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Bankitalia e l'irreversibile divorzio fra liberalismo e democrazia

di Carlo Formenti

“L’insofferenza verso le autorità indipendenti è il peccato mortale di ogni populismo. La dimostrazione plastica che lo Stato di diritto va stretto a chi vorrebbe trasformare il consenso in legittimità”. Questo l’incipit del fondo di Ferruccio de Bortoli sul “Corriere” del 30 marzo. Si parla, naturalmente, del peccato di lesa maestà commesso dal governo gialloverde che si è permesso di istituire una commissione d’inchiesta sulle banche in violazione del “sacro” ed esclusivo diritto della Banca d’Italia di mettere il naso negli affari sporchi dei nostri istituti di credito. Peccato che ha turbato i sonni del Quirinale, visto che apprendiamo che Mattarella si è concesso un mese di riflessioni (ho la sensazione che i problemi reali delle masse popolari gli sottraggano meno tempo…) prima di firmare il documento che istituisce la commissione di cui sopra, un atto che ha compiuto obtorto collo e a condizione che non sia il preludio di un “processo al sistema bancario”.

Niente di nuovo sotto il sole: le preoccupazioni di Mattarella sono le stesse che hanno fatto sì che, dopo l’esplosione della bolla finanziaria del 2008, tutti i governi delle grandi potenze economiche si siano precipitati a salvare (a spese dei propri cittadini) le banche dal disastro che loro stesse avevano provocato, guardandosi bene dal chiamarne i vertici a rispondere civilmente e penalmente dei reati commessi.

Il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, erede di quella dinastia dei Carli, Ciampi e compagnia cantante che, a partire dagli anni Ottanta/Novanta del secolo scorso, ha gestito il processo di spoliticizzazione della nostra banca centrale (cioè la sua autonomizzazione da qualsiasi controllo e ingerenza governativa, preludio all’espropriazione della nostra sovranità monetaria da parte delle istituzioni europee e alla consegna del nostro debito pubblico nella mani della finanza privata), ribadisce il punto dichiarando: “In base ai trattati sottoscritti dall’Italia e dagli altri Paesi membri della Ue i componenti dei suoi organi non possono sollecitare o accettare istruzioni né da organismi pubblici, nazionali o europei, né da soggetti privati” (dichiarazioni riportate in altra pagina del “Corriere”). Si comincia con l’istituzione di un’apparentemente inoffensiva commissione d’inchiesta, chiosano i solerti commentatori economici, per finire – Dio non voglia! – coll’accampare pretese di controllo politico sul credito, se non addirittura (e qui la mano del giornalista economico trema per l’orrore) di nazionalizzazione della stessa Bankitalia!

Il giorno dopo – 31 marzo – Il “Corriere” riferisce di un secondo round della vicenda: alcuni esponenti del governo gialloverde sembrerebbero voler sollevare la questione della titolarità delle riserve auree di Bankitalia: non è giusto che quell’oro sia attribuito allo Stato e utilizzato per soddisfare le esigenze dei cittadini italiani? Non sia mai, insorge il Pd (sempre più smaccatamente espressione delle lobby finanziarie) la titolarità è di Bankitalia e non si tocca! E Visco ribadisce: “I partecipanti al capitale della Banca d’Italia - cioè tutti noi, in ultima istanza! - non hanno alcun diritto sulle riserve auree e valutarie della Banca d’Italia, la cui detenzione e gestione costituisce uno dei compiti fondamentali assegnati alle banche centrali dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea”.

Più chiaro di così: l’autonomia e l’indipendenza di Bankitalia, principio passato con la connivenza delle imbelli sinistre post comuniste di fine Novecento, non ha altro significato che la rinuncia del nostro Paese a qualsiasi autonomia in materia di politica economica, ora delegata alle élite eurocratiche, equivale cioè a un processo di spoliticizzazione (e dunque di de democratizzazione) di decisioni strategiche che mentre in precedenza spettavano alla comunità nazionale e alle sue istituzioni politiche, vengono ora demandate ai “tecnici”.

Sulla vocazione di Mattarella e del Pd a difendere gli interessi delle banche non sussistevano dubbi; quanto a Visco fa il suo mestiere di funzionario delle lobby finanziarie; le parole di de Bortoli citate in apertura di articolo meritano invece un approfondimento. Nella visione liberal democratica che in esse si rispecchia (liberale assai più che democratica), lo Stato di diritto si riduce al rispetto di determinate procedure formali: l’indipendenza e l’autonomia di Bankitalia sono state approvate con decisioni rispettose delle regole formali? Lo stesso dicasi per l’approvazione dei Trattati europei? La nostra Costituzione è stata sconciata – sempre rispettando le corrette procedure - con l’introduzione di quell’articolo 81 che è in stridente contraddizione con gli altri principi fondamentali della nostra Carta?

Ebbene allora questo è lo Stato di diritto cui spetta il monopolio esclusivo della legittimità, se poi c’è chi pretende di cambiare lo stato delle cose “trasformando il consenso in legittimità” (che fino a prova contraria è esattamente ciò che caratterizza la democrazia), allora siamo di fronte a un tentativo di sovversione “populista”. Ecco “la dimostrazione plastica” – per usare le sue stesse parole – della fondatezza delle tesi di chi, come Colin Crouch, Wolfgang Streeck e altri – ritiene che ci troviamo di fronte all’irreversibile divorzio fra liberalismo e democrazia.

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