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Utero in affitto: non c'è proprio più ritegno

di Jean De Mille

Senza alcun ritegno. Qualche giorno fa (ndr), Vendola, ospite di Matrix, ha parlato della “assoluta felicità” con la quale una donna ridotta a incubatrice avrebbe portato nel grembo il bambino destinato all’adozione.

A differenza di Vendola mi chiedo quale manifestazione più eclatante di egoismo si possa immaginare rispetto alla mercificazione del corpo materno e del suo piccolo abitante, ridotti a oggetto di una transazione economica.

Attraverso questa pratica aberrante si noleggia una donna riducendola a mero strumento di riproduzione, a macchina-fattrice: si sfrutta la sua povertà, la sua condizione di bisogno, e la si priva del figlio.

Qualcuno potrà ribattere che la madre-utero è libera di scegliere, scordando però che la marginalizzazione socio-economica è un pessimo coadiuvante della libertà.

Utero e neonato vengono trattati al pari di un qualsiasi bene di consumo, portando alle estreme conseguenze il processo di mercificazione indotto dal capitalismo. Qualcuno ci sente odore di sinistra?!

A me sembra piuttosto la pratica del lavoro fordista, della catena di montaggio, in cui ora gli umani prendono il posto della macchine e ne diventano sostanzialmente omologhi.

L’affitto di un utero si inserisce nell’ambito di quelle pratiche mediche che recentemente sono state definite come “biolavoro”. Si tratta sostanzialmente di una colonizzazione dei corpi da parte dell’industria medica e farmaceutica, con la sua prassi compiutamente capitalistica basata sulla generalizzazione del profitto, e sulla sua estensione a tutti gli spazi vitali. Il corpo perde la sua qualità di soggetto-che-lavora, e si trasforma nel luogo stesso della produzione, o meglio in oggetto lavorato, pura appendice materica di un processo economico e monetizzante che lo ingloba ed al contempo lo scavalca.

E non si pensi che il biolavoro si fermi alla maternità surrogata: produzione di ovociti, di spermatozoi, di tessuti riproduttivi per le cellule staminali vanno a completare il quadro. Fino a giungere, in un crescendo di aberrazione, a quei corpi che (nei paesi poveri ma anche negli Usa) si prestano alla sperimentazione di farmaci, in cambio di denaro o delle cure stesse cui altrimenti non potrebbero accedere.

Con tutto questo, la vulgata radicaldemocratica vorrebbe che non si esprimessero giudizi morali. Mi chiedo se la tacita liberalizzazione di queste pratiche debba essere festeggiata.

Ed ovviamente mi rispondo che la sola festa possibile è quella del capitale, che continua il suo trionfale processo di espansione, e di sussunzione di tutto ciò che è umano entro le sue logiche.

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