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Caporetto Libia: analisi e rimedi di una sconfitta

di Federico Dezzani

Il 4 aprile, consolidato il dominio su Cirenaica e Fezzan, il generale Khalifa Haftar ha lanciato l’operazione per la conquista di Tripoli: nonostante si attendesse un ingresso più facile nella capitale, difficilmente il generale desisterà sino alla vittoria totale e difficilmente i suoi sponsor gli negheranno i mezzi necessari all’impresa. Per l’Italia, arroccata sulla difesa del governo di Tripoli, si profila una storica sconfitta: come si è arrivati alla Caporetto libica? Dall’omicidio Regeni all’illusoria speranza del sostegno americano, breve ricostruzione di una disfatta e qualche (superfluo) consiglio per ripartire, spostando il nostro il nostro asse mediorientale.

 

Addio “posto al sole”?

La Libia ci è cara, non soltanto perché è stata meta di uno dei nostri primi viaggi mediorientali (in epoca gheddafiana), ma anche perché col tema libico “debuttammo” in rete come analisti: correva infatti il novembre 2014 (cinque anni fa!), quando scrivemmo “Libia: sfida Russia-USA?”. È un articolo che merita di essere letto, perché nonostante qualche cambiamento intercorso nel frattempo, resta tuttora valido.

Sul tema, da allora abbiamo scritto più e più volte, anticipando talora gli eventi con capacità quasi medianiche: come non rimanere stupiti, a distanza di due anni, leggendo il titolo “Accordi ONU agli sgoccioli: Parigi e Mosca lanciano l’Opa sulla Libia”?

Non si tratta, ovviamente, di preveggenza, bensì di analisi basate sulla corretta comprensione delle forze in campo e sulla natura deterministica (piaccia o meno!) della geopolitica. Su questo ultimo aspetto, la natura deterministica della geopolitica, scriveremo più a fondo quando, nel corso dell’anno, si verificherà l’evento alla base della nostro impianto analitico per il 2019: la No Deal Brexit. Nel caso libico, si può dire che l’Italia ha perso la partita in Libia, perché doveva necessariamente perderla: nel momento in cui si delega a terzi la politica estera e si adotta una serie di scelte nefaste, è solo questione di tempo perché la storia presenti il conto. E pure salato.

Non c’è alcun dubbio, infatti, che l’Italia figuri tra i grandi perdenti (forse la maggior perdente) dei recenti sviluppi in Libia: consolidato il controllo sulla Cirenaica, esteso il dominio su buona parte del Fezzan, il generale Khalifa Haftar ha infine lanciato, il 4 aprile, l’operazione per la conquista di Tripoli. È probabile, alla luce anche dei recentissimi sviluppi, che il generale si attendesse di entrare nella capitale senza sparare neppure un colpo, o quasi: la ferma reazione delle milizie islamiche, autrici del colpo di Stato dell’estate 2014, deve certamente averlo sorpreso. Ad ogni modo, tratto il dado, è impossibile tornare indietro: si combatterà fino alla vittoria chiara e definitiva di una fazione. Il vasto sostegno internazionale (Russia, Francia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Egitto) al generale Haftar e la disponibilità di ricevere facili aiuti materiali (via Egitto), lascia pochi dubbi sulla vittoria dell’aspirante rais: per l’Italia, l’unica (o quasi) potenza rimasta a sostenere il governo di Tripoli, si profila una sconfitta clamorosa. È talmente affollato il carro dei vincitori che, per gli sconfitti, non rimarranno neppure le briciole. Come si è arrivati a questa “Caporetto libica”? Come si è arrivati ad una situazione così disastrosa da mettere a repentaglio le nostre residue posizione in Libia? Come scrivemmo già nel 2014 (sic!), l’Italia ha mancato di realpolitik e di capacità di adattamento.

Ricostruiamo brevemente gli eventi.

  • La Nato lancia nel 2011 l’operazione Odissey Dawn per rovesciare Gheddafi. Scopo di USA e UK è trasformare la Libia in un trampolino di lancio per l’immigrazione clandestina, così da inondare l’Europa di flussi migratori e destabilizzare l’Unione Europea. Agli USA non interessa né il petrolio libico né il controllo del Paese: chiusi i rubinetti dell’immigrazione, chiusa la partita. La Francia, invece, ambisce a inglobare il Paese nella sua sfera di influenza.
  • Nel caos post-libico, emerge la figura di Khalifa Haftar, reduce da un lungo esilio negli Stati Uniti (zona Langley). Francia, Italia, Russia, Emirati Arabi e Egitto sono gli sponsor del generale tra il 2012 ed il 2014.
  • Interessati a fomentare il caos e l’immigrazione clandestina, gli USA, forti del sostegno di Turchia e Qatar, organizzano il colpo di stato islamico dell’estate 2014: il governo legittimo e Haftar fuggono in Cirenaica, meditando di tornare nella capitale alla prima occasione.
  • Dicembre 2015: gli accordi marocchini, sponsorizzati dagli USA, creano il dualismo Tripoli-Tobruk. Il governo tripolitano di Faiez Al-Serraj è una semplice riverniciatura della giunta islamista: tuttavia l’Italia sceglie di legare le sue fortune a Tripoli e, non paga, invia persino un contingente di 400 uomini, affiancati da soldati inglesi, nella roccaforte islamica di Misurata.
  • Gennaio 2016: l’omicidio Regeni, opera dei servizi segreti inglesi, allarga il fossato tra Italia e Al-Sisi/Haftar. Nel frattempo aumentano i flussi migratori che porteranno ovunque voti alla destre anti-UE, compresa la Lega di Matteo Salvini.
  • Novembre 2016: vittoria di Donald Trump e cambio (pianificato) di strategia atlantica. Gli USA sottraggono l’appoggio a Turchia e Qatar e convergono nuovamente verso l’Arabia Saudita. Le frontiere vanno ora chiuse, man mano che le destre europee vincono le elezioni. In questo mutato quadro, il governo tripolitano di Faiez Al-Serraj è inutile: agli USA non interessano né la Libia, né l’abortito “governo d’unità nazionale”. A fianco di Haftar sono rimasti Francia, Russia, Emirati Arabi ed Egitto, cui si aggiunge ora anche l’Arabia Saudita (tramite cui gli angloamericani, si noti, contano comunque di mantenere un piede in Libia).
  • L’Italia “trumpiana e gialloverde” (che deve le sue fortune all’immigrazione incontrollata del 2014-2018), continua ad appoggiarsi al governo tripolitano di Faiez Al-Serraj, credendo che sia l’unico in grado di bloccare i flussi migratori. Così facendo, non si accorge di essere rimasta l’unica potenza occidentale a sostenere Tripoli: tutti, o quasi, si sono già riposizionati per la vittoria di Khalifa Haftar, compresi gli USA tramite Riad!

Ecco brevemente riassunti i fatti che hanno portato alla Caporetto libica. Si noti, la gravità della sconfitta è tale che, in un Paese serio, forze armate, ministero degli Esteri e dirigenza politica (dal PD alla Lega), andrebbero azzerati. Tuttavia, in un Paese come l’Italia, si passa con noncuranza da una sconfitta all’altra, senza analizzare i fatti, punire i responsabili e adottare le necessarie contromisure. Amen.

Ciò nonostante, portiamo comunque avanti la nostra analisi, studiando per mero interesse personale, gli assetti internazionali dopo il (quasi certamente vittorioso) colpo di mano di Haftar: ogni azione comporta infatti una reazione e, sicuramente, un atto di forza come il putsch haftariano comporta diverse reazioni, sfruttabili da chi ne abbia le capacità:

  • l’Algeria, attualmente in una fase di grande debolezza tale da impedirle qualsiasi seria riposta, non è affatto felice di avere nuovamente francesi e sauditi ai suoi confini. L’Italia, pertanto, dovrebbe stringere i suoi legami con Algeri in funzione anti-Haftar.
  • Turchia a Qatar sono le grandi “perdenti mussulmane” della partita libica. Sono comunque rispettivamente il primo esercito del Medio Oriente ed una delle nazioni più ricche del Golfo Persico: arrivati a questo punto della partita, conviene rimanere fino in fondo a fianco di Ankara e Doha, purché quest’alleanza si estenda a tutto il Medio Oriente e consenta all’Italia di recuperare altrove il terreno perduto in Nord Africa.
  • L’Italia, in questa concitata crisi libica, si è coordinata con la Germania. È la stessa Germania ai ferri corti con gli USA per il Nord Stream 2 e Huawei ed è la stessa Germania che, da sempre, coltiva relazioni speciali con Qatar e Turchia. Coordinare la politica mediorientale con Berlino, puntando sull’asse Turchia-Qatar (alternativo alla “NATO araba” sponsorizzata dagli USA), sarebbe di grande aiuto per la (oggettivamente debole) Italia.

Se, come altamente probabile, l’Italia dovesse perdere la partita libica ed essere estromessa dalla sua ex-colonia, sarebbe comunque possibile ripartire ancora una volta: man mano che la partita si fa dura (e si farà sempre più dura!), i cazzari devono però uscire dal campo.

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