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vocidallestero

Salvini prepara l’Italia allo scontro con l’UE

di Tom Luongo

Tom Luongo spiega su Strategic Culture la strategia che intravede nelle mosse del governo italiano. Salvini punta a ottenere un successo alle elezioni europee unendo tutti gli euroscettici sotto la stessa bandiera, per poi sfidare Bruxelles: o cambia o l’Italia se ne va, forte delle sue riserve d’oro, nel frattempo messe al sicuro

Al momento, l’italiano Matteo Salvini naviga a gonfie vele. Dopo avere mandato all’aria un paio di pretestuose azioni legali volte a pregiudicare il suo assalto al Parlamento Europeo del prossimo maggio, Salvini lavora per galvanizzare l’euroscetticismo in tutto il continente, per farne una forza politica rilevante.

Non si tratta di un lavoro facile.

Ma ha perlomeno due importanti alleati. Marine Le Pen del National Rally francese e Viktor Orban, leader ungherese. Salvini e Le Pen si sono incontrati la scorsa settimana per annunciare che faranno campagna elettorale congiunta per le elezioni europee, e per annunciare un grande incontro imminente a Milano.

Tuttavia, questo è solo l’inizio.

Ormai da un anno sostengo che Salvini dovrà essere la persona che pone le basi per una rivolta totale contro l’Unione europea e la partecipazione dell’Italia all’Eurozona.

Il suo partito, la Lega, è aumentato a dismisura nei sondaggi, ribaltando la dinamica con il partner di coalizione, il Movimento Cinque Stelle. Si tratta di una coalizione che spaventa l’establishment politico in Europa, perché non è formata dalla consueta falsa opposizione tra destra e sinistra.
È una coalizione populista con l’obiettivo comune di ribaltare il sistema corrotto e corporativo che molti governi occidentali rappresentano.

Da quando è arrivata al potere, lo scorso anno, ci sono stati numerosi tentativi di seminare zizzania tra questi compagni di strada apparentemente mal assortiti. Sono tutti falliti. In parte, questo è dovuto alla popolarità crescente della Lega e di Salvini.

Essendo sopravvissuti fino a questo punto e avendo spaventato la Ue diverse volte con “richieste provocatorie” in stile Trump sul bilancio e sulle riforme dell’immigrazione, Salvini e il suo partner populista Luigi di Maio guardano alle elezioni del Parlamento europeo come al primo test importante per il loro governo.

Riuscire a mettere insieme gruppi di tutta Europa che si accordano su una piattaforma comune per sfidare l’asse di potere franco-tedesco, li metterebbe in una buona posizione nella seconda metà del 2019 per spingere la situazione ancora più in là, specialmente per quello che riguarda la folle situazione fiscale italiana.

Mi sono reso conto da un po’ che Salvini ha due caratteristiche. È sia radicale che metodico. Non sta alimentando un fuoco di paglia di gloria. Sta costruendo la sua strategia contro la Ue lentamente, permettendo alla storia di spingere nella sua direzione.

È rimasto defilato dal disastro della Brexit, anche se sa di avere il potere di fermare il tradimento del voto e forzare il divorzio. Ma anziché farlo, è meglio lasciare che il processo prosegua da solo e che riveli interamente la sua dura verità, mentre lui prende nota e si organizza per il prossimo attacco alla Ue.

Se gli euroscettici vanno oltre gli attuali sondaggi che li vedono intorno al 30-32% dei seggi e Salvini riesce a trascinarli sotto un’unica bandiera, facendoli diventare il più grande partito del Parlamento europeo, allora manderebbe il giusto messaggio alla sua Italia.

C’è qualcosa di grosso che bolle in pentola tra Salvini e Di Maio. In primo luogo, hanno firmato l’iniziativa cinese Belt and Road, il cui secondo incontro importante si terrà alla fine di questo mese. La cosa ha fatto arrabbiare sia Trump che Angela Merkel.

Tutto in un solo giorno di lavoro.

Ma la novità più grande, secondo me, è il Parlamento italiano che spinge per riprendersi le riserve d’oro della nazione dalla Banca d’Italia. Ci sono due leggi in previsione:

la prima, darebbe ordine agli azionisti della banca centrale, in gran parte banche private, di vendere le loro azioni al Tesoro Italiano ai prezzi del 1930.

L’altra legge dichiarerebbe il popolo italiano proprietario delle riserve della Banca d’Italia, pari a 2.451,8 tonnellate d’oro, che valgono circa 102 miliardi di dollari ai prezzi attuali.

Gli azionisti della Banca d’Italia sono per lo più le banche commerciali italiane che ora sono insolventi, o a rischio di insolvenza, a causa delle regole bancarie Ue. Ciò le mette a rischio di vedere i propri depositanti espropriati e le banche ristrutturate forzatamente in una notte da parte della Banca centrale europea.

Non mi credete? Andate a vedere cosa è successo al Banco Popular spagnolo nel 2017. Venne ceduto a Santander per un dollaro dopo che la BCE lo aveva dichiarato insolvente. Nel giro di un weekend vennero azzerati gli azionisti e tutto continuò come se non fosse successo nulla.

Eppure è successo, e questo non ha certo rassicurato gli investitori che ci sia anche solo una minima speranza di riavere indietro i soldi investiti in una banca europea se la BCE può permettersi di agire così. In un certo senso, perché pensate sia così difficile per Deutsche Bank trovare il capitale necessario (da 6 a 10 miliardi di dollari) per fondersi con l’ugualmente insolvente Commerzbank?

Se doveste scegliere tra Deutsche e J.P. Morgan Chase, ora, cosa fareste? Il sistema bancario Usa sarà corrotto, ma non abbastanza stupido da buttare via l’unica cosa che assicura il flusso di capitali esteri in cerca di un “porto sicuro”, il fatto che gli investitori vengono per primi.

Chase potrà non piacermi, ma scommetterei su di lei e non su Deutsche tutti i giorni della settimana, e specialmente la domenica pomeriggio, quando Mario Draghi va in scena.

Se queste banche italiane vengono trattate in maniera analoga al Banco Popular dalla BCE, potremmo facilmente vedere la loro proprietà trasferita ai creditori e quindi, per estensione, il controllo della Banca d’Italia.

Ecco che cosa si intende quando si parla di minare la sovranità nazionale!

E qual è l’unica cosa di valore nel bilancio di Banca d’Italia? L’oro.

La spinta di Salvini e Di Maio sulla Banca d’Italia perché ceda l’oro al governo è una maniera di assicurarsi che le riserve auree italiane rimangano al sicuro e disponibili a garantire una nuova versione della Lira, se le cose dovessero arrivare a questo punto.

Come nelle negoziazioni per la Brexit l’opzione nucleare, un divorzio completo, deve essere una minaccia credibile, ossia una Brexit senza accordo e un ritiro unilaterale dall’euro.

Questa minaccia degli italiani bolle in pentola da un po’, e ogni volta che emerge la stampa di regime ripete sempre le stesse cose. Minaccia l’indipendenza della banca centrale. L’oro potrebbe venire usato per pagare i programmi di spesa populisti. E bla, bla bla.

No, il vero rischio è che con l’oro di proprietà del popolo, il governo italiano ricominciare con una nuova moneta.

E questo è il punto fondamentale.

Quindi, prima Salvini va al Parlamento europeo con una coalizione solida per sconvolgere le procedure e minare ulteriormente la base di potere di Angela Merkel. Poi, lui e Di Maio riportano questo successo a Roma e lo usano per avviare vere riforme al sistema finanziario Ue.

E se non ottengono ciò che vogliono, se la Merkel si impunta sulla sua politica basata su una Germania che depreda l’Europa attraverso l’austerità, allora passano all’offensiva, con 2.410 tonnellate d’oro in saccoccia. Sarebbe una partita vincente se l’economia europea dovesse ulteriormente implodere.

La Germania non è nella posizione di ingaggiare una battaglia dura, ora che la sua economia sta rapidamente sprofondando nella recessione.

Anche un piccolo shock a questo punto causerebbe una fuga di massa dagli asset europei. Abbiamo appena visto un’enorme fuga verso gli asset sicuri nel mese passato.

I mercati obbligazionari europei sono a rischio di una veloce inversione alla prima occasione.

Tuttavia, per attuare la sua “rivoluzione” al Parlamento europeo, Salvini e Le Pen dovranno fare i bravi con la Polonia riguardo alla Russia, aspettando a chiedere di togliere le sanzioni, per ora. Unire gli euroscettici nelle prossime sette settimane sarà difficile. Ma Salvini ha già dimostrato flessibilità fino ad oggi, con la sua coalizione.

Cosa vi fa pensare che non sia in grado di portare la Polonia dalla sua parte?

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ernesto rossi
Tuesday, 23 April 2019 10:36
Da Mario TRONTI

lo spirito che disordina il mondo
16 novembre 2006
L’argomento di questo incontro non è certo usuale, ha
una sua buona inattualità. Ma l’inattualità è sempre una cosa
positiva, rappresenta un momento di accantonamento del
discorso di senso comune al fine di sviluppare un discorso
di senso vero. Accostare i concetti di «politica» e di «spi-
ritualità» è un’opportunità e nello stesso tempo un rischio.
La politica oggi non sembra molto incline ad assumere in
sé il tema della spiritualità e, all’opposto, la spiritualità non
appare molto motivata ad assumere lo spirito del tempo,
a sporgersi sul terreno dell’arena pubblica. Chi coltiva la
spiritualità è portato a prendere una buona distanza dalla
politica, almeno dalla politica corrente. E quindi si rischia
una separazione. La politica – si dice – è il mio impegno
nel mondo e la spiritualità è la cura del mio foro interno:
due dimensioni che rischiano di convivere senza incontrarsi.
Oggi assistiamo ad uno spettacolo curioso, quello di molti
uomini politici – o meglio alcuni, però sempre più nume-
rosi – che dichiarano pubblicamente i loro interessi per i
temi della trascendenza, della fede, e parlano di una loro
fede nascosta. Lo fanno, possiamo dirlo, con parole molto
approssimative. Ma il problema vero è che poi di tutto ciò
non si ritrova traccia nei loro comportamenti quotidiani,
nei livelli dell’azione e della decisione politica. Ecco, qui
funziona la separazione che, secondo me, richiama molto
una classica distinzione – distinzione tutta «borghese» – tra
pubblico e privato. In passato era in voga, in alcuni pezzi di
ceto politico, la contrapposizione tra virtù pubbliche e vizi
Intervento all’incontro «Politica e Spiritualità» organizzato dalla Presi-
denza del Consiglio Provinciale di Roma e tenutosi il 16 novembre 2006,
successivamente pubblicato in «Adista», 6, 20 gennaio 2007, pp. 7-10,
dalla quale riportiamo la presente versione.
611privati. Oggi va di moda il rovesciamento del binomio: vizi
pubblici e virtù privata, nel senso che, di fronte alla condi-
zione non entusiasmante della politica, a volte ci si vanta, o
si è costretti a vantare, la frequentazione di un retroterra di
rispetto, di dignità.
Devo però avvertire che con i termini «politica» e «spi-
ritualità» non si vuole intendere «politica» e «religione»:
nel caso della seconda coppia concettuale abbiamo a che
fare con un ambito diverso di problemi, con i suoi temi
specifici, le sue difficoltà da non trascurare. Tra l’altro, oggi,
il problema del rapporto fra religione e politica è tornato
prepotentemente alla ribalta. Ed è tornato alla ribalta si-
gnificativamente «dall’alto» e «dal basso» del mondo e dei
mondi contemporanei.
Dagli Stati Uniti, per esempio, sono venute le esperien-
ze dei cosiddetti neocons, o teocons, con qualche cattiva
imitazione anche nel nostro Paese. La religione torna ad
essere – come ai vecchi tempi – un modo per tenere in or-
dine il mondo, per tenere insieme una società. La società è
composta da individui, ed uno dei mezzi per tenere insieme
questi individui separati è stato sempre il legame religioso.
La religione è qui intesa come instrumentum regni. Ecco, in
questo caso la religione si identifica con la politica e quando
– come oggi – la politica è in crisi, la prima fa supplenza nella
raccolta del consenso intorno al potere. Il legame religioso
sostituisce così il legame sociale.
Accanto alla tendenza appena esaminata c’è il bisogno
di religione che sale invece «dal basso», dal mondo degli
«esclusi», di coloro che sono ai margini della civiltà con-
temporanea. Si tratta di una ricerca di co-appartenenza a
un sentire comune capace di fare massa contro coloro che
sono considerati gli «inclusi».
Sotto questo aspetto il pericolo è che la religione, più
che instrumentum regni, diventi instrumentum belli. Del resto
sappiamo per esperienza storica che il regno e la guerra sono
andati sempre insieme.
Quando si fa riferimento al «fondamentalismo», lo si fa
seguire spesso dall’aggettivo «islamico». Ma io credo che ci
sia «fondamentalismo» dovunque c’è confusione tra religione
612e politica. Dovunque l’assoluto della verità diventa anche l’as-
soluto del potere. E, badate, questa confusione si manifesta in
tanti modi che dobbiamo analizzare bene, per essere in grado
di individuare il problema anche là dove si nasconde. Abbiamo
conosciuto nel passato l’oppressione totalitaria. Oggi siamo di
fronte a una forma di servitù volontaria che investe le nostre
società liberal-democratiche, nelle quali si chiede di dare un
libero assenso a chi comanda. Io mi sento di parlare in questa
fase di «fondamentalismo democratico»: la democrazia rischia
di diventare oggi la religione dell’occidente, come del resto
aveva profeticamente capito il genio di Tocqueville quando
aveva studiato il sorgere della democrazia in America. Ecco,
le guerre di esportazione della democrazia sono le guerre di
religione dei nostri tempi. Rifletteteci un momento e vedrete
che questa cosa si avvicina molto alla verità delle cose.
La «non sufficienza» dell’essere umano
A questo punto io credo sia necessario distinguere la
«religione» dal «religioso». Per fare questo possiamo seguire
le nobili orme di autori ormai classici come Bonhoeffer o
anche, in un certo senso, Simone Weil. L’espressione «senti-
mento religioso» secondo me non dice molto. «Sentimento»
è una parola troppo leggera per il carico che il religioso pre-
tende giustamente dall’essere umano. L’espressione «sentire
religioso» mi piace di più perché evoca una disposizione
dell’animo umano. Ci si può chiedere quindi se si tratta di
una disposizione naturale. Non lo credo.
Qualcuno, fin dall’antichità, ha parlato dell’uomo come
«animale politico»; mi pare difficile parlare dell’uomo
come «animale religioso». Tuttavia credo si possa parlare
giustamente di una «non sufficienza» dell’essere umano. La
verità è che noi non bastiamo a noi stessi, siamo degli esseri
fondamentalmente mancanti. Questo ce lo ha mostrato non
l’esperienza religiosa ma anche la migliore antropologia mo-
derna e contemporanea. Abbiamo bisogno di qualche cosa
che non possiamo darci da soli. Vi è un senso di fragilità della
condizione umana, di insufficienza della volontà che – per
613me – è un senso da conquistare. Intendo dire che per chi si
è formato nell’ambiente teorico e politico da cui provengo
io è difficile arrivare oggi alla conclusione che non tutto
nella storia è nelle nostre mani e che quindi c’è una zona
di mistero da coltivare con cura come una risorsa, di fronte
alla quale conviene fermarsi a contemplare. Dall’esperienza
che ho fatto fin qui ho capito che il pensiero – e tanto più il
pensiero a cui mi sento legato, cioè il pensiero rivoluzionario
– benché sia giustamente costituito dall’analisi, dalla ricerca,
dalla progettazione, dall’azione, deve però essere aperto anche
alla contemplazione. So che può sembrare strano dire questa
cosa, ma penso che si possa cominciare a dirla. Tuttavia non
vorrei che il mio discorso fosse frainteso. Non c’è nelle mie
parole alcuna forma di intimismo, alcun redire in se ipsum,
alcun autobiografismo, come va un po’ di moda adesso. La
mia riflessione nasce invece dall’esperienza storica. Se tiriamo
– come si suole dire – i fili del Novecento, noi – noi «movi-
mento operaio», noi «comunismo novecentesco» – eravamo
quelli che dovevano cambiare il mondo. Cambiare il mondo
per cambiare l’uomo, anche se non si è mai capito se volevamo
cambiare prima il mondo e poi l’uomo, o, viceversa, prima
l’uomo e poi il mondo. In ogni caso, non siamo riusciti a
fare né l’una né l’altra cosa. Ciò nonostante io credo che era
giusto, era sacrosanto, cercare di farlo. Era giusto l’obiettivo,
ma i mezzi erano impropri. Ecco, proprio l’insufficienza di
quei mezzi mi rimanda all’insufficienza dell’uomo: la ragione
non viene dall’interno, piuttosto dall’esterno dell’esperienza
storica. In realtà siamo stati subalterni a quell’idea di onnipo-
tenza della ragione umana che non era propria del moderno:
non accusiamo il moderno anche delle colpe che non ha. Nel
moderno c’è di tutto, c’è la via della crisi, la via del dubbio,
tanto quanto c’è la via dello sviluppo, la via del progresso.
Quell’idea dell’onnipotenza della ragione era propria della
borghesia moderna. E noi non abbiamo sottoposto a critica
il percorso dalla grande ragione rinascimentale istruita dalla
scienza alla piccola ragione strumentale comandata dalla
tecnica. Se osserviamo l’arco della modernità vediamo pro-
prio questo passaggio dalla sovranità e onnipotenza della
scienza alla sovranità e onnipotenza della tecnica con cui
614oggi abbiamo soprattutto a che fare. Tutto ciò ha provocato
e fondamentalmente stabilizzato il dominio della mentalità
borghese sulla condizione umana.
Una crescente volgarizzazione della vita
Dunque, perché parlare di spiritualità? Userò delle
frasi nette. Mi scuso con voi, ma siccome adesso si parla
in genere senza dire niente, io uso il criterio opposto, cioè
scelgo delle frasi che dicano il massimo che si possa dire. E
allora, perché la spiritualità? Perché il capitalismo ha fatto il
deserto all’interno dell’uomo. Perché il capitalismo ha reciso
le radici dell’anima all’interno della persona, e questo è un
grande motivo culturale di lotta al capitalismo. Culturale:
perché ci sono anche altri motivi di lotta, anche più seri e
più fondati. Ma questo è un motivo di lotta che non vedo
essere sollevato con efficacia da nessuna delle poche forze
anticapitalistiche rimaste.
Ci troviamo di fronte ad una crescente volgarizzazione
della vita, siamo dentro a un grandioso processo di volgariz-
zazione che nasce proprio da questo guasto che la mentalità
capitalistica ha introdotto all’interno dell’uomo. Tuttavia,
muovendoci su un piano culturale, appunto, capitalismo non
è la parola esatta. Io uso sempre questa parola perché è la
più eloquente per dire dove siamo, benché non la usi quasi
più nessuno. La usano soltanto i capitalisti. Perché? Perché
la parola capitalismo, se ci fate caso, ha perso il senso che
aveva avuto per molto tempo, il suo senso dispregiativo. Or-
mai ha soltanto un senso positivo. In questo caso comunque
non è la parola giusta, perché è meglio usare l’espressione
«mentalità borghese». Con questa intendo la declinazione
borghese della modernità, che ha come chiave, come pietra
miliare, la figura dell’individuo neutro, che poi è l’individuo
proprietario – anche proprietario di capacità di lavoro, come
ci ha insegnato Marx. Individuo libero. Libero però nel sen-
so che ha la libertà di vendere il proprio lavoro al migliore
offerente. Potremmo aggiungere oggi: quando è fortunato
di trovare un compratore.
615Dall’operaio massa al borghese massa
Marx parlava di «proletarizzazione crescente». Oggi
dovremmo rovesciare nel suo contrario quella previsione
sbagliata, perché assistiamo ad un fenomeno di «borghesiz-
zazione crescente». A noi è toccato di vivere un passaggio
paradossale, per il punto da cui eravamo partiti, ovvero il
passaggio dall’operaio massa al borghese massa. Ci troviamo
di fronte ad una composizione sociale, la famosa società dei
«due terzi», in cui la grande maggioranza tende – dall’alto e
dal basso – ad avvicinarsi al medio, al livello medio. Il piccolo
borghese ha come sua aspirazione massima quella di arrivare
ad una condizione di media borghesia; e, se ci fate caso, non
esistono più i grandi borghesi: i grandi imprenditori di oggi
se li andate a vedere da vicino sono dei borghesi medi. Lo
si evince da come si comportano, da come agiscono, anche
da come vivono nella loro esistenza quotidiana. Non solo
non abbiamo più Rathenau ma non abbiamo più nemmeno
Gianni Agnelli: abbiamo i furbetti del quartierino. Poi c’è
anche una zona di emarginazione che in occidente è mino-
ritaria, ed è maggioritaria nel resto del mondo.
È accaduto in sostanza che il bourgeois si è mangiato il
citoyen, secondo la classica definizione della duplicità dell’uo-
mo moderno, borghese e cittadino; il denaro si è mangiato
lo Stato. O, ricorrendo ad un esempio che abbiamo sotto
gli occhi tutti in questi ultimi anni, la moneta si è mangiata
l’Europa: noi non abbiamo oggi l’Europa unita, ma abbiamo
la moneta unica. Credo che tutto ciò si possa esprimere con
la seguente formula: le democrazie occidentali sono le più
perfette dittature del denaro. Le vecchie dittature noi le
individuavamo nella figura del dittatore, una figura esisten-
ziale, personale che le rendeva riconoscibili. Tutti sapevano
di vivere sotto una dittatura. La dittatura del denaro non ha
una figura personificata e quindi è difficilissima da essere
riconosciuta come tale; si vive nella dittatura del denaro
convinti di essere in una democrazia politica, questa è la
condizione in cui siamo oggi.
Ho collaborato a un piccolo testo a cura della comunità
di Bose – ci ho lavorato insieme ad Enzo Bianchi – che rac-
616coglieva i detti, soprattutto dei padri del deserto, sul denaro,
anzi contro il denaro 1 . Prendeva il titolo da un’espressione
di Giovanni Crisostomo che dice «il tuo e il mio sono fred-
de parole» 2 . Ecco, su queste cose non c’è lotta politica – e
magari ci fosse – però possiamo introdurre una forma di
battaglia culturale. Non voglio impostare il mio intervento
semplicemente da un punto di vista politico, perciò adesso
cambierò il registro del discorso. Fin qui ho tuttavia cercato
di far capire che dietro la scelta del tema, «politica e spiri-
tualità», ci sono anche queste cose.
Il mondo «di fuori», un mondo nemico
Tornando alla spiritualità. Che cos’è per me la spiritua-
lità? Hannah Arendt lo ha accennato in un passaggio che
anch’io mi sento di condividere: spiritualità è fondamental-
mente «interiorità». È il mondo interiore dell’essere umano,
declinato in forma duale, oggi, giustamente, al femminile e
al maschile, che sono due modi differenti di essere al tempo
stesso complementari e conflittuali. Questo mondo interiore
è un mondo vasto – più vasto del mondo esterno – e ten-
denzialmente infinito. Valgono qui le parole del poeta, o
della poetessa: «per quanto lontano tu possa andare, non
Segue sotto
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ernesto rossi
Tuesday, 23 April 2019 10:27
sottoponibile alla ragione strumentale. Ma infinito è anche
da intendersi come indefinito, e quindi non traducibile in
numeri, in leggi, in codici, e soprattutto non traducibile, per
fortuna, in immagini, dal momento che viviamo nella società
dell’immagine. Trovo in questa dimensione dell’essere una
1
M. Tronti, Postfazione, in Comunità di Bose (a cura di), Povertà
e condivisione nella chiesa. Antologia biblico-patristica, Magnano (BI),
Edizioni Qiqajon, 2002, pp. 89-105.
2
G. Crisostomo, Omelia sulla Prima lettera di San Paolo ai Corinzi
(cfr. Comunità di Bose (a cura di), Povertà e condivisione nella chiesa,
cit., pp. 29-33).
3
Eraclito, frammento 45; E. Dickinson, Poesie, traduzione di M.
Bacigalupo, Milano, Mondadori, 2004, p. 659.
617forte e profonda carica antagonistica nei confronti dell’attuale
organizzazione della vita e confesso che a volte mi sembra
questa l’ultima e definitiva frontiera della resistenza nei
confronti dell’aggressione proveniente dal mondo esterno.
Io infatti considero il mondo «di fuori» un mondo nemico.
Dunque bisogna stare attenti a considerare la spiritualità
come una sorta di «benessere interiore», insomma la cura
di sé per trovare l’armonia con il mondo. Oggi assistiamo
anche alla sostituzione dello psichiatra con il filosofo. Si va
dal filosofo per raccontare le proprie nevrosi interne e lui
ci fornisce le ricette per stare bene. Per non parlare della
declinazione del religioso nel senso new age che va un po’ per
la maggiore. Ecco: io contrappongo a tutto questo un’altra
cosa, molto netta: stare in pace con sé, oggi, vuol dire entrare
in guerra con il mondo.
Ora, la spiritualità ha una storia lunga. Arriva a noi da
molto lontano. Panikkar parla di quel terzo senso che è – dice
lui – come un barlume più o meno chiaro di consapevolezza
che nella vita c’è qualcosa in più di ciò che è percepito dai
sensi o inteso dalla mente. Un qualcosa di più – dice lui –
di un ordine diverso: non è un prolungamento orizzontale
verso ciò che ancora non sappiamo o che ancora non siamo,
è piuttosto un salto verticale verso un’altra dimensione della
realtà. Si pone in una direzione terra-cielo, per la quale è
necessario lo «stare eretti»; ce lo ha raccomandato il filoso-
fo novecentesco Bloch: stare eretti, che non è un semplice
modo fisico, ma è un modo spirituale di essere. Stare sulla
terra andando verso l’alto, e cioè non piegati sotto qualcosa.
Che è poi la condizione dell’essere liberi, come poi dirò a
conclusione del discorso. E tuttavia quella conflittualità della
spiritualità – perché io di questo parlo, della conflittualità
della spiritualità – credo sia possibile trovarla di più e meglio
nella nostra tradizione, la tradizione ebraico-cristiana. Il pas-
saggio dal cosmico allo storico è un passaggio che può essere
male inteso, può essere anche falsificato, ma è quello che a
me soprattutto interessa. Direi che tutto comincia dai grandi
profeti biblici (ma anche i profeti minori non scherzano). I
libri profetici, dunque, ma anche i libri sapienziali del primo
testamento. E poi i padri del deserto. Vi invito a leggere il
618testo di Enzo Bianchi, se non lo conoscete già, che si intitola
proprio Le parole della spiritualità, e ha un sottotitolo che
recita Per un lessico della vita interiore 4 . Bianchi prende le
mosse da quando, all’inizio del quarto secolo, in piena crisi
dell’assetto imperiale, comincia a risuonare quell’invocazione
«Abbà, dimmi una parola!». Una parola per la vita, una pa-
rola per dare un senso all’esistenza: si cominciava a formare
proprio un linguaggio della spiritualità, dei nomi da dare
alla realtà dello spirito.
Sparare sugli orologi
Allora, la mia tesi è questa: la spiritualità è un linguaggio
della crisi. Ecco perché nella crisi della politica cui assistiamo
oggi entrano e devono entrare le parole della spiritualità. Cito
alcune di queste parole che Bianchi racconta una per una.
Sono molte, ne ho scelte alcune fra quelle che sento più vicine:
ascesi, vigilanza, pazienza, ascolto, meditazione, preghiera,
silenzio, solitudine. Sono tutte parole oggi alternative a tutto
ciò che ci circonda. Noi viviamo nella società della fretta, del
movimento accelerato, della corsa quotidiana, dell’arrivare in
tempo, dell’orologio. La prima cosa che fecero i comunardi
(splendidi!) quando conquistarono Parigi fu di sparare sugli
orologi. Credo che sia un’immagine stupenda della rivoluzione.
Vi è un contrasto tra i tempi esterni imposti alla vita e il
tempo interno di cui ha bisogno invece la persona umana.
E qui nasce una contraddizione fondamentale che è una
contraddizione politica. Quelli che comandano non sono,
badate, i governi, i parlamenti, i partiti – questi sono attori
supplenti, attori flessibili se non precari, infatti ci sono e
poi non ci sono più e ce ne sono altri al posto loro. Quello
che ci comanda è la logica di sistema che impone il circuito
produzione-circolazione-distribuzione-consumo. Questo è il
potere reale che ci comanda. E noi cosiddetti cittadini siamo
tutti sudditi di questo potere. Un potere che non vuole che
4
E. Bianchi, Le parole della spiritualità. Per un lessico della vita
interiore, Milano, Rizzoli, 1999.
619noi ci fermiamo a pensare, non ci concede i tempi tecnici
della riflessione interiore. Non appena abbiamo un attimo
di tempo libero ce lo riempie. Con che cosa? Con l’intrat-
tenimento, l’intrattenimento televisivo, con i reality show,
con il festival del cioccolato o con la festa del cinema, che
è più o meno la stessa cosa. Ecco, la notte bianca per me è
l’espressione simbolica di questa socialità fasulla: in piazza
per una notte, e per il resto dei giorni soli ognuno con la
propria nevrosi quotidiana.
Ma riprendiamo il discorso, quello serio. La sapienza
monastica di Benedetto Calati, splendido monaco di Camal-
doli, ci ha guidato con un magistrale racconto attraverso la
spiritualità del primo medioevo, da Gregorio Magno al mo-
nachesimo da Beda il Venerabile e Pier Damiani a Bernardo.
È nel quarto volume di una storia della spiritualità pubblicata
da Borla ed uscita nel 1988 5 . Quando leggi queste cose della
spiritualità dal primo medioevo, ti accorgi che sebbene la
modernità abbia certamente guadagnato molto rispetto al
medioevo (noi non siamo antimoderni, per carità, siamo dei
critici del moderno, che è una cosa ben diversa), tuttavia ha
perso anche qualcosa. Ha perso qualcosa che attiene proprio
al fondo dell’anima, per dirla con il nostro maestro Eckhart.
Vi sono diversi carismi ma uno solo è lo spirito, dice
Paolo nella prima lettera ai Corinzi. Questa evocazione viene
ripresa ed esaltata per esempio nella mistica femminile me-
dioevale dalla grande Margherita Porete, ma anche da altri.
E il femminismo, per esempio – soprattutto il femminismo
della differenza, che in Italia ha notevoli interpreti – ha
privilegiato nella dimensione trinitaria la figura dello spirito,
sottoponendo a critica il percorso che va dalla ruah, che in
ebraico è femminile, a pneuma, che in greco invece è neu-
tro, per arrivare a spiritus, che in latino diventa maschile.
È un’operazione culturale fatta con intelligenza al fine di
evocare una perdita, di sottolineare i limiti di un percorso.
Concludo con una provocazione intellettuale, se ve ne
fosse bisogno di un’altra. Dicevo, ma lo ripeto a scanso
5
A. Blasucci, B. Calati e R. Grégoire (a cura di), Storia della spiritua-
lità, vol. 4, La spiritualità del Medioevo, Roma, Borla, 1988.
620di equivoci, che a me piacciono le idee forti; non ci sto al
fatto che siccome siamo sotto il ricatto della violenza, allora
dobbiamo rispondere con pensieri deboli, perché vedo che
in questo modo si innesca una trappola capace di bloccare
qualsiasi volontà di trasformazione delle cose. Io vengo dalla
lotta di classe, dalla teoria e dalla pratica della lotta di classe.
Considero una benedizione di Dio aver avuto la possibilità di
partecipare a quella vicenda (che mi pare conclusa). Proprio
oggi ho riletto una frase di Marx, accusato a volte – da qualche
«parroco di campagna» – di essere soltanto un materialista.
Una frase di Marx del 1856: «con la stessa velocità con cui
l’umanità diviene padrona della natura, l’uomo pare assog-
gettarsi ad altri uomini. Tutte le nostre invenzioni e i nostri
progressi sembrano risolversi nel fornire una vita spirituale
alle forze materiali e nel mettere in ridicolo la vita umana
riducendola a una forza materiale» 6 . Questo è Marx! Ecco,
ripensando oggi a quella vicenda che si organizzava intorno
alla lotta fra le classi, se cerco quel barlume dello spirito
di cui parlava Panikkar, quel qualcosa in più di un ordine
diverso, io lo trovo nel salario conquistato dai lavoratori e
non lo trovo nei profitti accumulati dai capitalisti. Nella
nostra storia, nella storia delle classi che si sono ribellate al
loro sfruttamento, al loro dominio, c’è stata una spiritualità
profonda, tutta da riconoscere; nella figura del vecchio con-
tadino, nella figura dell’operaio di mestiere, nella figura della
madre di famiglia che porta da mangiare agli scioperanti,
nel militante di base che fa politica in piena gratuità, e poi
nel desiderio, nel bisogno di cooperare, di solidarizzare, di
lottare: qui c’è una profonda spiritualità.
Quale altro?
Insomma, la spiritualità per me non è la declinazione
buonista del religioso. Quella che dice di essere laici, tolle-
ranti, ecumenici, multietnici, interreligiosi, aperti all’altro, e
6
K. Marx, Discorso per l’anniversario del «People’s Paper», in K. Marx
e F. Engels, Opere complete, vol. 14, Roma, Editori Riuniti, 1982, p. 656.
621bla bla. Io non ce la faccio più a sopportare questa «retorica
dell’altro». Perché chiedo sempre: ma quale altro? L’immigra-
to clandestino che un gommone butta sulla nostra spiaggia
come un detrito non umano è lo stesso «altro» del benestante
che sale sul suo yacht per andare a fare il giro delle isole?
Hanno in comune soltanto lo stesso mare su cui navigano
ma io sono per l’uno contro l’altro. Qui a volte lo stesso pre-
dicare cristiano mi sembra abbia delle falle, delle mancanze.
Insomma: io dico che bisogna evocare il soffio dello spirito
per disordinare il mondo. Voi direte: ma il mondo è già ab-
bastanza disordinato, non c’è bisogno di ulteriore disordine.
No, rispondo io, perché l’attuale disordine è conseguenza
dell’ordine che ci opprime, non è un disordine spontaneo.
È un ordine che dall’alto provoca questo disordine. Noi
abbiamo bisogno di disordinare il mondo dal basso. Ora,
gli spirituali – si chiamavano così – erano sempre eretici. Gli
ordini spirituali nascevano per contestare l’ordine gerarchico
della Chiesa. Io credo che dovremmo ripartire da qui, da
quando Gesù risorto sta per lasciare i discepoli e dice loro:
ricevete lo Spirito. Ecco il lascito inutilizzato che abbiamo
ancora tra le mani. Veramente diceva: ricevete lo Spirito
Santo. Ma qui sorge un’altra domanda: è necessario che sia
Santo questo spirito, non basta che sia – appunto – Spirito?
E ora, veramente, l’ultima battuta. C’è una figura un
po’ hegeliana un po’ nietzschiana – più nietzschiana che
hegeliana – che io amo molto: è quella del Freigeist, dello
spirito libero. È una figura novecentesca, che Nietzsche ha
lasciato al Novecento, perché ha trovato un suo seguito in
grandi esperienze teoriche, per esempio nel principio spe-
ranza di Bloch o nella coscienza del proletariato del giovane
Lukács, oppure nel comunismo teologico di Benjamin, in
quello escatologico di Taubes. Ecco l’ultima frase netta: la
spiritualità è libertà. Perché la libertà o è libertà dello spi-
rito, o è soltanto un’altra forma di oppressione. Con questa
sentenza da militare concludo il mio discorso.
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