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micromega

I mistificatori del debito pubblico

di Carlo Clericetti

Davvero è il debito il nostro problema più grande? Stiamo scaricando un peso sui nostri figli e sulle generazioni future? A entrambe le domande la risposta è un secco “no”, senza ombra di dubbio. Purtroppo le regole europee, ora per fortuna sospese, sono state elaborate in base a questa ottica sbagliata e c’è anche il rischio che si voglia tornare a qualcosa di simile. Sarebbe una pessima mossa. Nel frattempo, qualche economista e molti opinionisti dovrebbero smetterla di dire sciocchezze

Non passa giorno che non si senta in televisione qualche economista che ci rimprovera di “scaricare sui nostri figli l’enorme onere del debito pubblico”. Commentatori e opinionisti di ogni genere fanno coro: il debito pubblico è un mostro che abbiamo creato, che minaccia continuamente di divorarci e di far finire lo Stato in bancarotta. È il nostro primo problema, il più drammatico, il più importante. Le nostre forze e il nostro impegno devono prima di tutto puntare a ridurlo, ad ogni costo. A costo di tagliare lo Stato sociale? Ma certo. A costo di lasciare qualche milione di persone senza lavoro? Che ci vuoi fare… A costo di avere, in uno dei paesi più ricchi del mondo, qualche milione di famiglie in povertà? Così va il mondo.

E però: a costo di imporre una patrimoniale? Non sia mai! A costo di aumentare le tasse ai più benestanti? Non scherziamo, le tasse vanno ridotte. Ma allora non è “a tutti i costi”: solo a certi determinati costi.

Ma torniamo alla sciocchezza del “macigno sulle generazioni future”. Supponiamo per il momento che tutto il nostro debito pubblico sia detenuto da italiani. A fronte del figlio del netturbino che si troverà con uno stato indebitato ci sarà la figlia dell’avvocato che erediterà i Btp acquistati dal padre con i suoi risparmi, cioè erediterà un credito. La relazione tra i due è data dagli interessi che lo Stato paga sul debito. Il figlio del netturbino non possiede Btp, quindi resta a bocca asciutta; la figlia dell’avvocato, invece, avrà una rendita grazie alle cedole dei titoli acquistati dal padre. A lei non dispiacerà che lo Stato si sia indebitato, fornendo così al padre un’occasione di far fruttare i propri risparmi. Come si vede, non si può ragionare con la media di Trilussa (“ognuno che nasce ha un debito di tot-mila euro”).

Ma allora il debito è a favore dei ricchi e a danno dei poveri? Anche qui, dipende. Se quel debito è servito a costruire strade-scuole-ospedali, il figlio del netturbino non incasserà interessi ma avrà una serie di servizi che altrimenti non avrebbe avuto. E forse quei soldi sono serviti anche a mantenere il posto di lavoro di suo padre, permettendogli una vita dignitosa. Magari parte di quei soldi sono serviti per creare imprese pubbliche, o per agevolare la vita di quelle private (per esempio aiutandole ad ammodernarsi). E in quel caso una parte dell’eredità è quella di trovarsi in un’economia più ricca di quello che sarebbe stata altrimenti.

Quindi il debito è sempre una buona cosa? No, se si fa per assicurarsi l’appoggio di clientele o per dare prebende a chi è già benestante (che poi, forse, con quei soldi comprerà Btp, di cui riscuoterà gli interessi…). Insomma, il debito pubblico ha effetti redistributivi, cioè sposta ricchezza da certe categorie ad altre, ma è molto difficile determinare chi ci perde e chi ci guadagna, cosa che dipende anche da quali e quanti servizi fornisce lo Stato, com’è il sistema fiscale, eccetera. Di certo non avvantaggia una generazione a danno di un’altra, come osservava già Luigi Einaudi:

“Gran parte della condanna morale lanciata dai politici austeri contro il debito pubblico è dovuta alla convinzione dell’immoralità di godere noi vivi oggi i vantaggi della spesa e di lasciar pagare il conto ai lontani nepoti. I posteri c’entrano; ma in modo del tutto diverso da quello immaginato dalla credenza comunemente diffusa nel volgo che il debito pubblico sia un trucco per far pagare ai nipoti le spese sostenute dai viventi. Disgraziatamente per i vivi, non esiste nessun mezzo per far pagare una spesa qualunque, grossa o piccola, privata o pubblica, alla gente la quale deve ancora nascere” (da “Miti e paradossi della giustizia tributaria”).

Una lezione dimenticata? No, non da chi sa di economia. Questo è un recentissimo tweet (l’originale è in inglese) di Vitor Constâncio, ex vice presidente della Bce:

Il debito nazionale è detenuto dai cittadini residenti. Nel futuro, quando i titoli saranno riscossi, i membri della futura generazione dovranno pagarli con le tasse (se il debito non sarà rinnovato), ma altri membri di quella generazione riceveranno il denaro dei titoli scaduti. Non è un peso sulle generazioni future”.

Abbiamo però ipotizzato che tutto il debito sia detenuto da italiani, mentre circa un terzo è nelle mani di investitori esteri. E dunque gli interessi su quella parte, che devono essere coperti dalle tasse che paghiamo, finisce in mani esterne al paese. Certo, dovremmo considerare che una parte di quei titoli – difficile stabilire di che dimensioni – fa comunque capo ad italiani. Se compro un Fondo comune lussemburghese o una gestione del Credit Agricole o della Merrill Lynch, lì dentro ci sono anche Btp che dunque indirettamente possiedo. Ma tralasciamo questo aspetto. Quello che conta è la posizione netta sull’estero dell’Italia, che tra l’altro è uno dei parametri più importanti presi in considerazione a livello internazionale per valutare la sostenibilità del debito di un paese.

Come dall’estero si comprano i nostri titoli, così ci sono italiani che comprano titoli esteri, riscuotendo dunque i loro interessi coperti dalle tasse di cittadini di altri Stati. La posizione finanziaria netta del paese è il saldo tra le attività detenute dagli stranieri in Italia (quindi anche i titoli del nostro debito pubblico) e le attività possedute all’estero da italiani. Ebbene, secondo i dati più recenti (terzo trimestre 2020) il saldo dell’Italia è diventato positivo dopo molti anni (non accadeva dagli anni ’80), per 3,1 miliardi, come si vede dai dati Bankitalia (tab. 8 A). Quindi, a fronte di un debito estero, c’è un credito verso l’estero leggermente superiore.

Questo significa che il debito pubblico non è quel problema drammatico che molti ci descrivono; e, come abbiamo già visto, non è corretto affermare che sia un fardello che lasciamo sulle spalle dei nostri figli.

Ma allora si può fare debito senza pensarci troppo, non c’è nessun problema? Naturalmente no, sarebbe troppo facile. Perché qualcuno ti presti i soldi deve avere una ragionevole certezza che alla scadenza glieli restituisca, quindi non bisogna esagerare. E dov’è il limite dell’esagerazione? Non esiste un numero magico, una linea del Piave oltre la quale si va verso il disastro. Dipende da vari fattori, per esempio la capacità di produrre merci richieste sul mercato internazionale. Nel lungo termine il fattore cruciale è che la crescita nominale (cioè considerando anche l’inflazione) sia superiore, magari anche di poco, al costo del servizio del debito. Per noi da qualche anno non è così, ed è questo il vero problema.

Ma per la crescita non è indifferente la politica di bilancio. Il bilancio deve poter essere usato in funzione anti-congiunturale. In altre parole, quando le cose vanno bene – l’economia cresce, la domanda estera “tira” – si può lesinare sulla spesa pubblica, ma quando invece c’è stagnazione o recessione lo Stato deve spendere, anche se ciò significa finire l’anno con un deficit che andrà ad aumentare il debito pubblico e anche se quest’ultimo è già considerato alto. La prova contraria l’abbiamo vista in questi anni. In particolare con il governo Monti, che ereditava gli effetti di una manovra pesantissima varata dal precedente governo Berlusconi (forzata dalla famosa lettera della Bce e dalla Commissione) e ci ha poi aggiunto del suo. Nonostante i tagli di spesa e gli aumenti di tasse il rapporto tra debito e Pil si è impennato, perché la politica di bilancio ha frenato il denominatore del rapporto, cioè il Pil. I tagli di spesa, quando l’economia già soffre di suo, non solo non aiutano a ridurre quel rapporto, ma lo fanno peggiorare.

Naturalmente ci sono altre importanti condizioni collaterali. La burocrazia deve funzionare, così come la giustizia civile. Ci dev’essere una banca centrale che tiene a freno la speculazione, come la Bce ora sta facendo mentre in passato non sempre lo ha fatto. E le spese non hanno tutte lo stesso effetto sulla crescita: gli 80 euro di Renzi, per esempio, meno della messa in sicurezza delle scuole. Ma se manca il quadro “macro” è inutile o quasi discettare sulla qualità della spesa.

Le regole europee, tutte concentrate sulla riduzione del debito con politiche di bilancio restrittive, hanno fatto danni gravissimi. E altrettanti danni li fanno le convinzioni diffuse – ma sbagliate – intorno al debito pubblico e alla spesa in deficit. Ci voleva una catastrofe come la pandemia per far cambiare la musica, ma le tentazioni di tornare quanto prima a intonare il vecchio ritornello sono tutt’altro che tramontate. Forse c’entra il fatto che, anche in questi anni di crisi, i ricchi sono diventati più ricchi. Se le idee sbagliate fanno comodo a qualcuno, è molto difficile riuscire a cambiarle.

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