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sinistra

L’incontro fra letteratura e scienza: Atlante occidentale di Daniele Del Giudice

di Eros Barone

«All’inizio del campo d’erba provò il timone; poi, dondolando le ali, cominciò a rullare. Il volantino gli spingeva i gomiti vicini ai fianchi e la coda bassa dell’aereo gli spostava il viso in avanti, spartendo la visuale tra gli orologi del cruscotto e gli alberi lontani, come una lente bifocale. Ciò che pensava come una sua posizione era in realtà l’adeguamento a tutto quanto, dall’aereo e da fuori, gli veniva incontro, compresa la sua faccia resa anamorfica dal sole sulla curvatura del plexiglas. Ogni campo d’aviazione ha una luce molto più aperta della città con cui confina, e un colore pastello che dà solidità alle cose.»

A partire da questo ‘incipit’ di “Atlante occidentale”, Daniele Del Giudice propone tutti gli elementi della sua poetica: la luce, il fascino del volo e la passione per gli oggetti, che è inscindibile dal desiderio di restituire solidità alle cose. Il romanzo risale al 1985 ed è uno dei non molti testi narrativi di quel decennio che meriti di essere riletto.

165672In un romanzo così suggestivamente scandito dai temi della ricerca scientifica più avanzata, dai concetti di tempo, di moto, di spazio, dove uno dei protagonisti «già in rue Einstein cominciò ad accelerare irrelato sicuramente alla relatività che in quel momento però non percepiva», dove le strade della periferia residenziale di una città «erano tutte un’equazione o una costante», e dove «c’è un tempo delle emozioni che non va assolutamente con questo tempo», ed esse «vanno più lente» degli avvenimenti, «attorno e a fianco», Pietro Brahe (il cui cognome ricorda quello del grande astronomo danese che, nella seconda metà del Cinquecento, fu uno dei protagonisti della rivoluzione scientifica dell’età moderna) è un giovane fisico italiano che lavora nel grande anello di accelerazione delle particelle che corre sotto terra per trenta chilometri, tra la Francia e la Svizzera. Ira Epstein è un anziano scrittore, che si interroga sulla rappresentazione dei sentimenti in un mondo in cui la realtà è sostituita da schermi di luce e in cui si ignora tutto del funzionamento degli oggetti. E proprio per questo motivo egli consacra la massima attenzione alla precisione, ravvisando in essa la garanzia di quello stupore che nasce da uno sguardo capace di operare, per dirla con il filosofo Edmund Husserl, fondatore della fenomenologia novecentesca, il “ritorno alle cose ESP20150205 RM 2stesse”.

Di certo legata all’arcana dimensione del tempo è l’ostinata sconcordanza delle forme verbali (un po’ come accade con le immagini nel film Interstellar di Christopher Nolan), carica di un significato almeno sulle prime sfuggente, nell’assiduo conflitto fra passato remoto, passato prossimo e presente; e tutto può essere concentrato in questo esempio: «Quando Epstein è tornato, Brahe è in piedi e lo aspetta. Scesero...» Si ha l’impressione, contrariamente alla norma sintattica, che il passato prossimo racchiuda e concluda un’azione più istantanea e più finita del passato remoto. Sennonché Brahe, dopo che ha fatto veder allo scrittore amico i luoghi del proprio lavoro di scienziato, con lui si lamenta di non essere stato a sua volta invitato a vedere i luoghi del suo lavoro di letterato, e lo scrittore risponde: «Potrei mai invitarla a visitare dei tempi verbali?» Subito dopo Epstein improvvisa quella incalzante, sinfonica descrizione dei fuochi artificiali destinata a figurare nelle antologie, e quasi sicuramente a non essere intesa o a essere fraintesa di là dal suo indubbio virtuosismo prosastico. Ma guarda caso, in questa descrizione la simmetria dei tempi verbali è esemplare, totale e pressoché scolastica armonia di passati remoti e di imperfetti, rotta soltanto dai didascalici riprese Epstein, Epstein parla, ha ripreso Epstein.

8487 news img 4 v2E però il romanzo, in apparenza così freddo, e prezioso e pensato e composto, finisce con la parola sentimento, la quale insieme con emozione ricorre qui più spesso di quel che si creda. Ma la parola dominante del libro è, come si è già accennato, un’altra. Si chiarisce in tal modo, di là dalla semplicità e ovvietà, il significato dell’osservazione che compare nel citato ‘incipit’: «Ogni campo d’aviazione ha una luce molto più aperta della città con cui confina.» Dunque sì, la luce, presente come lemma dappertutto (e non si contano le voci apparentabili). Il resoconto dello spettacolo pirotecnico può quindi interpretarsi quasi come un pretesto, nel tentativo di possedere imprigionare capire la luce, la quale è talmente «difficile da descrivere» che forse anche quel reiterato passare gli occhi sulle cose per uno sguardo panoramico fugace ma non distratto sa di interrogativo ansioso.

In definitiva, sia Brahe che Epstein sono impegnati in esperimenti simmetrici ed estremi: per il giovane scienziato si tratta di strappare alla natura gli ultimi segreti della materia e di pervenire all’unificazione delle teorie fisiche; per l’anziano scrittore si tratta di riuscire, come egli dice, a «vedere oltre la forma». Nell’incontro fra i due l’autore adombra l’incontro fra la letteratura e la scienza: il grande programma di Italo Calvino. Per un verso, lo scrittore è catturato dalla novità di una percezione in cui la materia si trasforma in pura geometria; per un altro verso, il fisico sa che ogni esperimento vive nel tempo dell’emozione e della memoria, dunque della scrittura. Entrambi si sforzano di definire la loro posizione sulle mappe di un ipotetico atlante occidentale.

Come si è detto poc’anzi, la scena tòpica del romanzo è quella dei fuochi d’artificio sul lago di Ginevra, nella cui descrizione lo scrittore dà prova di una precisione, di una eleganza e di una icasticità, che hanno pochi precedenti nella storia della letteratura, a meno di non ricordare la descrizione delle fontane di Roma tracciata dal gesuita secentesco Daniello Bartoli nell’opera L’uomo di lettere o la scena del temporale sul lago di Lugano rappresentata dallo scrittore novecentesco Riccardo Bacchelli nel romanzo Il diavolo al Pontelungo. Fornire almeno uno ‘specimen’ di questa prova eccezionale di bravura descrittiva e di esattezza scientifica è perciò non solo un doveroso riconoscimento alla perizia dell’autore, non solo un atto di minima cortesia verso il curioso lettore, ma anche e soprattutto un modo per sottolineare la funzione conoscitiva ed euristica della letteratura intesa nel suo significato più autentico e più profondo di rappresentazione della realtà, del nostro comportamento e delle nostre emozioni.

«…Poi cominciò l’ultima parte dei fuochi, con una salva di granate che scoppiarono a una quota più alta, con più profondità di dimensioni, più molteplicità di dimensioni, più intense di luce, più sonore nel botto; granate a serpentelli che tracciavano nel buio ellissi luminose, e del resto in geometria anche l’ellisse ha i suoi fuochi, granate raggianti che esplodendo striavano il cielo di linee parallele convergenti o divergenti a partire dalla concentrazione di un fuoco, granate a pioggia con un’infinità di punti luminosi ciascuno secondo la propria traiettoria, granate a paracadute le cui particelle luminose decadevano in parabole lente e sparivano, granate a girandolette deflagranti in vortici luminosi e curve e spirali perfettamente simmetriche nello spazio, pura forma, e interi lembi di spazio e di buio che si inarcavano in enfiature di luce o si piegavano in voragini oscure, secondo altre geometrie più complesse, comprendenti nella simmetria anche il tempo, fino alla perfezione circolare delle granate a sfera che cominciarono a esplodere in successione, enormi globi di stelle gialle che generavano enormi globi di stelle verdi che generavano enormi globi di stelle violette, o stelline rosse come il rosso verso cui nello spettro si sposta la luce delle galassie in allontanamento, probabilmente infinito, se l’universo è aperto, o globi di stelline azzurre come l’azzurro verso cui nello spettro si sposterà la luce delle galassie, se l’universo sarà chiuso e quelle rimbalzando contro il bordo estremo torneranno indietro; e ogni globo prima ancora di spegnersi ne originava un altro per via delle micce che nel cartoccio raccordavano le diverse granate come un cordone ombelicale, ogni globo si proiettava velocissimo in avanti e in giù e poi frenava di colpo, totalmente avvolgente, come se volesse risucchiare la città e il lago e le barche e il pontone e la chiatta dove in un riverbero acido si vedevano gli omini dei fuochi correre ai comandi, e perfino i due nel giardino, un po’ protesi nelle poltrone, e col viso all’insù…»

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