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Perché Renzi (Matteo) non può farla franca

Leonardo Mazzei

Dunque il "fenomeno" Renzi volge al tramonto. L'esperienza lo insegna. Quando le sconfitte elettorali si incrociano con le inchieste sul malaffare è quasi sempre troppo tardi per recuperare la china. E se poi ti si è spaccato il partito, ed i vecchi amici son diventati dei probabili traditori, la partita è praticamente chiusa. Mettiamoci pure il coinvolgimento della famiglia ed il quadretto è completo.

Su un punto ha ragione Lotti Luca da Empoli. «Sento un clima da 4 dicembre» ha detto stamane al Corsera il ministro dello sport. Per uno che nei giorni scorsi si era distinto solo per uno sdegnoso «ora basta» è quasi l'inizio di un'analisi politica.

Quella che si rifiuta di fare, almeno in pubblico, il suo principale. Che pensa ancora di cavarsela con qualche trovata circense. «I' mi' babbo gl'è colpevole? Pena doppia!», ha detto ieri sera in tv dopo giorni di insolito silenzio. Che per un twittatore seriale come lui dev'essere stata una vera penitenza.

Ora, è chiaro che per uno che ha iniziato con la Ruota della fortuna anche il codice penale diventa una cosa da Lascia o raddoppia, ma adesso che è pur sempre il segretario di quel partito pigliatutto che è il Pd non ha altro da dichiarare?  

Ci è capitato di scrivere in passato che quello raccoltosi attorno a Matteo Renzi è il più famelico gruppo di potere dell'Italia repubblicana. Chi pensava si trattasse di un'esagerazione oggi ha materia su cui riflettere. In realtà era il sottoscritto ad aver sottovalutato il fenomeno, perché al padre Tiziano proprio non ci avevo pensato!

Cosa intendevo per gruppo di potere straordinariamente famelico? Semplice, un gruppo arrivato politicamente dal nulla ma con l'appoggio dei grandi poteri finanziari, un gruppo con una cultura inversamente proporzionale alla sua presunzione, un gruppo che proprio in virtù dei preziosi servizietti resi alle èlite viveva certo della sua impunità. Di più: della sua insostituibilità.   

Ma le avete mai viste le direzioni del Pd? Quel che da sempre mi ha più colpito non è il bassissimo livello della discussione, aspetto per altro condiviso con gli altri settori del panorama parlamentare. E neppure il ridicolo servilismo dei peones verso il padrone della "ditta", roba da far invidia a quelli del "meno male che Silvio c'è". Quel che invece ogni volta mi ha stupito di più - in quanto dimostrazione di una totale ignoranza della storia, anche quella più recente - è l'assoluta certezza della loro insostituibilità.

Da anni costoro pensano - si direbbe in buona fede - di essere gli unici abilitati a governare. Non si sa bene in virtù di quali meriti e/o capacità, ma così è. Nemmeno i vecchi democristiani, con ben altra cultura ed esperienza politica alle spalle, coltivavano simili certezze. Eppure avevano dalla loro parte la Guerra Fredda, il ruolo di "diga anticomunista" ed una polizza sulla vita stipulata dalle parti di Washington.

Ma stabilire da dove venga tanta sicumera è in fondo secondario. Quel che conta è capire come essa faccia in genere il paio con una gestione assolutamente spregiudicata del potere. La qual cosa funziona finché vinci, ma smette di funzionare quando cominci a perdere. Giusto quel che ci dice il Lotti ricordandosi dell'incubo (per lui) del 4 dicembre.

Ora uno potrebbe dire: ma che volete che siano le storie emerse in questi ultimi giorni, rispetto ai danni che i governi del Pd hanno fatto e continuano a fare in materia economica e sociale?

Questa osservazione è solo apparentemente di buon senso. Primo, perché è proprio quella collocazione di classe che consente poi al sottobosco governativo la coltivazione dei più disparati interessi; secondo, perché quel che emerge è solo la punta di un iceberg; terzo, perché anche se sappiamo che non è la corruzione la prima causa dei mali italiani (come gli euristi vorrebbero farci credere), essa di certo un bene non è.

A Renzi non può dunque essere consentito di farla franca con il semplice scaricamento del padre. Attorno a quel padre si muovevano tante pedine del famoso "Giglio magico", cioè il primo cerchio toscano raccoltosi attorno all'ex premier.  

Non entriamo qui nella cronaca più spiccia, tanto quella si può trovare su qualsiasi quotidiano. Quel che è certo è che in quel piddino spicchio di Toscana era tutto un girare intorno alla Consip, la centrale degli acquisti della pubblica amministrazione. Da quel che si legge se ne occupavano Tiziano Renzi (Rignano sull'Arno) e l'amico Carlo Russo (Scandicci) per far pressioni su quel Luigi Marroni (Castelnuovo Berarderga - SI) che dopo essere transitato alla dirigenza dell'Asl di Firenze e dall'assessorato alla sanità della Regione Toscana è poi approdato, in piena era renziana, proprio al vertice della Consip.

Adesso il Marroni accusa il duo di cui sopra, ma pure l'immancabile - e recentemente condannato per bancarotta - Denis Verdini (Campi Bisenzio) di aver esercitato pressioni su di lui al fine dell'assegnazione di alcune gare: «Mi dissero che loro erano arbitri del mio destino professionale».

Naturalmente Renzi (Tiziano) dice che si sta abusando - chissà perché - del suo cognome. Ma l'accusa è che si sia mosso insieme ai suoi sodali per sostenere gli affari del napoletano Alfredo Romeo, il quale alla fondazione di Renzi (Matteo) aveva versato - legalmente, ci mancherebbe! - 60mila euro già nel 2012. E chi guida questa fondazione? Ma ovviamente un altro toscano, quell'Alberto Bianchi da Pistoia (e studio a Firenze) che fa incetta di incarichi, tra i quali spiccano quelli ricevuti proprio dalla Consip.

Consip di cui si sarebbe occupato pure il ministro Lotti (Empoli), accusato di aver avvertito chi di dovere della presenza delle "cimici" messe dagli investigatori nei locali della centrale per gli acquisti.

Ora, fate un po' voi. Non sempre due più due fa quattro, ma generalmente sì. E di tracce il Giglio magico ne ha lasciate fin troppe. Ma questo Giglio non è un dettaglio folclorico del potere renziano, ne è piuttosto il decisivo nucleo centrale. Ecco perché Renzi (Matteo) non può farla franca.

Il che significa, dato che di politica stiamo in primo luogo parlando, che l'attuale parlamento a dominanza piddina (e renziana) è ancor meno legittimo di prima, che non solo il Lotti ma l'intero governo Gentiloni se ne deve andare, che le camere vanno sciolte e la parola va restituita subito agli elettori.

Abbiamo detto all'inizio che il renzismo ha ormai imboccato il viale del tramonto. Bene, è un tramonto che va portato a compimento al più presto.

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