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Djordje Kuzmanovic, “République souveraine”

di Alessandro Visalli

E’ stato presentato in Francia il nuovo movimento di Djordje Kuzmanovic e degli altri fuoriusciti da France Insoumiseperché in dissenso dalla linea presa per le europee. Ovvero per l'aprirsi della frattura di cui parla Michéa[1] tra un approccio neo-socialista ed uno di “sinistra”, dove per il primo termine sono rintracciabili, come vedremo, anche toni neo-giacobini in linea con la tradizione delle forze popolari francesi e la loro storia che erano propri della posizione presa da Mélenchon alle elezioni presidenziali e politiche e poi in qualche misura abbandonati. Il movimento non intende presentarsi alle imminenti elezioni europee.

A novembre l’ex Consigliere per gli affari internazionali di France Insoumise si dimise da ogni incarico e lasciò il movimento dopo la sua esclusione dalle liste dei candidati alle elezioni europee. Questo era solo l’ultimo atto di mesi di aspro confronto interno tra la linea volta alla difesa della sovranità nazionale come strumento della lotta di classe, di Kuzmanovic, e le più tradizionali linee volte all’intersezionalità delle lotte identitarie proprie delle sinistre comunque raggruppate nel movimento e/o alleate dall’esterno. Ne avevamo parlato in un post: si è trattato di una divergenza sia di linea politica sia di modello organizzativo[2]. La prima si era divaricata a partire dai toni sull’immigrazione e dalla difesa dell’operazione compiuta in Germania da Sahra Wagenknecht, e dallo scontro con un’altra importante esponente del movimento: la Autain.

Uno dei punti nei quali il conflitto si è organizzato è la tendenza di Kuzmanovic e del suo gruppo a considerare la questione economica, della distribuzione e quindi della differenza di classe, come prioritaria e incorporante le altre. Gerarchia tra le lotte che è rigettata dalle posizioni che vedono, in linea con la prevalente opinione della sinistra post-riflusso, unica possibile agibilità nel montaggio di focolai di lotta eterogenei, e reciprocamente non coerentizzati, preesistenti. Ma è anche questione, probabilmente soprattutto, di insediamento sociale, prima che di cultura politica. La proposta era di andare a recuperare un rapporto con le classi popolari, e le periferie, ricostruendo un’agenda sensibile alle loro priorità.

Nel contesto della mobilitazione, che si trasforma ma non cessa, dei “gilet gialli”, che è movimento della Francia periferica e delle classi medie indebolite e parla delle sensibilità che Kuzmanovic cercava di risensibilizzare, la rottura con quei temi è particolarmente rilevante.

La tesi era di tentare di lavorare ad un’aggregazione molto più ampia, contendendo lo spazio alle destre populiste di Le Pen, ma ben al di là della sinistra. Un’aggregazione sul modello del “Consiglio Nazionale della Resistenza”, ovvero il movimento organizzato da Charles De Gaulle per opporsi alla occupazione nazista (un riferimento, come si vede, forte).

Vediamo, però, alcuni punti del programma:

1- La sovranità come mezzo. Il “Movimento della Repubblica Sovrana” ha come obiettivo quello di dare alla Francia la capacità ed i mezzi per attuare le politiche che sceglierà; la sovranità si deve affermare quindi nei confronti delle minacce esterne (i trattati transnazionali o le istanze “senza legittimità democratica”) ed interne (gli interessi particolari, “economici o comunitari”). La sovranità, continua, “non è né un obiettivo in sé né un feticcio, ma la condizione essenziale per dare vita a un programma sociale, democratico, laico, ecologico e repubblicano”. L'indipendenza è finalizzata a rendere possibili le politiche sociali per ridurre le disuguaglianze, per dare una vita decente a tutti quelli che lavorano, per frenare la disoccupazione e ripristinare l'autorità repubblicana. Le misure nel campo della salute, del diritto del lavoro, della politica industriale o della protezione sociale possono infatti essere realizzate solo se la Francia diventa di nuovo uno Stato Sovrano. All'interno dell’Unione Europea un programma che contenga le medesime cose “è solo un pio desiderio, se non una menzogna”. La sovranità è anche un prerequisito per politiche necessarie in settori come la sicurezza, l'immigrazione, l'integrazione, il secolarismo o l'educazione. Anche ecologia e pianificazione hanno bisogno del prerequisito della sovranità. L'ecologia è, in particolare, la prima priorità nazionale assoluta. La pianificazione deve abbracciare tutte le aree, “ogni parte del programma deve essere valutata in relazione all'altra, da cui dipende e che rende possibile”.

2- L’Unione Europea come camicia di forza. Si tratta di un quadro non democratico e irriformabile che va sostituito con “un progetto di collaborazione interstatale alternativo”. Per liberarsi di questa condizione bisogna denunciare il Trattato di Lisbona, introdurre misure prudenziali e protettive dai flussi di capitale, affermare la superiorità della Costituzione Francese su quella Europea, far cessare l’indipendenza della Banca di Francia, organizzare un referendum sul Trattato di Maastricht con proposta di lasciarlo, avviare da ultimo negoziati con gli altri Stati per negoziare un nuovo Trattato tra paesi simili, rispettando l’autonomia nazionale di ciascuno, creando la libera circolazione di uomini e merci ma non di capitale finanziario.

3- Altri punti di forza:

- ricostruire la scuola,

- rifare la repubblica,

- rivivere la democrazia,

- regolare l'economia,

- affrontare l'emergenza ecologica,

- guidare la lotta per la giustizia fiscale,

- rendere la salute un diritto inalienabile,

- rifondare il modello sociale francese

Qualche mese fa, dallo scontro tra Kuzmanovic e Autain era parso di vedere la divergenza tra:

Questa impressione è rafforzata dall’analisi di un programma nel quale solo l’ambientalismo è valorizzato come lotta sistemica da perseguire; ed in cui tutte le altre attenzioni centrali delle sinistre radicali, l’anti-razzismo, il femminismo, le lotte LGBT, non sono enfatizzare.

E’ evidente che il movimento cerca di parlare ad altri.

Bisognerà vedere se riesce a farsi ascoltare.


Note
[1] - Jean-Claude Michéa, “I misteri della sinistra. Dall’ideale illuminista al trionfo del capitalismo assoluto”. La tesi di Michéa è molto semplice e facile da concedere: il socialismo non è il liberalesimo. Cioè storicamente il termine “sinistra”, nella Francia di cui parla, intendeva il liberalismo radicale di provenienza rivoluzionaria, più o meno passato al setaccio dei movimenti ('20, '30, '48) dell'ottocento. Da un certo punto in poi, ben dopo Marx, liberalesimo più o meno radicale e socialismo diventano alleati contro nemici comuni (la reazione ed il tradizionalismo), in sostanza dall'epoca dello “affaire Dreyfus”, ma non coincidono mai. Occorre anche considerare che la destra, contro la quale si saldò l’alleanza tra liberali e socialisti, è oggi cambiata. Nel primo ottocento e poi via via in modo sempre più residuale, essa era organizzata dalla difesa delle strutture semifeudali dell’antico regime, ma da allora si è vestita di altre vesti. Possono ad una prima impressione sembrare quelle degli “alleati”, di qui la confusione in chi viene dalla tradizione socialista: essa si affida oggi al mito del progresso, rappresentato dalla crescita economica illimitata e auto programmata, alle pratiche proprie delle forme più rapaci di individualismo.
[2] - Per questo secondo aspetto segnalo questo intervento di Lenny Benbara “La France Insoumise, dal partito al movimento”.
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