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“Tornare alla crescita” di Pierluigi Ciocca

di Luca Picotti

Recensione a: Pierluigi Ciocca, Tornare alla crescita. Perché l’economia italiana è in crisi e cosa fare per rifondarla, Donzelli Editore, Roma 2018, pagine 224, 19 euro (scheda libro)

I presupposti, geografici e politici, che stanno alla base della struttura economica italiana sono la carenza di risorse naturali, l’alta densità della popolazione e la frammentazione sia orografica che politica, con mercati spesso segmentati e poco interconnessi a causa del deficit infrastrutturale.

Nonostante questi limiti intrinseci di ordine sistemico, la storia economica dell’Italia unita presenta successi di enorme rilievo: nei 150 anni dall’Unità il PIL pro capite è aumentato di 13 volte, contro una media dell’Europa occidentale di 10; nel 1861 la speranza di vita alla nascita era di 30 anni, oggi gli italiani sono tra i più longevi al mondo con una speranza di vita che va ben oltre gli 80 anni; lo Human Development Index, un indice compreso tra lo 0 e l’1 che comprende reddito, salute e istruzione, è passato dallo 0,19 del 1870 allo 0,94 di oggi.

In particolare, vi sono stati due periodi di grande accelerazione e sviluppo, caratterizzati da dinamismo imprenditoriale, apertura internazionale, incrementi di produttività e da salari in ascesa: l’età giolittiana (1900-1913) e gli anni del cosiddetto miracolo economico (1950-1969). L’opposto è accaduto in tre fasi, l’età di Crispi, quella di Mussolini e gli ultimi venticinque anni.

«La realtà vera è che l’Italia non produce più di quanto produceva quindici anni fa; la disoccupazione, non solo quella dei cosiddetti giovani, è alta, il lavoro mal pagato, precario; la povertà si estende; l’evasione fiscale impazza; il debito pubblico spaventa i mercati; la questione meridionale si è incrudita; la produttività delle imprese ristagna. La cultura, le istituzioni, la politica, la società civile stentano a scuotersi, a fare fronte» (p.4). Con queste parole Pierluigi Ciocca, economista e già membro del direttorio della Banca d’Italia, descrive lo stato di salute attuale dell’economia italiana nel suo ultimo libro Tornare alla crescita. Perché l’economia italiana è in crisi e cosa fare per rifondarla edito da Donzelli. Il volume, una raccolta di scritti dell’Autore variamente datati, analizza a fondo le cause che stanno dietro al lento declino italiano degli ultimi venticinque anni e propone alcune ricette per affrontarlo, da una maggiore focalizzazione sugli investimenti pubblici alla necessità di una diversa politica europea.

Ciocca innanzitutto concentra l’analisi, attraverso un importante utilizzo dei dati, sugli anni Novanta, una sorta di spartiacque sul quale è necessario porgere l’attenzione per comprendere il trend negativo imboccato dall’Italia. Se la crescita del prodotto interno lordo era in media del 6% negli anni del miracolo economico, del 3,6% negli anni Settanta e del 2,4% negli anni Ottanta, con gli anni Novanta la cifra si abbassa ulteriormente all’1,4%. Nel reddito pro capite, scrive Ciocca, fatta 100 la media d’Europa, l’Italia era a 105 nel 1991, a 99 nel 2000. Il tasso medio di disoccupazione degli anni Novanta è stato del 10,6%, due punti in più rispetto al decennio precedente, mentre la produttività industriale risultava accresciuta, alla fine del 1999, solo del 7%, contro il 10-12% di Francia e Germania.

L’economista, a differenza di una letteratura sul tema più eterodossa, non attribuisce questo declino alla progressiva perdita della possibilità di attuare svalutazioni competitive – prima con il sistema dei cambi fissi, dal quale l’Italia è dovuta uscire nel 1992 per poi rientrare nel 1996, e poi definitivamente con la moneta unica – anzi, l’Autore si dimostra critico verso la sottovalutazione del cambio e l’eccessiva spesa pubblica della prima repubblica. I problemi concernono invece, come sottolinea, la finanza pubblica instabile, con la conseguente pressione dei mercati e sfiducia delle imprese, la bassa predisposizione all’innovazione e la pressoché stagnante produttività. Oltre alle occasioni mancate degli anni Ottanta, ovvero la non avvenuta sostituzione dell’«economia mista» con un’«economia di mercato con regole», la critica dell’Autore va a colpire anche il «facile profitto» delle imprese dopo la svalutazione del 1992, assicurato dal cambio debole, dai salari contenuti e dai vari sussidi statali.

In sintesi, Ciocca descrive gli anni Novanta come un decennio in cui l’economia è rimasta stagnante e la svalutazione del 1992 ha permesso alle aziende di conseguire ingenti profitti sfruttando la debolezza del cambio anziché l’incremento della produttività; più in generale, con un’economia che andava globalizzandosi, in quel decennio l’Italia non si è attrezzata dinanzi ai mutamenti in corso, lasciando inalterati gli squilibri strutturali che più la danneggiavano, in primis il debito pubblico e gli scarsi investimenti in infrastrutture materiali e immateriali.

 

Dalla Grande crisi ad oggi: come tornare a crescere?

Al declino che abbiamo appena trattato nei suoi aspetti essenziali, si è aggiunto il trauma della Grande crisi, impossibile da trascurare se si vuole comprendere appieno la fragilità dell’Italia di oggi: «Fra il terzo trimestre del 2007 e il secondo trimestre del 2009 il PIL si è contratto quasi del 7%. Dall’aprile del 2008 al marzo del 2009 la produzione manifatturiera è precipitata del 27%. Flessioni simili in Italia non si erano mai viste nemmeno nel 1929-1932 […] L’economia sperimentava poi un nuovo regresso – dei consumi in particolare – con il PIL sceso quasi del 6% fra il secondo trimestre del 2011 e il terzo trimestre del 2013 e del 4,5% nel biennio 2012-2013. Il risultato italiano era, ancora una volta, pessimo nel confronto con le maggiori economie» (p.74).

L’Italia, dagli anni Novanta già stagnante e in procinto di finire in fondo alla classifica europea, ha sofferto la crisi più degli altri paesi, uscendone a partire dal 2015 con il freno a mano tirato e senza che fossero stati affrontati i nodi strutturali più gravi. Tra questi, la produttività, alla quale l’Autore dedica numerose pagine, ritenendola prioritaria – assieme agli investimenti pubblici – per tornare a crescere.

Tra il 1992 e il 2012 nell’industria manifatturiera la produttività del lavoro è scesa dall’84 al 63% rispetto ai livelli della Germania. Al problema della sclerosi dimensionale – la difficoltà delle imprese italiane ad ingrandirsi – si aggiunge quello riguardante i pochi investimenti, sia privati che pubblici in ricerca e sviluppo. Rispetto agli altri paesi, l’Italia «ha dedicato meno addetti all’attività di ricerca; ha registrato meno brevetti; ha speso meno in istruzione (in percentuale del PIL); ha speso meno in R&S (sempre in percentuale del PIL; ha speso meno in ICT (in percentuale degli investimenti)» (p.110). Vi è poi il limite esterno della carenza infrastrutturale (reti, comunicazioni, trasporti, tutela del territorio): gli investimenti fissi in opere pubbliche si sono progressivamente ridotti, dal 3% del PIL negli anni Ottanta al 2%, nonostante la fondamentale importanza che questi rivestono, con il loro elevato moltiplicatore e con la spinta che possono dare alla domanda soprattutto nelle fasi di ristagno.

Il declino italiano, scrive l’economista, non è colpa dell’euro: le ragioni della mancata crescita sono tutte interne al paese e alla base vi è il mediocre andamento della produttività, riconducibile ad una cornice negativa caratterizzata da una finanza pubblica squilibrata, da infrastrutture fisiche e giuridiche inadeguate, da stimoli concorrenziali insufficienti e da limiti dimensionali e di imprenditorialità.

Ciocca propone, nelle ultime pagine, sette linee d’intervento per portare l’Italia fuori dalle sabbie mobili in cui si dibatte da venticinque anni. Con estrema sintesi:

  • Riequilibrio del bilancio: bisogna raggiungere il pareggio di bilancio per diminuire il rapporto debito-PIL, attraverso un taglio dei trasferimenti a imprese ed enti vari ed un recupero (lo si dice da anni) dell’evasione.
  • Investimenti pubblici: «Investimenti pubblici scelti secondo priorità ed efficacemente realizzati avrebbero un impatto moltiplicativo sulla domanda globale almeno doppio di quelli generati da maggiori spese correnti, trasferimenti alle famiglie e sgravi alle imprese» (pp.199-200).
  • Nuovo diritto dell’economia: è necessario riformare il diritto commerciale e snellire i contenziosi civili, in modo da predisporre una cornice giuridica all’altezza delle sfide economiche.
  • Profitto da produttività: bisogna concentrarsi sulla concorrenza attraverso le innovazioni, in modo che i profitti siano il risultato di un’accresciuta produttività, e non di una rendita da monopolio o da sottovalutazione del cambio.
  • Perequazione distributiva: al di là del profilo morale, Ciocca afferma, sulla scia di Stiglitz e molti altri economisti, che un’elevata disuguaglianza danneggia la crescita economica.
  • Una strategia per il Sud: l’investimento in infrastrutture, materiali e immateriali, è per il Sud fondamentale. Quanto auspicato nei punti precedenti, scrive l’Autore, va rivolto prioritariamente al Meridione.
  • Una diversa politica europea: è necessario che l’Europa disponga di una banca centrale come la Fed, più che come la Bundesbank. Inoltre, sostiene Ciocca, va ammessa la golden rule per gli investimenti[1].

Il volume di Ciocca rappresenta un ottimo contributo all’interno della letteratura sull’economia italiana. Alcune tesi – come la valutazione del quadro europeo e del ruolo che esso ha giocato in relazione allo sviluppo italiano, nonché  la necessità di raggiungere il pareggio di bilancio – potrebbero essere oggetto di dibattito, ma nel complesso la ricchezza di dati e la lucidità dell’esposizione rendono queste pagine preziose. Uno dei meriti principali del libro, a parere di chi scrive, sta nella sottolineatura dell’importanza degli investimenti pubblici per la crescita economica.

Investimenti pubblici e aumento della produttività attraverso l’innovazione appaiono elementi fondamentali di una strada che l’Italia, sempre più prigioniera di una politica rivolta esclusivamente al breve termine, dovrebbe intraprendere per uscire da una lunga fase di crisi e difficoltà economiche.


Note
[1] Non manca, ovviamente, la critica di Ciocca al surplus della Germania e, più in generale, alle sue politiche mercantilistiche, di cui non si riesce a trattare in questa sede.

Comments

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Vincesko
Tuesday, 19 February 2019 00:15
Quoting Giorgio Monestarolo:
Stando alle considerazione di Ciocca esso deve avvenire attraverso tasse e tagli (più alle imprese che al pubblico). Mi sembra una via tentata con Monti che ha portato il paese in una nuova drammatica recessione.


Anche tu sei una dei 60 milioni di vittime della potentissima DISINFORMAZIONE berlusconiana-tremontiana-leghista.

Riepilogo delle manovre correttive (importi cumulati XVI legislatura):
- governo Berlusconi-Tremonti 266,3 mld (80,8%);
- governo Monti 63,2 mld (19,2%);
Totale 329,5 mld (100,0%).
https://www.amazon.it/dp/B07L3B5N5M.

Detto sinteticamente in linguaggio calcistico, Berlusconi ha battuto Monti 4 a 1, anche per l'iniquità, anzi di più.
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Giorgio Monestarolo
Sunday, 17 February 2019 19:33
Ciocca è un lucido osservatore della società italiana. Detto questo, il problema del pareggio del bilancio è il punto decisivo. Stando alle considerazione di Ciocca esso deve avvenire attraverso tasse e tagli (più alle imprese che al pubblico). Mi sembra una via tentata con Monti che ha portato il paese in una nuova drammatica recessione. La soluzione alternativa sarebbe quella di un new deal, con lo scorporo della spesa ininvestimenti dal conteggio del deficit. Solo dopo uno shock consistente e un aumento condierevole del Pil si potrebbe cominciare a rientrare dal deficit. Ce lo permetterebbero gli amici tedeschi? Ho seri dubbi. In altri termini, il problema non è solo economico ma anche politico, e, non cosa da poco, ambientale. Per questo la crisi perdura e si allarga.
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