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Disastro capitale

di Sebastiano Isaia

L’età capitalista è più carica di superstizioni di
tutte quelle che L’hanno preceduta. La storia
rivoluzionaria non la definirà età del razionale,
ma età della magagna. Di tutti gli idoli che ha
conosciuto l’uomo, sarà quello del progresso
moderno della tecnica che cadrà dagli altari col
più tremendo fragore (A. Bordiga)*.

Secondo Jena (La Stampa, 15 agosto) «Alla fine delle inchieste e dei processi si scoprirà che l’unico colpevole è il ponte». Una battuta fin troppo scontata che personalmente non trovo particolarmente arguta né ironica. Il vero dramma sociale che ci tocca vivere è che, «catastrofe evitabile e annunciata» dopo «catastrofe evitabile e annunciata» (della serie: cornuti e mazziati, il danno e la presa in giro), non viene mai fuori il vero colpevole dei disastri: un sistema sociale orientato ossessivamente al profitto e che subordina al calcolo delle compatibilità economiche ogni attività pubblica e privata.

Non bisogna necessariamente aver letto l’ingegner Amadeo Bordiga per sapere che «è l’affarismo che detta legge alla “scienza” e alla “tecnica”, pur nascondendosi alle loro spalle e spingendo in primo piano il tecnico, l’esperto, lo specialista» (*); soprattutto quando si tratta di dare in pasto un capro espiatorio all’opinione pubblica colpita dall’immancabile «catastrofe evitabile e annunciata».

Per il capitale è più profittevole la manutenzione di un ponte, di una strada, di una scuola, di una diga, di un palazzo, oppure la costruzione di un nuovo ponte, di una nuova strada, di una nuova scuola e così via? Bisogna vedere! Bisogna calcolare! E il governo in carica, su quali risorse finanziarie può contare per investire nella manutenzione di ponti, strade, scuole ecc.? Bisogna vedere! Bisogna calcolare! Bisogna stabilire delle priorità! La coperta è sempre corta, per definizione. Soprattutto in Italia, dove i lavori pubblici hanno sempre avuto una chiara connotazione politico-clientelare, con ciò che ne è derivato in termini di efficienza e di produttività sistemica. Il calcolo elettorale sta al centro degli interessi della politica, e insieme al calcolo economico collabora all’irrazionalità generale che spesso provoca i disastri «evitabili e annunciati».

Posti i vigenti rapporti sociali, il calcolo umano è fuori discussione, è una splendida possibilità che attende ancora di trasformarsi in atto, di porsi al cuore di tutte le attività e decisioni umane. Nella bocca dei politici e degli intellettuali che desiderano un Capitalismo a misura d’uomo (sic!), il calcolo umano non è che una squallida menzogna puntualmente svelata dalla realtà dei fatti in ogni ambito di attività.

Leggo da qualche parte: «Anche in questo caso non assuefarsi alla catastrofe, in questo Paese è un imperativo etico che diviene immediatamente un programma politico». Ma non si tratta tanto di «non assuefarsi alla catastrofe», quanto piuttosto di comprenderne l’autentica natura sociale: se non chiamiamo la catastrofe con il suo vero nome (capitalismo tout court), l’«imperativo etico» e l’indignazione possono fondare solo programmi politici idonei a conservare lo status quo sociale, magari “da sinistra” e in guisa statalista. Sai che avanzamento di civiltà!

Forse la profezia della Jena verrà smentita; forse cadranno teste, verrà versato del metaforico sangue, verranno comminate salatissime multe e magari inflitte pene carcerarie (per la gioia dei populisti e dei manettari). Forse. Ma ciò che davvero conta, almeno a mio avviso, è che il Moloch sociale che minaccia permanentemente di divorarci, e che magari decide di ingoiarci con tutte le scarpe dopo una bella giornata trascorsa al mare, mentre facciamo ritorno a casa (scongiuri autorizzati!); oppure alla fine di un duro turno di lavoro (come sopra), o quando meno ce lo aspettiamo, a tradimento; quel Moloch, dicevo, non verrà nemmeno sfiorato dalle iniziative della politica e dal potente braccio della Legge, la quale com’è noto non guarda in faccia nessuno. E Nessuno è infatti il nome del Mostro sociale qui evocato. Chi è dunque il colpevole dell’ennesimo disastro «evitabile e annunciato»?


(*) A. Bordiga, Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale, p. 6, Iskra, 1978.
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