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ilsimplicissimus

Il sesso del capitalismo

by ilsimplicissimus

Secondo tutte le statistiche da trent’anni a questa parte la mobilità sociale nei Paesi occidentali, quella che in sostanza è stata all’origine della sua egemonia mondiale negli ultimi due secoli, è drammaticamente diminuita. E guarda caso è addirittura crollata proprio nei due maggiori Paesi anglosassoni, Usa e Inghilterra dove apparentemente si venera la competizione, ma dove tutte le strutture sociali sono adatte sin dalla scuola elementare ad esprimere e far accettare la disuguaglianza.

Guarda caso è proprio in quei Paesi che prende forza la teoria gender, ammesso che sia sensato trasformare in ideologia gli studi di genere ed è da questi Paesi che nasce la crociata perché i suoi principi e orientamenti siano accolti globalmente, quasi come una sostituzione su un piano diverso e individuale di quella mobilità sociale venuta meno. La progressiva negazione sociale va di pari passo con la promozione delle differenze individuali. Ora io non ho nulla contro questa teoria, anzi la trovo persino ovvia, anche se evoluzionisticamente grossolana, quindi non faccio parte del tifo che vede contrapposti i catto fascisti contro i progressisti culo al caldo. Ma non si può nemmeno distrarre lo sguardo dal fatto piuttosto evidente che la teoria stessa è un esempio di straordinaria ipocrisia contemporanea e di come il pensiero unico stia definitivamente espellendo l’idea di cambiamenti sociali.

In sintesi cosa ci dice questa concezione, almeno nella versioni meno estreme? Che non bisogna confondere il sesso biologico con i ruoli che esso comporta i quali sono invece di natura sociale, insomma si nasce femmine o maschi, ma uomini e donne lo si diventa con l’adattamento a stereotipi. La cosa è un po’ tagliata con l’accetta perché le differenze sessuali macroscopiche e di ruolo riproduttivo ne hanno generate altre meno visibili che rendono la cosa molto più complicata, ma diciamo che come concrezione ideologica ci può stare e che anzi, nonostante la sua natura orientata al tipico dualismo spiritualista della cultura bianca, sarebbe civile accoglierla “come se” la natura artificiale del genere fosse integralmente vera: perlomeno servirebbe a contrastare la caccia alle streghe, la sordida omofobia o la arcaicità chiesastica. C’è però un problema grosso come una casa: se il genere è un prodotto sociale, possiamo davvero pensare di cambiare i ruoli e gli stereotipi senza cambiare la società stessa, anzi fregandocene radicalmente del problema oppure asserendo l’immutabilità di tutti i rapporti di produzione e di forza che a loro volta generano i rapporti fra le classi, gli individui e i sessi? Certamente no, ma la teoria di genere, così come viene presentata, non ci pensa nemmeno ed è questo che la rende sospetta nella sua formulazione propagandistica tesa a creare uno scontro dissennato e fuori centro fra tradizionalisti e progressisti: essa predica soltanto l’accettazione negli altri e in se stessi delle differenze individuali quali che esse siano, senza chiedere nient’altro, anzi barattando il corretto “riconoscimento” con il cambiamento che del resto non è previsto nel pensiero unico nemmeno come possibilità teorica. Venendo al concreto la transessuale (o il transessuale perché spesso il political correct dimentica che vi sono “adeguamenti” da femmina a maschio) ha pienamente diritto ad essere tale e non veder lesa la propria dignità, ma per diventare tale, a meno che non sia ricca di famiglia, è costretta il più delle volte a prostituirsi generando prima un piacere per lo più occulto e poi un profitto: se quest’ultimo venisse meno la teoria gender sarebbe probabilmente bruciata in piazza dai sacerdoti liberisti che la cantano come elemento di distrazione polemica. Oppure una donna può anche avere una vita sessuale variegata e intensa senza per questo essere definita con le solite care parole: per carità capiamo benissimo, siamo genderisti, ma non per questo guadagnerà come un maschio pur svolgendo lo stesso lavoro o non sarà cacciata via se per caso rimane incinta. Oppure un uomo potrebbe vivere senza sorrisini se fa il casalingo, accudisce i figli e viene mantenuto dalla moglie (condizione quest’ultima peraltro normale tra le classi alte nel mondo precapitalistico con il sistema della dote) purché però non pregiudichi il ricatto lavorativo ed economico da esercitare sulla famiglia. E via andare con migliaia di esempi possibili che scoprono  sempre la natura di baratto tra libertà individuali e negazione delle libertà sociali.

Non mi soffermo nemmeno a commentare i consigli che la Ue dà in merito all’educazione gender oriented perché non vi si scorge l’educazione al rispetto e alla libertà ad essere ciò che si è, quanto piuttosto l’intenzione di disciplinare un nuovo standard. E’ in effetti ciò che si vuole: c’è una sconcertante contemporaneità fra l’avvento della crisi con la relativa messa in  mora della democrazia in favore di istanze oligarchiche e l’improvvisa affermazione mediatica della cosiddetta teoria gender prima di allora relegata alla letteratura femminista o al massimo evocata in qualche passaggio del brillante quanto vacuo libertarismo magico di marca francese. E anche questa volta ha funzionato: se mai vi accadesse di non onorare con incenso e mirra Judith Butler sarete accusati di “rompere il fronte progressista” che peraltro esiste ormai solo in vecchie fantasie o nelle invocazioni interessate di piccole elites residuali oppure di essere seguace del robot delle frasi fatte, Diego Fusaro. Insomma di stare sulle palle a gente convinta di aver capito proprio tutto, tanto da scomparire.

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