo di petto proprio le più evidenti “promesse” elettorali: cancellazione della legge Fornero, reddito di cittadinanza, ecc. Sapendo che, come mostra la pratica quotidiana della giunta Raggi a Roma, questa presunta “nuova classe politica” è totalmente sorda all’interlocuzione con il disagio e i bisogni sociali. Addirittura più delle amministrazioni piddine, democristiane e fasciste.

C’è già un appuntamento: il 13 giugno, sotto Montecitorio, promosso dalle strutture sociali che guidano le mobilitazioni popolari su casa, reddito, diseguaglianze sociali. L’opposizione che avrà una possibilità concreta di fermare le decisioni peggiori di un simile esecutivo non sarà quella perbenista finto-antifascista, né quella sacrificale-europeista. Per denudare davvero il presunto “populismo” dei neo-governanti, infatti, non basterà qualche ragioniere bravo a far di conto o qualche scribacchino dalla lacrima facile.

Servirà un popolo nelle strade.

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