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Fase politica: Aquarius, diversioni e questione dell’immigrazione

di Alessandro Visalli

Il 4 marzo dalle urne è emerso l’inatteso: una maggioranza politica conforme alla maggioranza sociale. In linea con la logica del proporzionale questa potenziale maggioranza si è tradotta in un nuovo compromesso. E questo su una coalizione sociale che sulla carta rappresenta la maggioranza numerica del paese.

A questo evento, prima o poi prevedibile ma non così in fretta, ha cercato di porre argine il rappresentante della vecchia coalizione sociale cosmopolita ed esteroflessa, estrema minoranza nel paese ma non nei palazzi e nei quartieri che contano.

Il paese si è spaccato su una linea che attraversa le sue borghesie e, insieme, che lo attraversa geograficamente. In estrema sintesi si è manifestata la defezione della borghesia nazionale verso la borghesia coinvolta con il modello economico mercantilista, e rivolto alla competizione per acquisire quote di mercato estero, che è contemporaneamente sotto attacco da parte del vecchio acquirente di ultima istanza americano. La precisa coincidenza di un attacco a fondo alla logica mercantilista, condotto da Trump, e della defezione della borghesia nazionale da questa in ultima analisi danneggiata è davvero singolare.

Lasciando a migliore occasione l’approfondimento del piano geopolitico, su cui altri sono più bravi ed informati, mi pare sia rilevante per comprendere gli eventi attuali fare mente all’instabile coalizione sociale che sembra allinearsi sotto le bandiere di questo governo. Una coalizione che va: dalle Piccole e Medie Imprese, impegnate nel mercato interno e poco interconnesse con i mercati globali; ai professionisti che con tale mondo e con quello delle famiglie borghesi intermedie sono legati; agli operai e impiegati di detti settori; ai precari e, infine, alla parte più attenta dei disoccupati. Resta fuori da questa coalizione: la parte meno attenta e più disperata, che va sull’astensione; la media borghesia tutelata e parte del mondo dei pensionati più abbienti; l’alta borghesia e la grande industria internazionalizzata con parte dei suoi lavoratori. Gli ultimi strati continuano a garantire il loro sostegno ai partiti tradizionali, impegnati nel progetto mondialista ed europeo, ma ormai si dividono più o meno un 40-45% del Parlamento e molto meno del paese.

Ma la coalizione sociale composta, si sarebbe detto una volta, dalla piccola borghesia e da parte dei ceti popolari a traino, nell’acquisire autonomia e coscienza di sé, sta manifestando a tutta evidenza la sua instabilità. Si tratta, infatti, di mettere insieme acqua ed olio. Gli interessi degli uni, PMI e professionisti, in quanto datori di lavoro debole, potenzialmente sono in aperto conflitto con quegli degli altri, operai e precari, bisognosi di sostegno per recuperare forza negoziale.

E il conflitto si materializza direttamente nella rappresentanza: dato che il M5* ha finito per rappresentare soprattutto questi ultimi, ed in particolare al sud, mentre la Lega soprattutto i primi. O per meglio dire nel primo movimento si intravede l’egemonia degli interessi diffusi dei lavoratori deboli e della piccola borghesia precarizzata, mentre nella Lega si intravede quella degli interessi più strutturati e con più luoghi di manifestazione delle Piccole imprese e dei professionisti o lavoratori autonomi forti.

Ma si vede anche una chiara polarizzazione territoriale, con il M5* a rappresentare il bisogno di protezione sociale del sud Italia (la sconfitta in Sicilia e in generale nel sud potrebbe essere una riprova, avendo pagato il prezzo dell’alleanza con la Lega e l’imposizione della sua agenda), e la Lega quelli del centro-nord produttivo.

In entrambi i casi è all’opera un bisogno di protezione, ma nel primo caso è di protezione sociale, nel secondo di protezione individualistica. Gli strumenti simbolo sono da una parte il reddito di cittadinanza (o di inclusione) e dall’altro la flat tax.

Nel suo tentativo del 27 maggio il Presidente della Repubblica, interpretando un mandato profondamente interiorizzato, ha provato ad opporre (ne abbiamo parlato a ridosso degli eventi in “Post-democrazia e crisi italiana”) alla coalizione sociale che gli veniva proposta una diversa coalizione della rendita. Compiendo un atto propriamente politico ha, infatti, evocato l’interesse di chi potrebbe nel medio termine perdere valori accumulati (siano essi titoli finanziari o valori immobiliari) in caso di scontro con la UE e perdita di stabilità. Inoltre, e forse ancora più importante, Mattarella ha messo in luce il conflitto principale: quello tra la sovranità popolare, espressa nelle forme della democrazia parlamentare, e la sovranità dei mercati di cui è agente la sovrastruttura europea. Pochi giorni dopo, ad esempio, il Washington Post in un suo articolo prende con toni molto duri la parte della democrazia ferita.

Il probabile intervento del governo americano e qualche notte di consiglio gli ha, fortunatamente, fatto abbandonare la strada di instituire un governo di assoluta minoranza (si prefigurava un governo del tutto privo di fiducia), rigettando l’esistenza certificata di una maggioranza sgradita nei due rami del parlamento.

Ma, partito il governo, resta il problema di tenere insieme una coalizione sociale e territoriale internamente fratturata in modo profondo. E si apre la lotta per l’egemonia tra le due forze che la compongono e le due forme di protezione cui devono rispondere.

In questa chiave mi pare si possa leggere l’azione simbolica, obiettivamente di basso impatto reale, sulla nave Aquarius, del Ministero dell’Interno. Davanti alla necessità di scegliere se destinare risorse piuttosto scarse alla domanda sociale di protezione individualista espressa dalla parte “alta” (geograficamente e in termini di stratificazione) della coalizione sociale di riferimento, o alla domanda di protezione sociale, espressa dalla parte “bassa”, si sceglie la diversione. E la diversione si conduce sul terreno preferito della parte politica più attiva ed energica di questa fase: l’immigrazione. Se l’avesse (o meglio, quando) condotta il M5* avrebbe prodotto un’azione contro la “casta”, ovvero sulle pensioni dei politici o sulla corruzione.

La diversione leghista è invece condotta sulla pelle di pochi aspiranti immigrati (aumentandone i disagi, non affamandoli o assetandoli, e neppure esponendoli al sole cocente, come esagerando alcuni hanno scritto opponendo retorica a retorica) ma vale per indicare ai ceti che non riesce, e non vuole, compiutamente sostenere un altro nemico.

Ciò in quanto appare evidente che se scelgo di proteggere i ceti connessi con le PMI dedite al mercato interno, e quindi poco innovative e poco produttive, largamente sottocapitalizzate e con gravi difficoltà di accesso al credito, e i professionisti insieme alla piccola e media borghesia, devo combattere in alto, ma anche in basso. Devo cercare di disinnescare i fattori che rendono difficile la sopravvivenza a chi resta sul mercato interno (e quindi devo allentare alcuni vincoli europei agli investimenti, agli aiuti di stato e alle politiche industriali, e intanto fornire sollievo fiscale), e quindi mettere in questione le politiche mercantiliste di Bruxelles. Ma non posso permettermi di farlo se al contempo proteggo i lavoratori deboli proprio contro le PMI. Infatti la maggior parte dell’occupazione sottopagata e precaria è tale per consentire alle imprese meno produttive, rivolte al mercato interno, di reggere in qualche modo la competizione.

Insomma, se non ci sono risorse fiscali per sostenere contemporaneamente l’economia e i suoi attori dal lato dell’offerta (riduzione fiscale, politiche di sostegno industriali, deregolazione) e dal lato della domanda (aumento del pubblico impiego, sostegno al reddito, estensione del welfare), allora bisogna scegliere.

Operare seriamente vorrebbe dire ben altro, e, lasciando le diversioni, svolgere politiche coordinate sia contro il mercantilismo di Bruxelles e per il recupero di quote di sovranità fiscale (che implica quella monetaria), sia per ripristinare la forza del lavoro nei confronti del capitale (grande e piccolo), dunque per riposizionare l’economia del paese verso il mercato interno anche con opportune forme di protezione e riequilibrando la distribuzione tra salari e profitti. Assume rilevanza strategica centrale la necessità in tal senso di riassorbire parte dell’esercito di riserva (continuamente alimentato dall’immigrazione, che va modulata in funzione delle capacità di civile assorbimento ed integrazione, e accuratamente coltivato dalle politiche di austerità) e garantire a tutti i diritti sociali, dove per tutti si deve intendere anche gli immigrati presenti sul territorio nazionale. I diritti sociali si devono rendere possibili in primo luogo attraverso un piano straordinario di opere pubbliche (edilizia popolare, infrastrutture, scuole e servizi alle famiglie), di protezione del territorio dalle vulnerabilità, di conversione energetico-ambientale dell’economia, e di potenziamento del pubblico impiego (a partire proprio dalle strutture di accoglienza e sostegno che devono essere pubbliche, per sottrarle alle logiche del profitto altamente finanziarizzato contemporaneo).

Ma ciò non può certo essere compiuto da questa coalizione.

Questo è il motivo per il quale, dal momento che il M5* e la Lega, lo sappiano o no (è probabile che il primo lo sappia poco, ma se ne accorgerà), hanno interessi opposti la loro coalizione attraverserà mari tempestosi.

Intanto tentano diversioni.

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