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gliocchidellaguerra

Quell’intrigo fra Italia e Stati Uniti prima della visita di Xi Jinping

di Lorenzo Vita

La visita del presidente Xi Jinping in Italia è stata preceduta da una tempeste mediatica e politica forse senza precedenti. Ma adesso, il viaggio di Xi è diventato realtà. E il principe rosso, o forse l’imperatore, è sbarcato a Roma ed è pronto a una serie di incontri di fondamentale importanza non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista squisitamente politico.

Un viaggio che spaccato il governo ma che ha soprattutto fatto tremare molti dall’altra parte dell’oceano Atlantico e nell’Unione europea. La Cina entra nel cuore dell’Europa non più da Paesi piccoli e periferici né attraverso accordi di natura commerciale. Pechino, questa volta, ha fatto le cose in grande. E ha puntato tutto sul governo italiano per siglare un accordo magari annacquato – specie dopo i forti richiami della Nato, degli Stati Uniti e dell’Unione europea – ma sicuramente utile a dare un segnale politico di rande spessore. La Cina ora è in Europa: e ha fatto il suo ingresso da una delle porte principali. Non solo dal Mediterraneo centrale, ma anche dalla terza potenza europea e da uno dei bastioni dell’Alleanza atlantica.

È soprattutto per questo motivo che Oltreoceano hanno a subito iniziato a fare pressioni affinché questo viaggio saltasse o che, nella peggiore delle ipotesi, l’accordo non toccasse alcuni punti essenziali della strategia atlantica per l’Italia.

Pressioni che hanno coinvolto soprattutto l’amministrazione Trump, consapevole dei rischi d’immagine, oltre che strategici, di uno Xi che firma con i leader alleati un accordo che formalizzi l’adesione all’iniziativa della Nuova Via della Seta.

La guerra della diplomazia è così iniziata non appena i servizi americani hanno capito che tra Italia e Cina fosse in atto qualcosa in più di semplici accordi commerciali. Come racconta Dagospia, le fonti interne a Palazzo Chigi rivelano che quello del governo giallo-verde è stato un approccio tutto sommato sbagliato fino alle settimane immediatamente precedenti la visita di Xi. L’idea è che il governo abbia di fatto lasciato carta bianca al sottosegretario Michele Geraci (formalmente in quota Lega ma vicino sia al Carroccio che al Movimento 5 Stelle) per poi rendersi conto, dopo le pressioni americane e atlantiche, che fosse necessaria una decisiva marcia indietro. Almeno su alcuni punti che Washington e Bruxelles (ma anche l’intelligence italiana) consideravamo di natura strategica.

I richiami di Washington, fatti soprattutto attraverso l’ambasciatore Lewis Eisenberg ma anche attraverso i funzionari del Consiglio di Sicurezza nazionale, sono serviti a mitigare il Memorandum of Understanding approvato dai delegati italiani che hanno lavorato all’accordo con Pechino. Un’intesa di cui però non tutti erano pienamente a conoscenza, a tal punto che, specie in quota Lega, più di un rappresentanti di alto profilo a iniziato a storcere il naso. Il partito di Matteo Salvini ha nelle sue file Geraci, ma solo formalmente. Il sottosegretario di fatto ha una linea diversa da quella del resto del partito. E, come spiegano fonti della Lega, pur avendo un ottimo rapporto con Salvini, non sembra godere di piena fiducia nell’ala filo-occidentale del partito. Che è poi la stessa parte che trova invece in Trump l’interlocutore privilegiato.

La diplomazia parallela si è così concentrata in due poli: chi, come Geraci, ha sostenuto l’intesa con la Cina e chi, specie nella Lega (in primis i sottosegretari Giancarlo Giorgetti e Guglielmo Picchi), ha invece da subito chiesto un approccio molto più soft, consapevoli dei rischi che comporterebbe l’irritazione dell’amministrazione Usa. Secondo Dagospia, l’ambasciatore Usa Eisenberg ha trovato sponde non solo in Giorgetti ma anche in Giovanni Tria. Sono stati loro due i interlocutori politici per frenare i desiderata di Geraci. Mentre da un punto di vista istituzionale, ad ascoltare le preoccupazioni di intelligence, Nato e Ue è stato soprattutto Sergio Mattarella, che ha però sempre avuto come obiettivo quello di arrivare in ogni caso alla conclusione di un accordo con la Cina.

Mentre per Salvini potrebbe esserci una ricompensa estremamente utile: sostegno alle elezioni europee e viaggio negli Stati Uniti con incontri ai massimi livelli dell’amministrazione americana per confermare il sostegno Usa al suo partito. E anche l’assenza dello stesso leader della lega durante gli incontri con il presidente cinese è stato visto da molti come un segnale di un distacco anche fisico dal memorandum Italia-Cina. La Lega, pur rimanendo fedele all’agenda di governo, di fatto prende le distanze da un accordo che può cambiare le relazioni internazionali.

 

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