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andreazhok

Breve nota dolente

di Andrea Zhok

Richiamo QUI, un articolo sostanzialmente corretto di Milena Gabanelli.

L’articolo ricorda la condizione di cronico definanziamento dell’università italiana, lo scarso numero di laureati, l’alto livello delle rette, la scarsa tutela del diritto allo studio, la drastica riduzione del corpo docente, l’abbandono progressivo di gran parte delle università del Sud Italia a sé stesse, ecc.

Si tratta di dati ben noti a chi vive l’università dall’interno, ma forse non altrettanto noti all’esterno.

A completamento del quadro fornito dall’articolo voglio fare solo un’osservazione.

Nella chiusa dell’articolo la Gabanelli richiama, giustamente, la necessità di far ripartire gli investimenti nella formazione terziaria. Indubbiamente, solo se ripartono gli investimenti sarà possibile ripristinare un livello di alta formazione comparabile con quello dei maggiori paesi europei.

Tutto vero.

Solo che qui il problema non sono solo gli investimenti specifici per l’università, che pure latitano.

Il problema sono innanzitutto gli investimenti pubblici in tutti i settori industriali avanzati, gli unici per cui ha senso economico ‘produrre’ laureati nei settori ‘professionalizzanti’.

Mettiamo (parzialmente) tra parentesi i settori umanistici, che possono mantenere un senso indipendente dalla stretta impiegabilità in quanto contributi alla ‘formazione alla cittadinanza’.

In tutti gli altri casi, più nettamente ‘professionalizzanti’, l’amara realtà è che il nostro sistema universitario produce già un’eccedenza di laureati rispetto a quelli che possiamo assorbire.

In altri termini, produciamo pochi laureati rispetto ai paesi con cui vorremmo confrontarci (Francia, Germania, UK), ma comunque troppi rispetto a quanti possiamo assorbirne.

Donde il processo costante di esportazione di giovani laureati all’estero dove la loro tendenzialmente ottima formazione contribuisce alla ricchezza di altri paesi.

Siccome un laureato costa allo stato circa 5 volte quello che paga come retta, di fatto questo processo di drenaggio di ‘capitale umano’ (termine peraltro osceno) è un colossale regalo ai paesi riceventi.

Faccio notare che questo è un caso classico, rappresentativo di tutti i rapporti coloniali o semi-coloniali: si tratta cioè di un caso di sussidio del più povero al più ricco; il sussidio è dovuto al fatto che il più povero non ha le risorse sufficienti per sfuttare le proprie risorse in loco, e quindi deve farle sfruttare da terzi (vale per le risorse umane italiane, come vale per le risorse naturali africane).

Purtroppo, come dimostrato in numerosi casi, la ricerca di tipo industriale avanzato viene svolta solo da gruppi di dimensioni cospicue.

E l’unico modo di irrompere in un sistema dove gruppi (pubblici e privati) di grandi dimensioni sono già ampiamente consolidati è attraverso l’intervento diretto dello stato in economia (l’Entrepreneurial State di cui scrive eloquentemente Mariana Mazzucato).

La domanda di fondo dunque, in ultima istanza, diventa: come creiamo le condizioni per avere di nuovo uno Stato Imprenditore in settori tecnologicamente avanzati? Come finanziamo questo indirizzo?

L’alternativa infatti è quella che stiamo già percorrendo da qualche anno, dove l’andamento combinato dei processi di immigrazione di manodopera poco formata e l’emigrazione di giovani con alta formazione ci conduce ad un drastico impoverimento del ‘capitale umano’ nazionale.

E, come tutte le analisi economiche, anche quelle più ‘mainstream’ sanno: una volta che hai perduto il capitale umano e la capacità di formarlo, beh, sostanzialmente sei spacciato.

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