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Note sul "Grande Reset"

di Alessandro De Giuli

Il pregio probabilmente maggiore di questo libro di Ilaria Bifarini (Phasar Edizioni – Firenze) sta nel presentare, con un linguaggio semplice e ben scritto, tutti i temi salienti che si affacciano al dibattito di questi mesi segnati dalla crisi economica e dal covid. Il sottotitolo traccia il percorso: “dalla Pandemia alla nuova normalità” mentre l’incedere dei capitoli, sempre interessante, fornisce dati e informazioni ma soprattutto i punti di vista forti della discussione che si sta sviluppando tra le massime élite del mondo politico, economico, culturale e produttivo a fronte della manifesta crisi del modello neoliberista.

Sullo sfondo della cronaca quotidiana modellata dal virus e delle risposte estemporanee delle cancellerie internazionali, Ilaria Bifarini riannoda il senso dei temi caldi degli ultimi anni: la disoccupazione tecnologica, le innovazioni produttive intraprese dalle grandi corporation leader della ricerca più avanzata, la società sempre più divaricata tra masse di impoveriti e multimiliardari, il trans umanesimo (ovvero l’ibridazione tra uomo e macchina) di origine californiana, la robotizzazione, la scomparsa di interi settori del mondo del lavoro sostituiti da soluzioni fondate sull’intelligenza artificiale, i limiti della globalizzazione e la questione dello Stato, il problema ecologico, il 5G.

Ne esce un quadro vivido del dibattito che col nome di “grande reset” sta evidentemente interrogando il mondo occidentale. Ad Ottobre, la rivista Time ha dedicato alla questione un suo intero numero e a Davos, la riunione annuale dell’Economic Word Forum, riprogrammata a inizio estate a causa del covid, verterà proprio sul great reset, il grande azzeramento e la ripartenza dell’economia che Klaus Schwab, fondatore e direttore del Forum giudica indispensabile ed opportuna per superare le difficoltà della fase storica.

In questo contesto, ci racconta il libro, l’epidemia in corso si è presentata immediatamente alle élite riformatrici come un’occasione imperdibile per procedere ai cambiamenti di ordine istituzionale e politico necessari ad affrontare la crisi economica, politica e militare che l’occidente sta vivendo con affanno nei confronti di russi e cinesi.

Ricorda, questo discutere di riforme e cambiamenti da parte dei maggiori beneficiari dell’ordine liberista imperante, i dibattiti che, negli anni trenta e negli anni settanta del secolo scorso, hanno attraversato l’occidente a fronte di altre crisi e di altri attori. In quei casi nacquero prima il keynesismo e lo stato sociale, protagonisti dei trent’anni successivi alla II guerra mondiale e poi, con Thatcher e Reagan, il neoliberismo ora in crisi. Gli attori sono palesemente diversi: il comunismo sovietico non esiste più e sostanzialmente scomparsa è la minaccia proletaria protagonista degli anni del fordismo ma il senso della discussione pare lo stesso: di fronte ad una crisi che lo minaccia dalle fondamenta, il capitalismo chiama a raccolta le proprie più fertili energie per riprogrammare un futuro che rischia di vedere soccombere gli attuali ceti dominanti.

Alcuni temi sono anche nominalmente gli stessi (la disoccupazione tecnologica su tutti) altri radicalmente nuovi ed originali (le implicazioni etiche e pratiche di un sistema che viene progettato senza necessità di lavoro e lavoratori, o quello delle possibilità di controllo e sorveglianza totale implicite nelle tecnologie orientate ai big data). Soprattutto diverso è il contesto politico. Nel ‘900 poteva apparire poco evidente la prospettiva concreta del cambiamento ma erano chiarissimi gli agenti politici determinati a sviluppare il progetto. Oggi, dopo quarant’anni di distruzione del senso della politica perseguito dall’ordine neoliberale, il tema del cambiamento non offre forze e personaggi politici di spessore in grado di perseguirlo.

La stessa elezione del nuovo Presidente USA è avvenuta più sulla critica delle caratteristiche umane e psicologiche di Trump che sulla base di un progetto coerente di costruzione di un nuovo ordine. Forse anche per questo suo carattere eminentemente a-politico, il grande reset si presenta ambiguo e bifronte, mostrando tanto il volto della distopia totalitaria, dell’autoritarismo dello Stato controllore, della soverchiante onnipotenza delle grandi aziende, della condanna alla disoccupazione a vita sia quello irenico della società pacificata e opulenta dove il lavorare si trasforma in un amabile dedicarsi al prossimo e all’ambiente naturale in una sorta di comunismo dei beni in cui il salario è garantito a tutti i cittadini e la minaccia ecologica è per sempre allontanata grazie all’utilizzo di nuove tecnologie.

La realtà e la storia ci diranno quali tendenze usciranno concretamente egemoni e attive nel piano di grande ristrutturazione globale, intanto sembra bene cominciare a parlarne con cognizione di causa. Liberiamo l’Italia inizierà a farlo il 2 Gennaio prossimo durante un pubblico seminario on line con l’autrice del libro.

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