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minimamoralia

Fachinelli, Eco e l’eroina

di Dario Borso

I.

Su “La repubblica” il 9 dicembre 1988, giorno dell’approvazione in Parlamento del disegno di legge Jervolino-Vassalli (che secondo il cofirmatario Bettino Craxi valeva a “introdurre il principio della punizione dei tossicodipendenti”) Elvio Fachinelli pubblicò I drogati e Beccaria, dove traeva la conseguenza che “qualunque consumatore di droga si troverà esposto a un ampio ventaglio di sanzioni, decise a discrezione del giudice: il drogato si trova dunque davanti alla maestà della legge”.

Ma, continua, “non ci si è interrogati sul rapporto che i drogati hanno con la legge. Ora, è proprio questo rapporto dei soggetti coinvolti il punto nodale della questione”.

Innanzitutto da considerare è “il rapporto di ogni drogato con la propria legge interna, con la propria istanza di controllo”. Ora, “il rapporto tra questa istanza e ciò che egli si aspetta dalla droga (piacere, potenza, intelligenza o semplicemente ripristino dello stato anteriore) è variabile, non può essere ricondotto a una proporzione definita una volta per tutte”, mentre “l’unico effetto globale, seppur non appariscente, sarà forse un incremento della tendenza alla trasgressione, all’avventura della trasgressione”.

Fachinelli passa poi a considerare “il caso dei drogati cronici”, dove “l’istanza di controllo interno sembra spesso sostituita da un procedimento di tipo punitivo primordiale, di cui fa parte integrante la degradazione personale, spinta fino al vero e proprio suicidio. Ora, il progetto di misure punitive esterne rischia di aggiungersi a questa condanna interna, rischia di entrare in collusione, in nascosta alleanza con il feroce sistema di punizione autoctono. Anziché dissuadere dalla droga, le misure preventivate rischiano di rafforzare il comportamento suicida del drogato”.

E conclude, rivolto ai politici ciechi se non autistici, con una citazione da Dei delitti e delle pene (1764): “Il proibire una moltitudine di azioni indifferenti non è prevenire i delitti che non possono nascere, ma egli è un crearne dei nuovi, egli è un definire a piacere la virtù e il vizio, che ci vengono predicati eterni e immutabili. A che saremmo ridotti, se ci dovesse essere vietato tutto ciò che può indurci a delitto?”.

 

II

Fachinelli si era misurato sul campo col dramma dell’eroina sin dal 1977, e ne aveva tratto una linea possibile d’intervento espressa sul “Corriere della sera” del 12 gennaio, La cultura dell’eroina:Ciò che occorre è qualcosa che, non proponendosi di stroncare, sopprimere, far tabula rasa, riesca sul serio a rompere la comunanza che ora esiste, tra organizzazione mafiosa e trasgressività culturale. In termini economici, bisogna dunque che la merce eroina della mafia incontri sul mercato un’altra merce eroina. Indipendente. Non il ‘libero mercato dell’eroina’ ma un mercato controllato, com’è attualmente quello degli altri stupefacenti (morfina ecc.). Dopotutto l’eroina, nonostante il suo nome, è uno stupefacente come gli altri. In breve, ecco la proposta che mi piacerebbe veder discussa su questo giornale, anche in relazione alle esperienze, positive o negative, di altri paesi: produzione controllata dal ministero della Sanità; distribuzione esclusiva in farmacia; vendita esclusiva su ricetta medica”.

Nella stessa pagina c’erano quattro articoli contrari alla proposta (di un farmacologo, un cappellano di carcere minorile, un questore, un neuropsichiatra), condivisi due giorni dopo da rappresentanti delle commissioni delle Regioni Lombardia e Lazio per la cura delle tossicomanie. Fachinelli rispose a tutti sul “Corriere” del 25 gennaio: “Ciò che queste rispettabili persone si propongono è nientemeno che la cura del mondo, un compito in cui concorrono uniti progressismo marxista e salvazionismo cristiano. Insomma le principali componenti di quel catto-marxismo che è stato in questi anni ed è tuttora, questo sì, la cultura dominante del nostro paese”.

 

III

A inizio dicembre 1988, Fachinelli con altri (la legge doveva ancora passare in Senato) promuove un appello per la liberalizzazione delle droghe leggere e pesanti, lo invia anche a Umberto Eco, sodale di “Alfabeta” (anche se nella voce wikipedia, ricchissima di nomi dei contributori, non è nominato), e ne ottiene una risposta pubblica qui allegata in jpg, sotto forma di consueta “bustina di Minerva” (cliccare per ingrandirla).

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Fachinelli subito articola una replica, la quale sta nel Fondo manoscritti che sto curando per conto della figlia Giuditta e suona:

Su “L’Espresso” (18.12.1988) Umberto Eco si dichiara “d’istinto” per la liberalizzazione delle droghe, leggere e pesanti – ma alla fine si sente “incerto” rispetto alla portata della liberalizzazione sulla base di un ragionamento originale. Supponendo che, nell’ipotesi più ottimistica, l’industria della droga “esca distrutta” dalla liberalizzazione, “l’esercito del crimine” si riciclerà altrove: “una intensificazione dei rapimenti, del contrabbando di minorenni in Medio oriente, un allargamento del mercato delle armi? Per allargare il mercato delle armi occorre creare almeno altri dieci focolai di guerra tra Medio Oriente, Asia e Africa. Il numero di persone destinate a morire, in questa eventualità, compenserà il numero di drogati sottratti allo spaccio clandestino? Capisco che il ragionamento, freddamente quantitativo, possa suonare doloroso a chi abbia un drogato in famiglia, ma i termini della questione sono questi. Accettiamo, per evitare dieci drogati a casa nostra, che muoiano mille persone in più nell’Asia Centrale?”.

A parte la bizzarria del riciclo, è la riesumazione dell’argomento del “male minore” – che forse ha qualche ascendenza gesuitica (v. Lettere provinciali di Pascal?). Si dichiara minore un male attuale, che sta aumentando di anno in anno, rispetto ad uno possibile maggiore. In fondo, è il convincimento della classe politica: oggi è un disastro, ma nel caso della liberalizzazione sarebbe un disastro ancora maggiore. L’esistente è disastroso, ma per carità non cambiamo!

Come mai Eco adotta quest’argomento? Forse perché egli vede globalmente la questione, liberalizzazione mondiale e immediato riciclo con guerre in Zambia. Si potrebbe mettere alla prova il suo ragionamento in scala minima.

Esempio: liberalizzazione a Palermo per i tossicodipendenti residenti. Cosa succede? Caduta della criminalità, colpo alla mafia che si trova con i magazzini pieni e nessun cliente. Cose possibili, questo è sicuro. Se poi scoppia una guerra in Zambia, Eco avrà ragione – ma solo allora.

La replica non trova eco sull’“Espresso” (di cui peraltro Fachinelli era collaboratore), mentre l’appello per la liberalizzazione delle droghe uscirà da lui commentato sul “manifesto” del 24 gennaio 1989 (con scarsa fortuna).

 

IV

Il nocciolo della replica di Fachinelli è l’imputazione a Eco dell’argomento del male minore.

Nella formula canonica datagli nel 1748 da Alfonso Maria de’ Liguori, esso suona: ex duobus malis minor est eligendum (Theologia moralis II, 3, 2). Ma aveva una storia assai lunga, a partire dai Padri della Chiesa Agostino e Gregorio, per non dire poi di Tommaso d’Aquino su su fino alla Humanae vitae di Paolo VI (1968, sulla procreazione), E questo solo in ambito cristiano, ché in Occidente la storia è più lunga ancora, da Aristotele a Spinoza fino alla confutazione di Kant.

Ora, siccome Fachinelli evoca l’argomento in chiave critica, stupisce che non abbia attinto dal filosofo più implacabilmente ad esso avverso, Hannah Arendt, la quale in La banalità del male lo definì “armamentario terrorista e criminale” usato dai totalitarismi “per abituare i funzionari e la popolazione ad accettare in generale il male in sé”, poiché “chi sceglie il male minore dimentica rapidamente di aver scelto a favore di un male”. E sempre lì Arendt scriveva di un’“economia del male”, per cui il giudizio morale era sostituito dal calcolo economico.

Fachinelli conosceva bene il testo arendtiano, da lui acquistato nella prima edizione italiana del 1964 e abbondantemente annotato (cfr. Frutti della claustrofilia. Catalogo del Fondo Fachinelli della Biblioteca comunale di Luserna, Provincia autonoma di Trento 1996, p. 10), ma per supportare la sua critica a Eco non fa ricorso ad esso, né alla filosofia occidentale, né alla tradizione cristiana in generale, bensì alle Lettres provinciales (1658) di Blaise Pascal.

Il punto interrogativo posto nella replica accanto al titolo dipende dal fatto che non aveva le Lettres sottomano: erano però alle sue spalle, dentro le Oeuvres complètes, Gallimard, Paris 1962 (cfr. Frutti…, cit., p. 2219), che recano sottolineato questo passo della Lettera 11a: quand il s’agirait de convertir toute la terre, il ne serait pas permis de noircir des personnes innocentes ; parce qu’on ne doit pas faire le moindre mal pour en faire réussir le plus grand bien.

La lettera è quella in cui Pascal sferra l’attacco più deciso al lassismo gesuitico, dunque se ne deve dedurre: il ragionamento di Eco è gesuitico. E ancora: l’aver citato virgolettato il “d’istinto” fa pensare a una sua messa in dubbio: Eco cioè dice che il suo istinto è liberal-democratico, ma in realtà è democratico-cristiano, ovvero al fondo catto-comunista (in effetti Alfonso de’ Liguori avvertiva anche che in caso d’incertezza ex duobus malis nullum eligendum e quindi valeva astenersi, come Eco appunto fece).

Fachinelli conosceva bene Eco, di soli tre anni minore, conosceva la sua storia personale, il suo impegno giovanile nella Gioventù di Azione cattolica e il suo ruolo di responsabile nazionale del movimento studentesco dell’AC dismesso solo a 25 anni suonati, dopo essersi laureato in filosofia su Tommaso d’Aquino.

La replica appunto sottintendeva anche questo, e il primo ad accorgersene sarebbe stato Eco. Ciò che risulta strano piuttosto, è come Fachinelli non abbia colto nella bustina di Eco (verrebbe quasi da sostituire la ci con una erre…) un marchiano errore contabile. Il brano citato dallo psicanalista nella sua replica aveva infatti a premessa nella bustina: “Facciamo l’ipotesi più ottimistica: che la liberalizzazione di tutte le droghe riduca il numero dei drogati da 100 a 10”, ed Eco dunque avrebbe dovuto inferirne che così si sarebbero potuti evitare 90 “drogati a casa nostra”, non 10!

Abbiamo insomma, nel breve uno-due tra Eco e Fachinelli, un lapsus del primo e un atto mancato del secondo. Quanto a codesto, la mia ipotesi è che sia da imputare al fatto che Fachinelli intendeva dimostrare come da buon gesuita Eco i conti li sapesse fare: in fin dei conti, con Il romanzo della rosa del 1980 aveva rimpolpato il conto in banca, e con Il pendolo di Foucault appena uscito si apprestava a rimpolparlo ulteriormente…

Quanto al lapsus di Eco, non lo conosco quanto Fachinelli, né lo conobbi personalmente. Noto solo che in un’intervista su “La Repubblica”del 21 agosto 1988 di lancio prematuro al Pendolo lessi questo scambio: “Come può fare il lettore a districarsi nella selva di nomi e di citazioni che affollano il libro? – Non è necessario capire tutto quello che dice l’ Azzeccagarbugli. Fatto sta che si tiene i capponi. E questo, Renzo, lo capisce”.

Ora, tutti sanno che l’Azzecca i capponi li rifiutò, e Renzo se li riportò indietro. E siccome l’analogia qui è Azzeccca : Renzo = Autore : Lettore, il lapsus tradisce una certa qual ingordigia del terzo membro – mentre nel caso nostro l’Autore lesina sottraendo 80 morti alla bilancia dei due mali, tradendo così da che parte stava. Ma chi l’ha detto che gola e avarizia non vanno bene insieme?

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