Print Friendly, PDF & Email

patriaecostituz

Intervento al convegno Patria e Costituzione

di Lanfranco Turci 

Sicuramente la scelta della parola Patria per il nome della nostra associazione è urticante a sinistra. Pesa il deposito preponderante di residui della propaganda fascista e di destra, molto più presenti nella memoria comune di quanto non lo sia il ricordo che dell’uso della parola Patria si fece nella Resistenza e poi da parte dei comunisti e dei socialisti in tutta la storia della Prima Repubblica.

Tuttavia ben venga, se deve fare scandalo dentro l’attuale sinistra residuale e far capire la centralità che noi assegniamo nella nostra proposta ai valori della Costituzione, alla loro preminenza sulle normative comunitarie, al ruolo dello Stato democratico, al recupero di un’area importante dei suoi poteri per contenere il peso asfissiante del mercato e della finanza internazionale e per governare l’economia e la società dal lato del lavoro, della giustizia sociale e della sostenibilità ambientale .

Su questi temi abbiamo già sentito oggi relazioni e interventi di grande spessore politico e culturale. Non potrei aggiungere niente di più significativo. Vorrei invece proporre la questione di come dare gambe e respiro a questa nostra iniziativa.

Innanzi tutto dovremmo preoccuparci di fare conoscere in giro per il paese la nostra associazione, creando dei nuclei locali e sviluppando dibattiti e assemblee in cui impegnare il numero crescente di intellettuali presenti e non presenti oggi, ma che già hanno contribuito a partire dal convegno nazionale che tenemmo in questa stessa sala un anno fa, a farne maturare le analisi e le idee che abbiamo pubblicato nel documento” Dalla parte del lavoro” nel maggio scorso.

Le nostre idee sulla crisi della globalizzazione non governata, sulle politiche negative dell’Europa della austerità e del mercantilismo, sul recupero di un ruolo nazionale e sull’esigenza di contenere e governare i flussi migratori sono avvertite come giuste da gran parte dei ceti popolari che il 4 marzo si sono spostati sui 5stelle e sulla Lega. Ma nel governo subiscono una curvatura pericolosamente di destra consentita dalla assenza di una sinistra che sappia dalla sua ottica affrontare quelle contraddizioni.. Ora bisogna far sapere che ci siamo e siamo in grado di sostenere una posizione diversa sia dagli euroliberisti del “Più Europa” sia dal nazionalismo xenofobo e conservatore della Lega.

Ma è fra la opinione pubblica di sinistra che le nostre idee appaiono estremamente minoritarie. E non solo in quella orientata in senso neoliberista, ma anche in quella cosiddetta radicale, orientata nonostante tutto in senso europeista, dentro un vago cosmopolitismo dei diritti universali.. Non a caso non siamo riusciti a convocare come Sinistra Italiana la prevista conferenza programmatica e anche dentro a Potere al Popolo le posizioni euroscettiche sono in minoranza. Bisogna affrontare questa battaglia ideale senza timidezze, dando per scontato l’asprezza delle reazioni che già suscitiamo.

Fra le posizioni a noi contrarie voglio anche io citare, come ha fatto stamattina D’Attorre, il lungo articolo di Vincenzo Visco pubblicato il 7 settembre dal sito di MDP. Non si tratta delle solite accuse di rossobrunismo e di nazionalismo che altri ci hanno rivolto in queste settimane. Quella di Visco è una riflessione seria e argomentata, che si può riassumere in due tesi: a) Il PD è difendibile nella sua storia e nel suo impianto pur con qualche ombra. La degenerazione arriva con Renzi. Su questo punto non mi soffermo, se non per ricordare la metafora della invasione degli Hyksos usata da Croce a proposito del fascismo. b)L’Europa è una gabbia per colpa non della sua costituzione e dei suoi trattati, ma per le politiche fatte durante la crisi. Ergo bisogna starci dentro e “fare politica” senza cedere a suggestioni da sinistra euroscettica. Dopo però questa indicazione di linea Visco esemplifica alcuni obiettivi del “ fare politica” in Europa, quali l’esigenza di un unico tasso di interesse sui debiti pubblici, la condivisione dei rischi e l’abbattimento del surplus commerciale tedesco. Mi domando se questi obiettivi non siano più radicali di quelli da noi indicati nel documento programmatico “ Dalla parte del lavoro” e non rivelino un approccio illusorio alla politica europea. Dunque a sinistra bisogna continuare a dare battaglia. Avverto però l’esigenza che la nostra associazione si doti di piattaforme programmatiche più precise oltre le indicazioni strategiche di oggi. Questo vale per l’Europa soprattutto, in vista delle prossime elezioni europee, ma anche per intervenire sulla prossima Finanziaria del governo gialloverde, sulle cui contraddizioni dobbiamo operare in modo intelligente e senza avversione aprioristica. A prescindere che noi siamo contro la flat tax, ormai peraltro divenuta un oggetto misterioso, come si realizzeranno gli obiettivi ambiziosi di arricchire il welfare e di realizzare grandi investimenti pubblici con la coperta corta di Tria e di Moscovici? Quanto si può andare avanti con una politica che un giorno pretende di prendere a schiaffi l’Europa e il giorno dopo va a chiedere i soliti margini di flessibilità?

Un altro discorso che dobbiamo tenere aperto, senza paura delle offese che già ci piovono addosso, è quello sulla immigrazione. Io non sono andato in piazza con la maglietta rossa. Vuole dire che sono diventato xenofobo e razzista? Eppure nei mesi scorsi ho sostenuto attivamente la lotta dei lavoratori immigrati (albanesi, cinesi e guineani insieme!) dell’azienda Castelfrigo della provincia di Modena, contro le cooperative spurie e mafiose e contro il caporalato! Non sono andato in piazza invece con la maglietta rossa a rivendicare la politica degli Open Border, perché la ritengo insostenibile proprio per i ceti popolari che vorremmo rappresentare. Bene su questo tema dobbiamo continuare a discutere, unendo insieme la battaglia per la integrazione e i diritti degli immigrati che già sono in Italia, con quella per la sicurezza cui la immigrazione è per molti aspetti connessa e con l’esigenza di un filtro rigoroso per i nuovi arrivi.

Dibattito politico e ideale dunque, piattaforme concrete e infine battaglie emblematiche che facciano capire al vasto pubblico il senso della nostra politica. Sappiamo tutti e ce lo siamo detti che la mobilità incondizionata dei capitali è una delle cause del dominio neoliberista e dell’indebolimento del mondo del lavoro e del welfare. Il governo giallo- verde ha il merito di aver affrontato sia pure ancora in modo parziale il tema delle delocalizzazioni industriali. Sappiamo che è un tema tabù per la Unione Europea. Ma possiamo accettarlo anche noi come un elemento del TINA? L’altra sera guardando alla Tv Bersani che era in contatto con i lavoratori della Bekaert di Figline Val d’Arno sul problema della chiusura della loro azienda e del suo trasferimento nell’Est europeo, mi è venuto in mente quando negli anni ’50 La Pira sindaco di Firenze fece i salti mortali, andando ben oltre i suoi poteri di sindaco, per salvare una azienda locale e farla acquisire dallo Stato tramite l’Eni di Mattei. Quella azienda è diventata poi un caso di successo industriale. E nessuno l’ha portata via. Potremmo impostare qualche battaglia su casi come questo e chiedere al governo di sfidare i divieti comunitari? Non potremmo creare un caso emblematico di politica industriale per fare capire cosa intendiamo per nuovo rapporto fra politica e mercato e cominciare a fare politica industriale? Una associazione politico-culturale si alimenta inevitabilmente di analisi e discorsi complessi, ma alla fine si fa conoscere dal grande pubblico solo se riesce a esemplificare con casi concreti che assumano un valore simbolico il senso della sua proposta.

Add comment

Submit