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fondaz.feltrinelli

Il nazionalismo economico nell’analisi di Rosa Luxemburg

di Luca Michelini

1. La più celebre polemica in cui si è cimentata Rosa Luxemburg (1871-1919) fu quella contro E. Bernstein, che voleva incanalare il movimento operaio verso una strategia riformatrice, abbandonando ogni proposito di rivoluzione. Fu tra le più lucide nel sottolineare che sarebbero state le classi dominanti a tradire i principi liberal-democratici, quando le riforme ne avessero intaccato i privilegi economici. Il socialismo, che era l’unica organizzazione di peso a difendere la democrazia borghese, era cioè obbligato a non rinunciare ai propositi rivoluzionari, perché sarebbe stata la logica storica delle riforme a imporne la razionalità, pena il disfacimento sociale e la nascita di sistemi autoritari. E di disfacimento sociale in effetti si trattò quando i riformisti tedeschi appoggiarono i crediti di guerra, dai quali scaturì il Primo Conflitto Mondiale, che cambiò il volto del Mondo aprendo la stagione della violenza politica e dei totalitarismi. Per altro Luxemburg fu tra le prime a scorgere nella prassi del bolscevismo russo giunto al potere i prodromi di forme di autoritarismo. E fu vittima di una situazione politica dove le tendenze rivoluzionarie, isolate dalla parte più consistente del movimento socialista, diedero l’occasione alle forze della reazione di imporre la propria logica, perfino alla socialdemocrazia. Il fallimento della rivoluzione in Germania fu all’origine di convulsioni sociali e politiche gravide di sciagure devastanti: perché rese realistica la politica del “socialismo in un solo paese” in Russia e perché la Germania si incanalò verso il nazismo e il Secondo Conflitto Mondiale.

2. Il destino delle menti più lucide è segnato, come la storia insegna: imprigionata e alla fine assassinata, Luxemburg ebbe il tempo di scrivere un’opera a tutt’oggi fondamentale, L’accumulazione del capitale, tradotta in Italia nel 1960 dalla Einaudi. E’ un classico del pensiero socialista, che si contraddistingue per tre aspetti: come critica di alcune parti della teoria economica di Marx, come svolgimento di alcune sue linee di pensiero, infine come interpretazione del nazionalismo economico. Il libro argomenta come la realizzazione del profitto soffra di un limite intrinseco, di cui Marx non si sarebbe accorto: la carenza di domanda pagante. Per questo motivo il capitale ha bisogno della continua conquista di nuovi mercati, utilizzando ogni strumento di cui lo Stato è capace. La globalizzazione dei mercati è dunque una necessità inderogabile e può avvenire in forme diverse, a seconda dei contesti storici: conquiste coloniali, politiche imperiali, creazioni di grandi “spazi economici”, conflitti tra stati capitalistici per il dominio del mondo. Il commercio estero, le politiche fiscali, il debito privato e pubblico, il protezionismo, il capitalismo bancario e finanziario, il militarismo, la guerra: sono altrettanti strumenti che il capitale utilizza per creare o conquistare i mercati che sono indispensabili alla sua sopravvivenza. Vengono considerati permanenti i meccanismi che Marx analizza nel capitolo del Capitale dedicato alla “accumulazione originaria”: espropriazione violenta delle risorse naturali (terra anzitutto) e loro mercificazione; creazione del moderno proletariato, che deve essere libero di circolare; rovina delle forme non borghesi di proprietà e di organizzazioni sociali e statuali; diffusione della proprietà privata, che è però ciclicamente sottoposta a processi di concentrazione che hanno immensi costi sociali. Il capitalismo vive grazie alla distruzione di forme di società non capitalistiche e scatena inevitabili conflitti inter-capitalistici. Luxembirg passa in rassegna la storia della politica imperiale dei paesi dominanti in Algeria, India, Egitto, Turchia, ma anche i processi di sviluppo capitalistico interni ai paesi più sviluppati, come gli Stati Uniti.

3. Si tratta di un’analisi che critica alla radice alcune pretese della scienza economica. L’assenza di crisi economiche, il libero scambio, il pacifismo commerciale, la crescita armoniosa di tutti i partecipanti allo scambio di mercato, lo Stato minimo, l’opposizione tra Stato e mercato, la distinzione tra politica ed economia, la differenza tra legalità e illegalità, tra forza e violenza, tra morale e immorale, il compromesso tra crescita, disuguaglianza e uscita dalla povertà: si tratta di precari stati di equilibrio destinati ad essere continuamenti superati, sono altrettante forme di utopia, nel peggiore dei casi si dimostrano dei paraventi ideologici che non permettono di cogliere le più intime e inderogabili leggi di sviluppo del capitalismo e che nascondono le reali poste in gioco della concorrenza. Lo Stato gioca un ruolo imprescindibile non solo nella nascita, ma anche nello sviluppo del capitalismo. La politica fiscale è uno strumento indispensabile alla mercificazione e dunque alla monetizzazione di ogni aspetto della vita sociale e naturale. La creazione della proprietà privata che genera il proletariato e la mercificazione delle risorse. La nascita dell’economia monetaria e del commercio e l’indebitamento privato creano le distinzioni di classe e ne generano le lotte. L’indebitamento pubblico marca la gerarchia e il conflitto tra Stati. La politica di potenza e la guerra sono fenomeni connaturati al capitalismo. La crisi non è un accidente dello sviluppo capitalistico, ma il suo stato normale, perché ristabilisce le distinzioni di classe e la gerarchia tra Stati. In effetti non esiste il capitalismo, esistono i capitalismi nazionali. Il nazionalismo è la logica dell’accumulazione capitalistica. E’ un punto di vista che, perfino per gli ottimisti, vale la pena di prendere in considerazione: per comprendere le forze reali sottese al montante nazionalismo; e come antidoto all’utopismo.

4. Tra i più acuti interpreti della Luxemburg in Italia si annovera Lelio Basso, che nel 1972, con Editori Riuniti, ne ha raccolto alcuni scritti. Si tratta di uno dei padri dell’articolo terzo della Costituzione italiana. Rimuovere, con l’azione pubblica, gli ostacoli di natura economica e sociale che impediscono l’effettivo godimento dei diritti fondamentali dell’uomo, non ha solo un intento etico: lo sviluppo del capitalismo va infatti imbrigliato con programmi di giustizia sociale (diritti sociali, redistribuzione della ricchezza e delle opportunità, politica industriale e sociale), per evitare lo scatenarsi di conflitti che costituiscono le condizioni oggettive dell’affermazione dei regimi autoritari e del fascismo. Solo un impasto di ingenuo idealismo e di dilettantismo, oggi, potrebbe negare che le crescenti diseguaglianze sociali sono all’origine della rinascita di vocazioni “sovraniste”. Solo l’irresponsabilità potrebbe negare che il nazionalismo odierno nasce dal fallimento del riformismo, che poco ha fatto per contrastare la polarizzazione sociale, mentre si è affidato ciecamente ad una visione esclusivamente ottimistica della globalizzazione, aderendo a gran parte delle dottrine neo-liberiste. Solo il fallimento dell’Europa politica e sociale può spiegare la rinascita della conflittualità tra Stati all’interno della stessa Europa. Solo la più completa mancanza di memoria storica può ritenere paradossale che il nazionalismo venga incontro, a modo suo, alle aspirazioni sociali che un tempo erano rappresentate dai partiti dei lavoratori.

5. Le pagine della Luxemburg rimandano a quelle di Marx anche perché è vivissima la testimonianza di come il mercato e il capitalismo siano solo un modo particolare di produrre e di distribuire la ricchezza. Sono testimoni oculari della distruzione dei modi di produzione pre-capitalistici e del disastro sociale che questa distruzione ha comportato. Al tempo stesso, hanno avuto anche la forza di non rimpiangere il tempo passato, come invece aveva fatto Sismondi, un autore che pure Luxemburg valorizza nel proprio libro, perché tra i primi a mettere in luce il problema della carenza di domanda pagante e a mettere al centro del discorso politico e sociale la nuova classe creata dal capitalismo, il proletariato. Non hanno avuto rimpianti, perché hanno colto con estremo rigore anche gli aspetti positivi del mercato e del capitalismo: cioè l’immensa capacità di aumentare le forze produttive del lavoro. Per il marxismo il problema della scarsità è stato tecnicamente risolto grazie al capitalismo: il problema della scarsità (di reddito, di risorse, di opportunità, di ricchezza) diventa un problema esclusivamente sociale grazie al capitalismo; che dunque ha fatto il proprio tempo e, in un modo o nell’altro che solo il concreto divenire potrà definire, ma sicuramente opponendo una resistenza violenta e tremenda, verrà superato nel socialismo. E’ importante ricordare che un autore liberale come J.M. Keynes, che pose al centro della propria riflessione l’insufficienza di domanda pagante, addirittura nel bel mezzo della Grande Crisi degli anni trenta ebbe il coraggio di proporre il tema della scomparsa del problema della scarsità. Ed era stato sempre Keynes, a metà anni venti, a ricordare che solo nei paesi più ricchi sarebbe valsa la pena tentare esperimenti di superamento del capitalismo, perché solo in essi vi erano le condizioni oggettive per farlo. Utopia, si dirà. Abbandonati la lettera e lo spirito della Costituzione; abbandonati i propositi di economia regolata del migliore europeismo, quello del Manifesto di Ventotene; dilagati in tutta Europa i principi del liberismo: siamo oggi arrivati, probabilmente, ad un punto di svolta, perché il nazionalismo economico ha l’occasione di una grande vittoria nel cuore dell’Europa. E si riaffaccia la possibilità moralmente inaccettabile che solo per la guerra l’umanità sia in grado di mobilitare una quantità davvero immensa di forze ideali e produttive.


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