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Se i “sovranismi” di destra rientrano nei ranghi

di Carlo Formenti

Sovranisti più vicini all’Europa, recita il titolo di un fondo di Maurizio Ferrara sul Corriere della Sera di sabato 19 gennaio. Prendendo atto delle recenti dichiarazioni di Marine Le Pen, secondo cui l’uscita della Francia dall’area euro non è più necessaria, perché ora ci sono le condizioni per riformare la Ue restandone all’interno, e dell’evidente, progressivo ammorbidimento delle posizioni antieuropeiste di Salvini, l’autore del pezzo tira un sospiro di sollievo scrivendo: “L’avvicinarsi delle elezioni sta accelerando la normalizzazione in senso europeo dei sovranisti. Da partiti di lotta antisistema, alcuni di loro sono diventati partiti di governo (a cominciare dalla Lega)”.

Ciò che questo articolo, come quelli di molti altri commentatori e opinionisti, nascondono, è il fatto che ad attribuire alla Lega (come agli altri movimenti populisti di destra) il carattere di “partiti antisistema”, sono stati i tradizionali partiti di orientamento liberista (di destra, centro e sinistra) e i media di regime. Per chiunque sia dotato di un minimo di onestà intellettuale, infatti, è sempre stato evidente:

1) che questi partiti e movimenti non hanno mai messo in discussione i valori e i principi del neoliberismo (né tantomeno quelli dell’economia capitalista);

2) che si sono tuttalpiù limitati a rivendicare più attenzione agli interessi dei settori piccolo-medio borghesi (Pmi, imprese a basso tasso di innovazione tecnologica, professionisti tradizionali, ecc.) penalizzati dal processo di globalizzazione;

3) che per galvanizzare e mobilitare questo blocco sociale fanno leva sui sentimenti xenofobi e sulle paranoie securitarie che lo caratterizzano;

4) che in conseguenza di tutto ciò, l’accordo con i tradizionali partiti europeisti di centrodestra (Merkel in testa), sulla base di limitate concessioni da parte di questi ultimi, come un parziale allentamento dei vincoli “austeritari”, era e resta l’esito naturale della loro evoluzione, laddove le alleanze con le classi subordinate e con le forze politiche che, almeno in parte, le rappresentano (come l’M5S) sono al contrario puramente tattiche e contingenti.

Tuttavia, se le élite tradizionali hanno validi motivi per rallegrarsi di tale svolta, anche i movimenti e i partiti populisti e antieuropeisti di sinistra possono trarne vantaggio. A partire dallo scioglimento di un equivoco terminologico: la parola “sovranismo”, al pari di “populismo” negli ultimi anni è stata sistematicamente usata per connotare un inesistente blocco di forze neo nazionaliste (neofasciste e “rossobrune”) che minacciava lo sviluppo, la pace e la democrazia nel Vecchio Continente. Se i “sovranismi” di destra rientrano nei ranghi, allineandosi al progetto liberista e antipopolare delle élite europee, sarà più facile spiegare alle classi subalterne che la rivendicazione di sovranità popolare e nazionale avanzata da movimenti come France Insoumise e Podemos, nonché dalla galassia delle sinistre sovraniste italiane, non ha nulla a che vedere con il vetero nazionalismo delle destre.

La crisi della globalizzazione, certificata dal ripresentarsi del protezionismo e dei conflitti interimperialistici, dimostra che la fine dello stato nazione è solo uno slogan della propaganda neoliberista. Le masse popolari che lottano contro le politiche liberiste – come i gilet gialli francesi – e ripudiano i partiti tradizionali che ne hanno tradito gli interessi, non chiedono protezione e sicurezza alla Ue, ma allo stato nazione, che è la sola istituzione da cui possono ottenere la possibilità di decidere democraticamente del proprio futuro. Solo lo stato nazione può ricostruire un’economia capace di produrre piena occupazione, governare il mercato, costringere la proprietà privata a servire l’interesse generale, rimuovendo gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione economica e sociale del Paese. Solo uno stato nazione fedele ai principi della Costituzione del 48 può abolire la tirannia del principio della libera concorrenza, subordinandolo all’utilità sociale e alla dignità della persona. Solo uno stato nazione che abbia riottenuto la propria sovranità monetaria può ridare alla moneta il carattere di variabile politica, al servizio del welfare e dell’uguaglianza sociale.

Comments

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Fabrizio Marchi
Sunday, 27 January 2019 13:48
L'articolo è condivisibile, purchè non si alimenti l'iillusione che il recupero della sovranità monetaria significhi la piena sovranità politica perchè comunque l'Italia è un paese membro della NATO, quindi un paese e uno stato a sovranità limitata, come lo era prima. Il recupero della sovranità monetaria è sicuramente un passaggio importante in questa fase, qualora fosse gestito da una maggioranza di forze socialiste e democratiche, diciamo così, che è la direzione che auspica ovviamente anche Formenti. Però non attribuirei una valenza ideologica allo stato-nazione così come ai concetti di patria e di nazione, come mi sembra invece facciano una gran parte dei compagni che orbitano nell'area della "sinistra sovranista". Del resto, non mi pare proprio che il M5S e tanto meno la Lega siano stati premiati dagli italiani per il loro attaccamento ai valori della patria e della nazione, come ho spiegato in questo articolo pubblicato anche su Sinistra in Rete: https://www.sinistrainrete.info/sinistra-radicale/14131-fabrizio-marchi-dove-sbaglia-la-sinistra-sovranista.html Insomma, il recupero o il ripristino della sovranità monetaria e nazionale deve essere visto per quello che è, e cioè uno strumento per approdare ad equilibri più avanzati, come si sarebbe detto una volta, ma sicuramente non bisogna attribuirgli significati idoelogici.
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